Un dibattito aperto

Quando si parla dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane  si accende immediatamente il dibattito tra gli interlocutori di turno, siano essi politici o comuni cittadini. L’argomento si presenta molto divisivo. Perché accade questo? La questione di fondo è che in realtà si sa poco o niente di ciò che fa o dovrebbe fare l’insegnante di Religione a scuola. Da questa mancanza di consapevolezza nascono gli equivoci e le interpretazioni malsane. Le famiglie spesso interpretano la figura del docente di religione come lo psicologo del proprio figlio, il sociologo di turno, l’amico dello studente o il “prete mancato”. Per questo spesso il ruolo dell’insegnante viene male interpretato e il giudizio che ne consegue è un parere spesso ideologico nei confronti della materia, che viene erroneamente identificata con la “storia delle religioni”.  La confusione non solo è riscontrabile nelle famiglie e di conseguenza negli studenti, ma anche negli altri docenti  che a fatica comprendono il ruolo dell’IDR e la funzione dell’ora così detta “facoltativa”. Tutto ciò contribuisce a screditare e porre in crisi il ruolo dell’insegnante e della disciplina, invece di considerare la cultura religiosa come valore aggiunto, come opportunità, come contributo umanizzante e  decisivo per la scuola italiana.

Facciamo Chiarezza

L’equivoco di fondo è che ancora oggi l’insegnamento della materia di Religione nelle scuole viene percepito come un’appendice del catechismo. Un’ora “confessionale” con lo scopo di fare proselitismo e convincere gli studenti della bontà, veridicità e “superiorità” del cristianesimo. Oggi nel 2023 è ancora questa la mission dell’insegnante di religione?  Questa è la funzione primaria dell’ora di religione? Bisogna precisare, innanzitutto che l’IRC è una disciplina curriculare ed è  presente negli istituti scolastici italiani in quanto gli viene riconosciuta la funzione di arricchimento della proposta culturale che la scuola promuove attraverso le differenti discipline, compresa l’ora di religione. Lo stato riconosce che l’ora di religione rappresenta un contributo culturale e umano, prezioso per la scuola e la società. Il patrimonio religioso attraverso l’IRC entra in dialogo con l’esperienza umana: con i bambini, gli adolescenti di oggi che,  provocati dai contenuti, formulano in modo naturale domande di senso. Il patrimonio artistico e letterario italiano può essere compreso pienamente soltanto alla luce della sensibilità religiosa e per mezzo della  conoscenza della tradizione cristiana. Ogni aspetto della vita, ancora oggi in Italia, è pervaso dalla tradizione cattolica; basti pensare al Natale, alla Pasqua, all’arte, alle Cattedrali che impreziosiscono le nostre città. Anche il cinema, le serie TV, le opere letterarie sono ispirate spesso alla tradizione religiosa del nostro paese. Per questo è fondamentale un’educazione religiosa, in grado di aiutare l’interpretazione e la comprensione della nostre tradizioni, affinché si possa sviluppare a scuola una serena e seria comparazione con le diverse culture religiose. Per questo, “La Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado” (Accordo di revisione del Concordato del 1984). La dimensione religiosa, inoltre, viene ritenuta parte integrante della persona umana. Pertanto “l’alfabetizzazione” religiosa dovrebbe essere alla base di ogni società civile, che vuole fare della cultura il punto di forza in grado di edificare ogni cittadino.

Quali prospettive per l’insegnante di religione?

