Tutti gli IdR e coloro che trattano il tema dell’IRC conoscono il prof. Sergio Cicatelli. Con lui abbiamo fatto in questi decenni numerosi corsi di aggiornamento, scritto testi, effettuato ricerche sul campo, ecc. Conosce bene l’argomento non solo perché insegna questa materia in varie Università e ISSR, ma anche perché è stato per anni un docente di religione nei licei Romani. Abbiamo voluto quindi sottoporgli questa tematica e ascoltare, nell’intervista che segue, il suo parere. 

L’Intervista

La firma del decreto che disciplina le procedure concorsuali nella modalità straordinaria per gli Idr e la possibilità di svolgere un concorso anche nella modalità ordinaria a breve tempo, rappresentano secondo lei un segnale di come il Ministero dell’Istruzione e il governo del nostro paese ancora reputino che l’IRC possa contribuire alla crescita formativa dei giovani?
Credo che occorra distinguere tra l’insegnamento e l’insegnante. Le misure per il reclutamento degli Idr riguardano solo la gestione del personale e arrivano con un ritardo incredibile, che testimonia solo l’inerzia della macchina amministrativa. L’attenzione del Ministero nei confronti dell’Irc andrebbe misurata diversamente, per esempio con la vigilanza sui numerosi e continui abusi compiuti a proposito della scelta dell’Irc (e della sua modifica) o nella gestione dell’alternativa.

L’entusiasmo dell’UAAR per il calo degli alunni avvalentesi negli ultimi anni, tra l’altro alimentato anche da alcuni titoli di testate nazionali importanti, ha una sua valenza oppure non bisognerebbe dargli troppa importanza visto che i dati reali ci dicono che non è poi così alto (0,39%)?
Si tratta sostanzialmente di fake news o di mera propaganda. Non è il caso di fare trionfalismo, ma la tenuta dell’Irc a quasi quarant’anni dall’introduzione del regime neoconcordatario è un dato di fatto, se pensiamo che se ne avvale ancora l’84% degli alunni. Indubbiamente c’è un calo, che merita attenzione, ma non si può parlare di allarme (o di vittoria del fronte laicista).

Perché, secondo lei, è soprattutto il Nord Italia a risentire di questa flessione mentre nel Meridione il tasso di avvalentisi rimane molto alto?
Indubbiamente si tratta di una conferma delle diverse Italie che convivono sul nostro territorio. Il nodo credo che sia la secolarizzazione della società, più presente al Nord che al Sud, ma il divario non è solo geografico: è legato anche all’urbanizzazione (le percentuali di avvalentisi diminuiscono soprattutto nelle grandi città) e ai livelli scolastici (nelle secondarie di II grado, dove sono gli studenti a scegliere, il tasso di adesione è minore).   

Quanto l’IRC potrebbe agevolare a mantenere vivo nei giovani quello spirito critico che, oggi, sembra quasi essere svanito a causa di una maggiore acquisizione di competenze di natura tecnico-scientifica?
L’Irc esprime una cultura umanistica e un’attenzione educativa che oggi è talvolta sostituita da una domanda di formazione strumentale posta dai genitori e dagli stessi studenti. È in gioco la concezione della scuola e della stessa società.

L’IRC potrebbe essere considerato come modello di quella transdisciplinarità in ambito educativo, cioè, come disposizione dei saperi ad aprirsi a livelli sempre più profondi di intellegibilità e come forma di integrazione tra il piano epistemico e quello antropologico- esistenziale, caldeggiata da papa Francesco nella Costituzione apostolica “Veritatis Gaudium”?
Non parlerei di transdisciplinarità ma di domanda di senso, che riguarda tutte le discipline scolastiche e, in genere, il ruolo della cultura e della scuola. L’Irc, proprio in quanto disciplina scolastica priva di una spendibilità immediata (come le discipline tecniche, le lingue straniere o la stessa lingua italiana), ha il compito di richiamare alla “gratuità” della cultura e dell’educazione.

La confessionalità aperta dell’IRC potrebbe, secondo lei, mantenere la sua efficacia anche in prospettiva futura oppure bisognerebbe venire incontro alle proposte di chi vorrebbe più un insegnamento religioso di tipo fenomenologico in chiave inclusiva, eliminando così la disparità tra avvalentisi e non?
La confessionalità dell’Irc è un fattore di chiarezza. La facoltatività deriva dalla natura concordataria dell’Irc, gestito non esclusivamente dallo Stato ma anche dalla Chiesa. Se lo Stato volesse introdurre un insegnamento di storia delle religioni potrebbe farlo liberamente e non dovrebbe chiedere il permesso alla Chiesa. Se non lo si fa è solo per non rompere un equilibrio che forse non si riesce più a spiegare su cosa si regga.

di Marco Mancini