La connessione tra violenza giovanile e musica è un tema dibattuto che suscita interesse e preoccupazione nella nostra società. Mentre la musica può essere una forma di espressione artistica e un veicolo di identità per i giovani (e non solo), talvolta si è sollevata la questione se alcuni generi possano contribuire all’aumento dei comportamenti violenti. Esaminiamo questa complessa relazione e alcuni possibili interventi educativi per mitigare gli effetti negativi.

Possiamo davvero prendercela con la musica?

La musica svolge un ruolo significativo nell’identità dei giovani Sapiens Sapiens, influenzando il loro stile di vita e le interazioni sociali. Tuttavia, alcune forme di musica possono contenere messaggi o rappresentazioni esplicite della violenza, suscitando preoccupazioni riguardo alla possibile incidenza su comportamenti aggressivi tra i giovani. È importante sottolineare che non tutti i giovani che ascoltano musica violenta diventano aggressivi. La correlazione non implica causalità. Motivo per cui è fondamentale esplorare il contesto socio-culturale in cui i giovani sono immersi e comprendere come certa musica possa influenzare le loro percezioni e i loro comportamenti.

Dobbiamo peraltro riconoscere che i rapporti tra generi musicali e violenza sono complessi e soggettivi. Alcuni critici sostengono che certi stili musicali, come il rap o il metal, possano influenzare comportamenti aggressivi. Tuttavia, ci sono studi che indicano che non esiste una relazione diretta tra la musica e la violenza. Il modo in cui un genere esprime emozioni intense non dovrebbe essere automaticamente frainteso come un incentivo alla violenza. In ultima analisi, la percezione della connessione tra musica e violenza dipende moltissimo dall’interpretazione individuale (con tutto il patrimonio esperienziale sotteso) e dalle sfumature culturali.

Tutta colpa della Trap…?

Facciamo un esempio, piuttosto prevedibile: il legame tra la trap e la violenza è spesso oggetto di dibattito. La trap, sottogenere dell’hip-hop, spesso affronta temi come la vita di strada, la criminalità, le sfide quotidiane e propone (o denuncia) un sovvertimento dei valori della cultura da cui cerca di prendere le distanze. Alcuni critici sostengono che i testi explicit e la rappresentazione della violenza nella trap possano influenzare comportamenti negativi. In questo caso oltre l’aspetto musica-testi dovremmo aggiungere anche e soprattutto il messaggio contenuto nei videoclip.

Non v’è dubbio sull’aspetto critico di tutto ciò. D’altro canto, molti artisti trap sottolineano che le loro canzoni riflettono esperienze personali e il contesto sociale in cui vivono, senza necessariamente promuovere la violenza. La trap può essere vista allora come una forma di espressione artistica che descrive, denunciandola anche, la realtà, piuttosto che come causa diretta di comportamenti violenti.

In definitiva, il rapporto tra la trap e la violenza è complesso e varia tra gli artisti e le loro prospettive. La critica dovrebbe tener conto del contesto culturale e sociale in cui si sviluppa la trap per evitare inutili generalizzazioni e comprendere appieno il suo impatto sull’orientamento assiologico dei ragazzi.

Una complessità compressa

La violenza giovanile è un problema complesso, e quando parliamo delle possibili correlazioni (non rapporti causali!) con la musica è di capitale importanza evitare quindi generalizzazioni e riconoscere che essa ha le sue radici in una società sempre più complessa e sotto molti aspetti compressa. Per contrastare questo fenomeno, banalità delle banalità, la partita decisiva si gioca sul campo educativo. Ma come? È necessario giocare d’anticipo.

Purtroppo, lavorando sul campo, vedo che non basta promuovere una certa consapevolezza critica tra i giovani, incoraggiando la riflessione sui contenuti musicali. Le scuole possono implementare programmi che sviluppino competenze di analisi e discernimento nei confronti delle influenze mediatiche. Tuttavia, prima ancora di arrivare alla consapevolezza critica, miraggio di tempi adolescenziali sempre più lunghi, è necessario guardare con più attenzione l’universo infantile e preadolescenziale. È necessario che la c.d. tenera età sia ricolma di esperienze positive, costruttive, che andranno poi a formare le costellazioni di ricordi sempre disponibili al bisogno.

A partire da qui e su un terreno così si può poi “progettare”. Potenziare i programmi educativi che promuovono la gestione delle emozioni e la risoluzione pacifica dei conflitti diventa sempre più obiettivo minimo nelle scuole di ogni grado. Ma non basta, si tratta di un compito a cui possiamo e dobbiamo rispondere in modo comunitario.

L’educazione sociale ed emotiva può essere un baluardo contro comportamenti violenti, fornendo ai giovani gli strumenti per affrontare le sfide senza ricorrere alla violenza. Creare spazi sicuri e inclusivi dove i giovani possano esprimersi attraverso la musica in modi positivi può contribuire a cambiare la percezione della musica come fonte di aggressività.

Conclusioni

La relazione tra musica e violenza giovanile è complessa e richiede un approccio equilibrato. Gli interventi educativi mirati a promuovere la consapevolezza, l’apertura al dialogo e la diversità musicale possono contribuire a mitigare potenziali effetti negativi.

Se però da un lato educare i giovani a essere critici e consapevoli consumatori di musica è fondamentale per favorire una società in cui la creatività musicale coesiste con il rispetto e la comprensione reciproca è auspicabile che sia il ‘fare musicale’ ad aprire nuove possibilità di crescita. Da questo punto di vista la scuola dell’obbligo può fare molto di più.

In conclusione, l’affrontare la violenza giovanile legata alla musica richiede un approccio transdisciplinare. La combinazione di consapevolezza critica, educazione emotiva e coinvolgimento comunitario può essere la chiave per mitigare questo problema sociale.

Al resto ci penserà la Musica.