L’ufficialità dell’intesa tra Cei e Ministero dell’Istruzione e del Merito per il concorso straordinario e quello ordinario dei docenti Irc, con la firma apposta dal Card. Zuppi e il Ministro Valditara (9 gennaio 2024), ha riacceso il dibattito sull’opportunità e la validità dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane. In realtà non è un tema nuovo, ogni tanto la questione viene ripresa da chi ritiene che l’insegnamento della Religione Cattolica a scuola sia un’ora che serve soltanto alla Chiesa per insegnare la propria religione (Cfr. www.uaar.it), qualcosa di anomalo che in mancanza dell’ora di alternativa valida, viola la laicità dello Stato, ritenuta una ingerenza della Chiesa nella scuola pubblica.

Il tema al di là della discussione su chi è a favore e chi contrario, acquista una rinnovata rilevanza a quant’anni dal Concordato del 18 febbraio 1984 sottoscritto fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, tenendo conto della situazione attuale della società italiana, dopo il Concordato del 1929, quando furono firmati i Patti Lateranensi. Dall’intesa di quarant’anni fa conseguì ufficialmente il riconoscimento del valore della cultura religiosa e il patrimonio storico dei principi del cattolicesimo e la scelta di continuare ad assicurare agli studenti in Italia “nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.

 

Un dato rilevante

Anche se si registra un calo, l’84% dei giovani studenti italiani sceglie di frequentare l’ora di religione cattolica. Nonostante la recente indagine demoscopica realizzata dal mensile Il Timone in collaborazione con Euromedia Research della dottoressa Alessandra Ghisleri, in cui si registra che oltre un terzo della popolazione italiana, ben il 37% si dichiara “non credente”, e soltanto appena il 13,8% si dichiara “credente” e cattolico, frequentando la chiesa per andare a messa, ancora in tanti scelgono di avvalersi dell’Irc a scuola. Si tratta di un dato rilevante, l’Italia centro della Cristianità che nella pratica si mostra di fatto post-cristiana sceglie in larga maggioranza di iscrivere i propri figli all’insegnamento della religione cattolica a scuola, anche se si registra una lieve diminuzione nel nord, mentre un’alta percentuale di iscritti al sud.

Sono elementi che devono interrogare profondamente i docenti di religione cattolica, in primo luogo per il fatto che nonostante l’avanzare di una cultura secolarizzata, come ha ricordato di recente papa Francesco: “da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo”, tanto che “la sua Parola non pare più una bussola di orientamento per la vita, per le scelte fondamentali, per le relazioni umane e sociali”, ancora tantissime famiglie, seppure non credenti, sceglie di fare frequentare ai propri figli l’Irc; in secondo luogo tale dato afferma il riconoscimento della validità dell’Irc per la formazione dei propri figli. Cosa che carica di ulteriore responsabilità il compito del docente di religione nella scuola di oggi.

 

Non è solo una questione di numeri

In una società sempre più secolarizzata, dato il lento e pur continuo calo degli iscritti all’Irc, c’è chi ritiene come Giuseppe Narciso, coordinatore provinciale degli atei, agnostici e razionalisti, che bisogna mettere fine all’imposizione dell’IRC nella scuola pubblica italiana a favore di una formazione laica (Cfr. www.lastampa.it/torino2024/01/14). Dimenticando non soltanto il significato del concetto di laicità, che viene rispettato pienamente perché l’ora dell’Irc a scuola non è da confondersi con il catechismo (Cfr. Card. Bagnasco, Presidente CEI 2016, Messaggio sensibilizzazione iscrizione all’ora di religione a scuola), ma anche del fatto che tale scelta, come si rileva dall’intesa tra lo Stato e la Chiesa è facoltativa, non imposta e sempre libera, a totale discrezione dei genitori, a cui compete la scelta della formazione dei propri figli, i quali possono sempre scegliere di frequentare l’alternativa.

Per cui il criterio per interpretare i dati non può essere superficialmente secondo il freudiano “principio del piacere”, siccome non piace più una disciplina non la si insegna più, come ha sostenuto il prof. Luciano Pace, insegnante e autore, invitandoci a comprendere bene cosa i grafici vogliono dire. I quali a differenza di una società che si allontana dagli insegnamenti del Vangelo ci confermano l’attualità della domanda religiosa, la quale resta viva nel cuore dell’uomo contemporaneo e dei nostri giovani, che pur lontani dalle attività della parrocchia continuano a porsi l’interrogativo di Dio, anche se a modo loro, come ha confermato l’indagine di qualche anno fa di Daria Bignardi e Rita Bichi Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia (Vita e pensiero 2015).

