Il tema su cui torniamo a riflettere su questo numero della rivista è oggi molto attuale, in particolare dopo le manifestazioni di grandi violenze sociali in cui soprattutto i giovanissimi sono stati protagonisti. Ma fin dalle origini della nostra cultura occidentale, con l’avvento del cristianesimo il tema dell’amore verso i nemici, del perdono delle offese, del far del bene a chi ti perseguita ha costituito uno dei pilasti della nuova fratellanza cristiana. 
La breve riflessione che segue, ispirata dall’introduzione al testo Educare alla pace (pagg. 27-30), intende offrire una risposta al dilagante fenomeno della violenza attraverso la visione, la strategia e l’uso delle tecniche della nonviolenza. Nella prima parte il testo presenta la visione della nonviolenza,  nella seconda le strategie per renderla efficace oggi, nella terza parte le tecniche operative che sono lo strumento pratico nei diversi contesti di vita. Nel solco della nonviolenza possiamo individuare la risposta più adeguata alla violenza diffusa nel mondo giovanile.

 

La visione, la strategia e le tecniche della nonviolenza

Il clima culturale odierno in Europa e nella gran parte del mondo, soprattutto dopo questa esperienza drammatica del ritorno alla guerra in Europa, sembra non rispondere alle richieste della nonviolenza. In questo clima si rischia di ridurre la nonviolenza ai comportamenti individuali, senza chiedere un collettivo cambiamento del sistema. La violenza non turba più le nostre coscienze, se non in alcuni casi macroscopici e percorre la nostra quotidianità con comportamenti implicitamente violenti. La violenza parte dall’uso disinvolto e approssimativo delle parole e, senza che ce ne accorgiamo, contribuisce alla strutturazione violenta dei nostri rapporti sociali. La traumatizzazione collettiva, ormai largamente diffusa, con continue stimolazioni di messaggi, immagini, rumori, suoni, informazioni, proposte e azioni, costituisce una condizione stabile di pressioni violente che non ci sorprendono più e irrompono inconsapevolmente nella nostra quotidianità divenendo abitudini. La stessa cronaca giornaliera di violenze e omicidi efferati e immotivati non ci turba più.

La nonviolenza, invece, si costruisce giorno per giorno attraverso comportamenti responsabili, aperti e amicali, di cittadinanza attiva, verso il proprio ambiente e le persone con cui conviviamo. Anche la caduta delle consuetudini, degli stili di vita e dei riti di passaggio (ritmo del giorno e della notte, alternanza del lavoro e del riposo, dello studio e del gioco, ecc.) sottomessi ormai alle regole del consumismo mercantile rende più difficile avere delle certezze e delle mete, dei ritmi, dei compiti e degli obiettivi nonviolenti. L’incontro con l’altro e con le circostanze di vita dovrebbe divenire un’occasione quotidiana di conoscenza, non legata all’emergenza o allo scontro imprevisto, ma ad un atteggiamento stabile all’apertura e alla scoperta creativa[1].

1.Il rapporto tra la nonviolenza e l’agire violento

La nonviolenza conosce la differenza tra colui che compie azioni violente e l’agire violento. Distingue sempre la persona, dal suo agire e non la identifica con la sua colpa.
L’obiettivo della nonviolenza è il raggiungimento della persuasione comune e la ricomposizione dell’unità, da raggiungere attraverso il dialogo. L’avversario è trasformato in alleato contro l’atto ingiusto, da superare insieme, per la ricostruzione della giustizia. Sotto le differenze rimane la stessa umanità che ci unisce e da cui può sempre venire qualcosa di buono. Il nonviolento è persuaso che qualcosa di sacro è nell’avversario, anche se malvagio. Nel suo agire non c’è solo malvagità e negatività. Se sostituisco la resistenza violenta con quella nonviolenta, il violento si ritrova in un nuovo sistema di valori e di fronte ad un’apertura inattesa che avvia in lui nuove possibilità. In questo confronto, che sembra uno scontro, l’obbiettivo è sempre il compromesso per il superamento del contrasto, non la sconfitta dell’avversario[2].

2. Il metodo e tecniche nonviolente

La nonviolenza non è solo una disposizione dell’animo verso l’altro, ma riguarda anche le forme pratiche in cui si declina l’agire nonviolento. Più che sulla conoscenza delle tecniche, il metodo si basa sulla decisione spirituale di apertura all’altro, da cui poi nascono creatività, impegno e azioni concrete. Per questo il metodo non si limita ad una raccolta organica di tecniche. Resta sempre aperto a nuove idee, modalità e azioni mai pensate prima. Il metodo è nato dalla sperimentazione empirica, si sviluppa attraverso una elaborazione critica e quindi trova una sistematizzazione utile, sia dal punto di vista teorico, che educativo e pratico, per affrontare determinate situazioni problematiche[3].

3. La nonviolenza nel rapporto tra mezzi e fini

Nel nostro normale agire la persona può sì scegliere i mezzi con cui tendere a un determinato obbiettivo, ma non conserva, in genere, il potere esclusivo sull’effettivo raggiungimento del fine. È così che i mezzi vengono separati dai fini. Mentre nella nonviolenza i mezzi devono sempre restare legati strettamente ai fini.  I mezzi sono strumenti, essi stessi, di nonviolenza. Non si può arrivare alla verità se non per mezzo della Verità. Non si arriva all’Amore che con l’amore. In questo senso il fine della nonviolenza è unito indissolubilmente anche al mezzo utilizzato per il suo raggiungimento.

4. Nonviolenza e potere

La riflessione sulla nonviolenza è anche una riflessione sul potere. In senso positivo il potere può essere inteso come la possibilità e la capacità di agire in modo libero e creativo. Quando però degenera in senso negativo e diviene dominio e sopraffazione allora spegne la libertà e la creatività.  In questo caso la nonviolenza si oppone al potere.  La nonviolenza è infatti la capacità di usare in maniera giusta e creativa la forza e il potere[4].

Di fronte a strutture sociali basate sul dominio autocratico e sulla violenza cristallizzata, la nonviolenza diviene contestazione e rivoluzione creativa. Non accetta il mondo com’è, ma coopera per il suo cambiamento senza distruggerlo. La rivoluzione nonviolenta è pacifica, gentile, permanente e aperta. È un continuo divenire, una costruzione costante, una disponibilità perseverante, il potere al servizio nella verità d’amore, per costruire unità ed uguaglianza tra tutti[5].

 

NOTE

[1] M.B.Rosemberg, Le parole sono finestre. Introduzione alla comunicazione non violenta, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2003, pp. 15-20.

[2] A. Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa, cit., pp. 68-69.

[3] A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, cit., p. 10.

[4] D. Dolci, La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Scandicci 1996.

[5] R.Covelli, Potere forte. Attualità della nonviolenza, Effequ, Firenze 2020, pp. 17-22