Don Gianmario Pagano, parroco romano, youtuber, sceneggiatore, biblista e, soprattutto, prof di religione cattolica. Lo abbiamo intervistato e vi presentiamo la sua testimonianza di docente.

 

Come è nata l’idea di Bella, Prof!?

Dapprima pensavo a un canale aperto a tutti, indiscriminatamente. E, innanzitutto, a un modo per mantenere i contatti con i miei ex alunni. Oggi, il canale cerca di espandere “la classe” a tutti coloro che sono interessati. Negli anni il progetto è cresciuto ed è andata pian piano formandosi una community intorno ai contenuti, e al modo in cui sono trattati.

Anche il modo di presentare i contenuti e la durata dei video è andata ampliandosi…

Esatto. Inizialmente il canale proponeva video brevi ma elaborati; in un secondo momento ho scelto di dare la massima attenzione ai contenuti, seguendo il principio del “tu suona la tua canzone, e a chi piace…”. Si trovano anche formati più brevi, solitamente riduzioni di quelli più estesi.

Il tuo canale su YouTube è un punto di riferimento per la cultura religiosa di qualità, perché fruibile anche da chi ne sa poco o niente in materia.

Ritengo che nell’era di Internet ognuno trovi autonomamente i propri punti di riferimento. Forse lo è per qualcuno. Si tratta comunque di un piccolo canale… Direi, piuttosto, che rappresenta un punto di orientamento per quanti sono alla ricerca di una certa tipologia di contenuti: qualcosa che dia l’occasione di guardarsi intorno, riflettere, rendersi conto di alcune cose e magari comprenderne meglio altre. Ciascuno ha insomma la possibilità di fruire del canale come sente, e alla fine ognuno “si fa la sua idea” in maniera libera.

Quanto è importante per te la questione dell’alfabetismo religioso?

È indubbiamente molto importante. In primis, in riferimento al riscontro negativo della questione, ossia l’analfabetismo religioso: la verità è che, sovente, mancano gli strumenti e le conoscenze di base necessarie a costruirsi un’idea di che cosa siano la religione e l’esperienza religiosa, specialmente quella vissuta nel contesto della fede cristiana. È il paradosso di un paese (formalmente?) cattolico attraversato da una sorta di distacco continuo da questa sua radice, che in fondo ha smesso di essere riconosciuta come tale. L’eredità di questa spaccatura è una “nube di non conoscenza”, che il tempo scava come un profondo vuoto.

Ma certo non si tratta di una problematica recente. Basti pensare agli scritti di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che nella Napoli del Settecento affermava che al popolo mancava la conoscenza religiosa e organizzava lui stesso le missioni popolari e si serviva dell’evangelizzazione per far conoscere la fede cristiana. Ai tempi d’oggi, il problema di un analfabetismo religioso di ritorno è acutizzato dalle molteplici distrazioni della modernità; il rischio è dunque quello di dare corpo a un’idea propria autoriferita in materia di religione, e di creare uno scenario personale che rifugge il confronto. Il canale Bella, Prof! può essere magari anche semplicemente uno stimolo…

Andiamo in classe, prof: da quanto tempo sei docente di religione cattolica?

Da trent’anni, anche se negli anni del seminario insegnavo religione alle elementari. Dal 1994, anno in cui mi fu proposto di lavorare in classe con gli adolescenti, sono rimasto nella scuola secondaria di secondo grado. Accettai volentieri, perché mi resi conto che i giovani che cercavo in parrocchia li avrei ritrovati lì. A scuola ti rendi conto che bisogna fare un lavoro diverso: è dialogo, ascolto, cultura -non ti rivolgi soltanto a persone che frequentano la parrocchia o che hanno fatto una scelta di tipo religioso. L’insegnamento si offre a tutti come formazione completa della persona.

 In questa tua esperienza con gli adolescenti, ricordi il primo giorno di lezione?

No, non lo ricordo perché diventa un po’ il primo incontro… avevo appena iniziato a capire come funzionava. Con i ragazzi, si sa, ci vuole sempre tanta pazienza.

Cosa ami di questo lavoro?