Pertanto tale contesto ci mette dinanzi ad una situazione che non possiamo analizzare in maniera banale, continua il prof. Pace: “di fronte a una situazione di questo tipo, il dato che risalta non è tanto quello di chi decide di non avvalersi dell’Irc, perché risulta spesso comodo farne a meno. Il dato di fatto più interessante da notare è quello per cui in tutt’Italia, dopo trent’anni, ancora circa l’80% in media degli aventi diritto (dato al ribasso, perché chi scrive non è un sociologo raffinato come Weber vorrebbe) frequentano l’Irc nonostante la possibilità di decidere di fare nulla di istruttivo in alternativa. Questo accade solo perché piace ed è ballabile? Siamo seri… Non è più probabile supporre la conclusione per cui, come segnala la Cei, questa disciplina è riconosciuta di valore formativo da chi la frequenta?” (Cfr. Avvenire, 24 gennaio 2024).

 

Perché ha ancora senso l’Irc a scuola oggi

L’inserto il Venerdì di Repubblica (9 febbraio 2024) ha dedicato una intera copertina al senso dell’Irc a scuola, entrando nelle pieghe di un dibattitto pubblico ancora aperto e a polemiche che non si fermano: con un articolo indagine di Stefania Parmeggiani sull’attuale svolgimento dell’Irc nelle scuole e un articolo di Claudia Arletti che ripercorre le fasi di un patto che mise d’accordo quasi tutti. Potrebbe essere intesa come, forse sbagliando, una domanda faziosa se posta da chi per una ideologia si è già dato una risposta e per una convinzione di parte giunge a conclusioni senza comprenderne le ragioni e i significati dell’ora di Irc a scuola. Ma può essere anche accolta come una provocazione sincera per chi continuamente si mette in discussione per migliorare il proprio servizio educativo, acquistando così una rinnovata rilevanza alla luce del cambiamento sociale e culturale in atto.

Nell’Italia di oggi dunque ha ancora senso l’insegnamento della religione cattolica a scuola? La domanda ritorna di attualità e si presta ad una molteplicità di riflessioni con annesse polemiche che di ritornano periodicamente e dividono da una parte i favorevoli e dall’altra i contrari, tra chi vorrebbe sostituirla con un’ora di educazione civica o di etica e morale, e chi vorrebbe l’ora di catechismo, che qui anche per motivi di spazio, non intendo affrontare nei particolari, ma soltanto per quanto attiene alla domanda che si viene a porre, per chi scrive di massima importanza, anche per aiutare chi come me e tanti colleghi a comprendere il compito del docente di religione cattolica nella scuola di oggi attraversata da una pluralità di sfide e da non poche criticità.

Chiaramente il Concordato del 1984 risente dell’allora contesto sociale e politico, mutato rispetto a quello del 1929, frutto di una scelta da parte dei contraenti, come si legge dalle stesse pagine dell’inserto sopra citato, che si giunse alla “sostituzione del Concordato confessionalistico” del 1929 con uno “a servizio della persona” e nel rispetto delle indicazioni costituzionali che garantiscono la libertà religiosa senza che tale scelta possa dare luogo a discriminazione (Cfr. Costituzione Italiana art. nn.3 e 7) con un insegnamento, culturale e storico e non catechistico, rendendolo facoltativo e abolendo l’obbligatorietà, configurando la validità dell’idoneità dell’Ordinario diocesano per riconoscere il diritto alla Chiesa di fare da sé in materia religiosa. Una scelta rivoluzionaria per quel tempo. L’IRC nella nuova prospettiva si collocava nelle finalità della scuola non come una occupazione dello spazio laico, bensì come un servizio richiesto dallo Stato alla Chiesa Cattolica, in quanto esperta in umanità come affermò Papa Paolo VI (Cfr. Populorum progessio, 26 marzo 1967), ecco il valore dell’idoneità del Vescovo che garantisce in materia religiosa la docenza.