Sicuramente siamo di fronte a grandi sfide a grandi cambiamenti digitali e tecnologici che riguardano il mondo e l’insegnante di religione non può sentirsi estraneo alla realtà attuale in continua evoluzione. Tralasciando questioni ambigue seppur importanti, come la possibilità di avvalersi o non avvalersi della disciplina, la non considerazione del voto nella media e altre questioni pratiche, quello che dovrebbe fare l’insegnante di religione in questa fase storica  è semplicemente accettare  la sfida educativa e lasciare che il mondo contemporaneo provochi la  libertà dei docenti/educatori. La vita deve essere la fonte di ispirazione dell’insegnante: la prima vocazione di ogni uomo, di ogni alunno, di ogni insegnante è “vivere”. Ogni docente della disciplina dovrebbe essere in grado di incarnare nell’esistenza e nella storia la cultura religiosa. Bisogna partire dal bisogno religioso dell’uomo, dal grido dell’essere umano e dalle domande esistenziali  di senso che scaturiscono dal bisogno di felicità di ogni persona,  sia essa adulta o adolescente. L’insegnante di religione deve farsi carico attraverso la cultura e le provocazioni esistenziali della promozione  e della maturazione personale di ogni studente. La priorità è far emergere le domande nascoste spesso  soffocate dalla proposta di benessere profusa dal mondo moderno e fondata sulla logica del divertimento e del “tutto subito”. Il paradigma del piacere, come mezzo per alleviare il dolore esistenziale che attanaglia gli adolescenti, non è in grado di rispondere all’urgenza di pienezza che abita le nuove generazioni. Oggi abbiamo bisogno di esplorare  nuove strade che possano condurre l’insegnante di religione a “prendersi cura” dell’uomo, degli studenti, dei colleghi e della scuola nella sua integralità. Non sempre gli studenti sanno esprimere con chiarezza le loro necessità più profonde per questo l’insegnante deve essere in grado di cogliere quelle domande “nude”, spiazzanti, spontanee che solo i bambini e i giovani sanno porre. All’insegnante non compete una risposta “dogmatica”, “bella e fatta”, non è ciò che  gli studenti si aspettano e non è ciò di cui hanno bisogno. Quello di cui hanno bisogno è di qualcuno che cammini a fianco a loro, che sia in grado di farli interrogare, che sia in grado di lasciare le questioni aperte per suscitare il gusto e la voglia della ricerca, della verità di sé e della realtà del mondo. L’insegnante di religione è chiamato ad essere “l’uomo della sintesi”: sia nella propria disciplina, sia come elemento di unità nella multidisciplinarità e infine come “relazionalità” all’interno dell’intera comunità scolastica.

Quale prospettive per la disciplina?

Quale compito educativo  dovrà assolvere l’insegnamento della religione cattolica all’interno del tessuto scolastico? Quale processo evolutivo possiamo aspettarci? La dimensione culturale  dell’ IRC è l’unica chiave di volta in grado di soppiantare tutte le contraddizioni che ruotano intorno alla materia? Anche se siamo in presenza di una lieve diminuzione degli studenti che scelgono di avvalersi dell’ora di religione, la maggior parte degli alunni e delle loro famiglie sceglie di usufruire di  questo spazio culturale che promuove le nostre tradizioni e le nostre radici. Questo dato, che emerge da una società sempre più complessa e secolarizzata, che vede la presenza sempre maggiore di stranieri che aderiscono a confessioni religiose differenti alla nostra, non dove né stupire e né allarmare. I numeri sono ancora dalla parte di un insegnamento, che se vorrà stare al passo con i tempi in continua evoluzione, dovrà essere in grado di traghettare i giovani verso un orizzonte di senso costituito da valori condivisi e ispirati alla nostra cultura religiosa.  Educare la persona ad uno sguardo interpretativo sulla realtà, alla luce della storia e della tradizione cristiana, non significa essere per forza un cattolico praticante o avere fede. Questa materia, per essere valorizzata, dovrà dimostrare di poter coinvolgere tutti, ogni studente a prescindere dal proprio credo o dalla propria fede. Per raggiungere questo risultato l’ambito culturale potrebbe rappresentare il trait d’union con le altre discipline e l’unica “medicina” in grado di curare il mondo “dai mali di stagione”: come la terribile ”l’influenza” che spinge gli uomini a risolvere i conflitti con la guerra. Tale insegnamento  dovrebbe essere in grado di partire dall’uomo, dal bisogno di felicità dell’uomo, dalla realtà, dall’attualità, affinché nulla venga ritenuto estraneo alla dimensione religiosa nella storia. L’oggetto di studio della disciplina dovrà essere prima di tutto “l’uomo”,  la natura umana con le sue domande esistenziali e il profondo senso religioso, che costituisce la sua stessa natura.  Solo così la disciplina dell’IRC potrà ancora essere protagonista e credibile al cospetto dei giovani che hanno perso la fiducia negli adulti, a causa della mancanza di figure credibili e responsabili nel panorama attuale. Da questa crisi di identità la disciplina di religione potrà uscire rafforzata, soprattutto se saranno colte nuove opportunità edificate sulla dimensione cultura e sulla propensione a “prendersi cura” dell’alto.

Luciano Ronconi