Il rapporto personale con i ragazzi, poter parlare con loro di tutto ciò di cui hanno bisogno di parlare. Se, da una parte, seguo un programma che molto si adatta ai loro interessi, cerco comunque sempre di offrigli una visione della vita oltre che delle informazioni; qualcosa con cui confrontarsi, strumenti per riflettere. Un insegnante di religione poi ha solitamente la possibilità di accompagnarli per l’intero corso di studi, dal primo al quinto anno, li vede crescere e questo per alcuni di loro può fare la differenza. 

Qual è l’argomento che ‘prende’ di più gli studenti nella tua esperienza?

Dipende dai periodi, dai tempi. In generale, direi “parlare di loro”: trattare un argomento facendo riferimento a qualcosa della loro esperienza suscita sempre interesse. Ovviamente, dura poco…A lezione, si sa, c’è un periodo di riscaldamento che serve a raggiungere quei 5-10 minuti in cui ti ascoltano per davvero, per poi distrarsi nuovamente.

Al di là delle polemiche sterili che ciclicamente affiorano sul web, una questione spesso sollevata quando si affronta il tema IRC a scuola riguarda la sua legittimità in uno stato laico e sempre più caratterizzato dal multiculturalismo. Cosa ne pensi?

L’attuale ora di religione si basa proprio su questa esigenza: offrire dei contenuti in uno stato laico, in una scuola laica, a chi è interessato a seguirli. L’ora di religione è facoltativa, punto. Il vero problema in realtà è: qual è l’alternativa? L’alternativa a qualcosa di facoltativo non può essere obbligatoria, ed è qui che nasce il problema, perché evidentemente non c’è niente di abbastanza interessante alternativo all’ora di religione. Nessun problema, quindi: che la scuola offra, o che si facciano delle norme che obblighino le scuole a offrire delle alternative stabili. E il problema è risolto. Non andrei a fare di questo argomento un motivo di scontro di civiltà.

Ad ogni modo, io ho comunque due terzi dei ragazzi che scelgono di seguire l’ora -dunque, evidentemente non è così impopolare. Naturalmente, fondamentale è l’approccio e il lavoro dell’insegnante, il saper fargli capire che non hai intenzione di indottrinarli, conquistare la loro fiducia come docente. L’ora di religione è in realtà confessionale, nel senso che è affidata a persone con una propria appartenenza religiosa, ma la sua destinazione e il suo contenuto non sono di per sé confessionali: si rivolgono a chiunque si interessi all’argomento, e non esclusivamente ai credenti.

Chi ritiene che questo sia importante per la formazione della persona, come credo che sia, ha la possibilità di avvalersene; questo è quindi un servizio che la Chiesa fa, e non un vantaggio. Finché lo Stato vuole, noi lo offriamo. Per contrastare l’ora di religione è necessario rimettere mano a un trattato internazionale, perciò, dal punto di vista normativo, credo che l’ora di religione sia piuttosto “blindata”.

Il vero problema è: vogliamo offrire qualcosa di alternativo? La scuola non sempre riesce a farlo, perché molti dei ragazzi che non scelgono Religione semplicemente non vogliono fare un’altra ora di scuola. Naturalmente, c’è poi una molteplicità di ragioni: gli studenti appartenenti a un’altra confessione religiosa, il genitore che è diffidente…c’è anche l’elemento ideologico, come pure la moda di saltare religione a scuola tra quelli che frequentano la parrocchia, per esempio. Non è certo lo stato laico che motiva studenti e genitori, quanto piuttosto la possibilità di fare un’ora di lezione in meno, a opinion mia. E poi esistono molti altri motivi, anche rispettabili. Si tratta, comunque, di offrire una possibilità. Se un’altra religione stipula un accordo per offrire il proprio insegnamento allo Stato italiano, ciò non contraddice la laicità di quest’ultimo. Una volta l’insegnamento della religione cattolica era obbligatorio, quindi per “saltare la lezione” dovevi ottenere l’esonero.

Adesso seguire l’ora di religione è una propria libera scelta.

Caro don, ti faccio una mossa marzulliana: parli più ai ragazzi di Dio o a Dio dei tuoi ragazzi?

Mossa inevitabile… Come puoi immaginare, passo quattro o cinque ore al giorno in classe con i ragazzi, ma non sono altrettanto asceta; quindi, evidentemente parlo più di Dio ai ragazzi. Che poi non vuol dir nulla, perché in fondo è una questione di intensità.

E con Dante come la mettiamo? Di recente un tuo musical è tornato sul palcoscenico.

