A quarant’anni dal Concordato tra Stato e Chiesa (1984) e nei mesi in cui si prepara il concorso per l’immissione in ruolo dei docenti di religione (2024), ritorna di grande attualità il dibattito sulla necessità dell’ora di religione a scuola, il suo compito e il significato che in una Italia sempre più secolarizzata essa assume. Non mancano le polemiche tra gli schieramenti, i sostenitori da una parte e i contrari dall’altra, come avviene tra l’altro periodicamente da decenni, da chi la ritiene una ingerenza della Chiesa nella laicità dello Stato e chi invece pensa sia una grande opportunità per i gli studenti italiani e confrontarsi sui temi di grande rilevanza nella tradizione italiana ed europea.
Ne parliamo con Ernesto Diaco, laureato in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, formatosi nell’Azione Cattolica dove ha ricoperto ruoli educativi e di responsabilità. Ha svolto il ruolo di docente di Religione Cattolica presso le scuole italiane, ed è giornalista pubblicista, ha ricoperto la carica di vicedirettore del settimanale Corriere Cesenate ed ha all’attivo alcune pubblicazioni. Dal 2015 è direttore dell’Ufficio Nazionale dell’educazione, scuola e università della CEI e dal 2020 è direttore del Centro Universitario Cattolico. Tra i suoi scritti ricordiamo il recente volume L’educazione secondo papa Francesco, EDB 2018.

 

L’intervista

Si ritorna a parlare dell’ora di religione cattolica, come sempre accade si riaccendono le polemiche, vecchie e nuove, tra chi è favorevole e chi è contrario: perché si fatica a comprendere l’importanza della dimensione spirituale e religiosa per un integrale sviluppo dei nostri giovani?
Credo che la ragione principale di alcune incomprensioni risieda nel considerare la dimensione religiosa esclusivamente come un fatto privato, interiore, privo di rilevanza sociale e culturale. A questo si collega spesso un’idea insufficiente di laicità, come se essa significasse l’esclusione del fatto religioso dai luoghi pubblici, mentre una corretta laicità è inclusiva, non escludente. Per quanto riguarda l’insegnamento della religione a scuola, poi, esso è lasciato alla libera scelta degli alunni e delle famiglie, ed è ben diverso dall’attività catechistica. Risponde infatti a ragioni culturali, storiche – la rilevanza della cultura religiosa nella formazione dell’identità italiana ed europea – e pedagogiche: i valori del cristianesimo possono offrire un valido contributo alla crescita culturale e umana dei ragazzi e dei giovani.

Il Concordato del 1984 sostituisce quello confessionalistico del 1929 ponendo l’ora di religione a servizio della persona nel rispetto delle indicazioni costituzionali che garantiscono la libertà religiosa (Cost. artt. 3 e7) senza che tale scelta possa dare luogo a nessuna discriminazione: in che modo l’ora di religione a scuola svolge un servizio alla persona?
Le opportunità formative contenute nell’IRC sono diverse. In primo luogo, offre la possibilità di conoscere e approfondire un patrimonio che è fatto di storia, idee, avvenimenti, istituzioni, luoghi, simboli, espressioni artistiche, ecc. Basti pensare alla Bibbia, pubblicamente riconosciuta come il “Codice dell’Occidente”. Inoltre, l’IRC cerca di promuovere negli alunni competenze quali saper cogliere le domande di senso nell’esperienza umana e nei prodotti culturali; riconoscere il valore di principi quali la solidarietà, la pace, la giustizia, la dignità umana; allenarsi al dialogo e all’accettazione delle diversità; percepire di essere chiamato a vivere con responsabilità nei confronti di sé stessi, degli altri, della comunità sociale e di quella “casa comune” che è l’ambiente.

Lei è responsabile nazionale per la CEI dell’ufficio educazione, scuola e università, quotidianamente impegnato sulla questione educativa in generale e la sfida dell’educazione cattolica in particolare, in una società sempre più secolarizzata: l’Irc può essere un’occasione anche per la comunità ecclesiale che fatica non poco a fare comprendere il suo patrimonio religioso alla generazione Z? 
Certamente: anche la comunità ecclesiale beneficia della presenza dell’IRC nella scuola. Non in termini di frequenza alla Messa o ai sacramenti da parte dei giovani, che non è il fine dell’IRC, ma per quello che gli insegnanti di religione possono portare nella vita della Chiesa: essi infatti stando a contatto diretto con i ragazzi ne raccolgono le domande, i desideri, le difficoltà e possono portare la loro voce nelle comunità cristiane. Inoltre, si tratta di persone con una formazione teologica e pedagogica, che può e deve essere valorizzata in quanto tale.

 Lei è stato per anni anche docente di Religione prima di ricoprire l’attuale incarico presso la CEI: secondo la sua esperienza quale contributo può dare il docente di religione cattolica nella scuola di oggi alle prese con una crisi educativa preoccupante?
L’insegnante di religione è una risorsa nella scuola, per la sua preparazione culturale e didattica e per le motivazioni che lo animano. Non è migliore degli altri; certamente però può far valere la sua competenza e sensibilità educativa. È frequente incontrare docenti di religione che rivestono ruoli e incarichi di responsabilità nelle loro scuole, a riprova della passione che hanno per un ambiente, quello scolastico, che oggi ha spesso bisogno di una cura e un’attenzione particolare, così da qualificarsi come luogo di incontro fra le generazioni, di crescita integrale, di scoperta di significati profondi, come punto di riferimento sul territorio.

Lei è anche impegnato nella formazione dei docenti di religione, molti fra questi, precari da tanti anni, sono in attesa del nuovo concorso per l’immissione in ruolo ed una legittima stabilità: quale parola si sente di dire ai docenti di Religione Cattolica, spesso chiamati ad un compito non semplice e in un contesto di precarietà?
L’attesa ormai è finita. A vent’anni dal primo concorso siamo ora alla vigilia di una nuova procedura per l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione. È un passaggio importante per diversi motivi. Fra gli altri, si tratta di un riconoscimento per una professione che ha piena cittadinanza nella scuola e che deve godere di pari diritti. Dare maggiore stabilità e sicurezza agli insegnanti, mettendoli in condizioni migliori per svolgere il loro lavoro, significa alla fine fare il bene dei nostri ragazzi.

di Paolo Greco