Dunque ha ancora senso l’ora di religione (cattolica) a scuola? Lasciamo la parola allo Stato più che alla Chiesa a questo punto, il quale nelle indicazioni nazionali del MIUR del settembre del 2012 afferma che: l’Irc a scuola contribuisce allo sviluppo armonico e integrale della persona, rispettando il cammino di crescita di ciascuno, a partire dalla scuola dell’infanzia e fino al primo e secondo grando di istruzione, dove si riflette sui grandi interrogativi dell’esistenza umana (ricerca dell’identità, vita di relazione, complessità del reale, bene e male, scelte di valore, origine e fine della vita, radicali domande di senso…) in un confronto con la dimensione spirituale e religiosa, e la risposta maturata nella tradizione cristiana, all’interno della Costituzione e della tradizione europea. In definitiva è lo Stato stesso che riconosce il valore e il senso dell’Irc nelle scuole italiane, una preziosa opportunità di crescita culturale, umana e di sviluppo del pensiero critico.

 

L’ora preziosa … dell’umano integrale!

Spesso si assiste a scene di grande confusione al momento dell’iscrizione dei figli a scuola, non manca un attimo di titubanza al momento della scelta se avvalersi o meno dell’ora di Religione: il dubbio è su che cosa insegna un docente di religione cattolica a scuola? Non sono pochi quelli che ancora pensano che faccia catechismo. Non è così lo abbiamo scritto, nell’ora di religione si affrontano molteplici tematiche relative agli interrogativi esistenziali che i nostri giovani si portano dentro, in particolare alla domanda di senso della vita, come sui valori e dibattiti sull’attualità. Perché la dimensione culturale e spirituale della formazione dei nostri studenti è cardine dello sviluppo umano, come afferma la Gaudium et Spes (7 dicembre 1965).

L’ora di religione a scuola resta un momento prezioso per la crescita dei nostri studenti, Jesus uno dei più diffusi mensili di cultura religiosa in Italia l’ha definita “l’ora sulla soglia” (n.1 – 2024): nell’editoriale di don Vincenzo Vitale viene descritta come una “frontiera preziosa”, “la grande occasione” per i nostri giovani, che hanno di confrontarsi in una pluralità di vedute con la visione di Dio e dell’umano nelle grandi tradizioni spirituali e religiose della storia e nello specifico messaggio del cristianesimo in una prospettiva di elaborazione culturale senza farne uno spazio di proselitismo.

Non è a scuola per occupare spazi e presidiare terreni ma per la crescita umana e culturale degli studenti, per sviluppare un pensiero critico e aperto all’altro. Papa Francesco nella Evangelium Gaudium, ci ha ricordato un criterio ermeneutico che non dovremmo mai dimenticare, “Il tempo è superiore allo spazio” (Cfr. EG nn. 222-225): criterio che bene si applica anche all’Irc, perché ci invita ad assumere “la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo”. Questo in pratica vuol dire “iniziare processi più che di possedere spazi”, che occupare posti prestigiosi, riconoscimenti sociali, ect. Si tratta di privilegiare le azioni e le relazioni che generano nuovi dinamismi nel cuore dei giovani, senza l’asia di possesso, ma con convinzione e nel rispetto di tutti.

A me piace definire l’ora di religione, l’ora dell’umano integrale, perché si prende cura della dimensione più profonda e caratteristiche dell’essere umano, ciò che le tradizioni spirituali e religiose nella storia hanno interpretato e raffigurato, il mistero che lo avvolge, che si esprime, come sostiene il prof. Zelindo Trenti, l’esigenza di un incontro, in cui il desiderio e l’attesa affermano una tenace aspirazione alla risposta. Tra l’altro presagita nelle condizioni concrete della sua esistenza, ma anche elusa da queste. In altre parole l’ora di religione offre gli strumenti non solo per leggere una storia e conoscere le radici della propria tradizione culturale, ma educa gli studenti alla semantica per interpretare l’esperienza umana che per quanto racchiusa in un orizzonte angusto possiede una prerogativa di risonanza e di ascolto che trascendono il limite del tempo e dello spazio. Si apre all’incontro con l’assoluto. Per cui l’opzione religiosa nel processo formativo, che si giunga o meno ad una risposta, rivela e dice la dignità umana che conduce la domanda religiosa (Cfr. Z. Trenti, Opzione religiosa e dignità umana, Armando Mondadori 2001).

di Paolo Greco