Lo spettacolo sulla Divina Commedia è un’opera mista, uno spettacolo teatrale musicale in prosa che in realtà va in scena da diciassette anni. Ha avuto varie edizioni ed è diventato sempre più seguito. Quelle degli ultimi anni stanno avendo più successo, girano i teatri italiani facendo quasi sempre il sold out, e di questo sono molto orgoglioso.

Ho sempre amato Dante, dai tempi in cui lo studiavo al liceo. E sono molto grato al mio professore di italiano, che ogni qual volta dovevamo commentare un canto ci chiedeva di trovare un modo – talvolta anche spostando la classe nel teatro della scuola- di trasformare quella nostra lezione su Dante in una specie di spettacolo, con tanto di musiche scelte da noi… Era davvero bravo a coinvolgerti, e temutissimo: quando parlava lui stavamo tutti zitti. Parlava sottovoce, a volte pure con la mano davanti alla bocca, e ogni volta che sgarravi o facevi lo scemo ti congelava. Era un professore “vecchio stile”, insomma; oggi non usa più. Ma aveva anche una cultura impressionante ed era tanto innamorato della letteratura e di Dante.

Immagino allora che ci sia sempre un buon motivo per parlarne in classe…

Non spesso, ma ogni tanto sì. Anche perché il tempo, lo sai, è molto poco: un’ora a settimana. Se dovessi affrontare un intero canto di Dante mi servirebbe un mese…Ogni tanto faccio riferimenti e collegamenti interdisciplinari, soprattutto in merito ad alcuni aspetti: sull’inferno, il purgatorio e il paradiso Dante offre un’infinità di spunti profondamente validi. La scuola italiana è ancora intrisa di letteratura cristiana, e la maggior parte degli autori -anche se non tutti credenti- sono comunque imbevuti di cultura cristiana, Leopardi compreso, quindi gli spunti interdisciplinari sono moltissimi.

Cosa vogliono gli studenti da un docente, secondo te?

Loro non lo sanno, però credo che -indipendentemente da ciò che loro cercano – sono in un’età in cui non sempre sanno cosa vogliono esattamente… d’istinto, ti direi la giustizia nell’essere valutati. Vogliono essere valutati in maniera giusta, e ascoltati nelle loro esigenze.

Quello di cui hanno veramente bisogno, però, è qualcuno che li sproni a superare i propri limiti e li incoraggi anche alla conoscenza; qualcuno che li appassioni, che sappia suscitare in loro il desiderio di studiare. Magari si scorderanno quello che gli hai insegnato, ma non dimenticheranno la passione che hai acceso in loro per la conoscenza. È di questo che non sanno di avere bisogno -ma, quando lo trovano, lo riconoscono. È certo anche essenziale essere insegnanti competenti, questo è ovvio.

Il fatto è che la conoscenza è intrinsecamente legata all’emozione, e se qualcosa non ci emoziona neanche ce la ricordiamo. E infatti gli alunni nella conoscenza cercano il coinvolgimento emotivo, perché educare non è informare, è nutrire. È una lenta trasformazione che avviene nel corso di un dialogo, e l’insegnante è proprio chi interagisce coi ragazzi parlando con loro. Per imparare, lui per primo, perché un insegnante è colui che impara insegnando. L’ho visto anche con il canale stesso, che mi ha permesso di acquisire molte competenze che prima non avevo. Insegnare ai ragazzi è fargli capire che davvero “non si smette mai di imparare”, che non bisogna mai smettere di studiare, e che mai si deve smettere di rapportarsi al mondo e comprendere che la vita stessa è una scuola. Più che consegnarti delle nozioni, la scuola in fondo deve saper insegnarti a imparare

E tu cosa cerchi nei tuoi studenti?

La verità è che non cerco qualcosa in particolare… Mi fa piacere se i ragazzi ascoltano. Cerco la loro attenzione, quando possibile, e quel minimo di concentrazione che mi offrono è la cosa più preziosa in generale. Cerco il loro ascolto, l’impressione che in qualche modo sentono che ciò che dici ha un valore; cerco di condividere con loro il senso di quello che sento e credo. Cerco questa disponibilità, ma non fa niente se non la trovo sempre o non la trovo subito. Ci vuole pazienza, bisogna saperla scoprire…