“Certe volte non è importate ciò che si disegna, ma è bello lasciare la testa pensante e abbandonarsi liberamente e felicemente al disegno della mano”

Sono le parole dell’artista Duccio Santini, architetto e insegnante, uomo di poche parole, ma persona di profonde riflessioni e ironia che si esprime con le immagini, soprattutto con il disegno. Ha frequentato il Liceo artistico e poi laurea in Architettura a Firenze, vive a Colle di Val d’Elsa in provincia di Siena, dove ha esercitato la professione lavorando molto nel campo del design e dell’architettura.
Crediamo che quella dell’arte creativa possa essere una via educativa in cui i giovani possono convogliare le loro energie creative che spesso invece trovano espressione in comportamenti deleteri, dannosi, distruttivi e violenti.

 

L’intervista a Duccio Santini

Duccio Santini

Duccio Santini

 

Che cosa è per lei l’arte?

Duccio Santini 6 agosto

Duccio Santini 6 agosto

L’arte è difficile da definire. Per me è la rappresentazione di idee e pensieri che attraverso lo strumento del disegno presento ad altri. Cose che invento io, oppure un paesaggio: li vedo e poi li disegno come piace a me. Non cerco mai di fare concorrenza alla fotografia. E’la mia rappresentazione della realtà: le immagini, il pensiero e il disegno. Fondamentalmente potrei descrivere due azioni: la rappresentazione della realtà come io la vedo e la rappresentazione del fantastico come lo percepisco.

 

Come può descrivere la sua arte?

Scrittura asemica

Scrittura asemica

Disegno da sempre, fin da bambino, ho sempre preferito il grafico rispetto al colore.  In alcuni periodi ho usato anche gli acquerelli, per me disegnare è come scrivere, è raccontare. La narrazione nasce dalla necessità di esprimere sé stessi e condividere le proprie immagini. Il racconto a livello grafico ha un’analogia con le parole, con il concetto di linguaggio. I grafemi hanno valenza formale e concettuale. Il segno non è solo una rappresentazione, ma è anche il sé. La scrittura asemica non è decifrabile, ma esprime il pensiero con l’immagine.

 

Come nasce una sua opera?

Villaggio Abbandonato

Villaggio Abbandonato

Dallo sguardo, e poi con il tratto, governo la visione. Anche nell’atto del disegnare, la mente è sempre attiva, come una porta aperta; è la curiosità che mi suggerisce il cosa e il come. Si potrebbe dire che è un’azione spontanea e ricercata allo stesso tempo.

Se non ho un input preciso, tiro una linea e libero l’immaginazione. E’ con un segno, una linea che si sconfigge il foglio bianco e inizia l’elaborazione del pensiero. Le occasioni creative, sono ovunque: in mezzo alla gente, in una riunione; guardo, ascolto e la mano corre sul foglio. La matita rende visibile il pensiero.

I miei ricordi sono sempre legati al disegno. Alla scuola media presi coscienza della sua potenza, un insegnante mi fece apprezzare gli schizzi e da quel momento è divenuta la forma di arte che più mi appartiene. E’ la velocità di esecuzione che mi interessa, la possibilità di rappresentare da molti punti di vista la stessa immagine.

 

Quali sono i soggetti che rappresenta di più in questo periodo?  

Duccio Santini Utopia

Duccio Santini Utopia

Soprattutto elementi di design e architettura. Declino la forma architettonica in molti modi, propongo anche forme nuove che potrebbero concretizzarsi.  Ma sono quelle irrealizzabili, come mettere su una punta aguzza una montagna, che mi permettono di ripensare l’essenza della forma, ciò che può raccontare. Anche davanti ad un quadro del Rinascimento, per esempio, mi concentro sulla predella o sul fondale, perché è in questi particolari che c’è il racconto più libero, meno costruito. Amo molto i particolari cerco di scoprire ciò che è insito nella parte più nascosta della rappresentazione.

 

Ho visto che disegna anche macchine da corsa.

Estetica delle macchine

Estetica delle macchine

Si, per me sono importanti, mi riportano alla mia infanzia, quando andavo a vedere la Mille miglia, è un ricordo di famiglia. Amo molto i ricordi, rivivere l’atmosfera, le immagini, i suoni i colori, le emozioni. Ora ho abbandonato la serie delle macchine, soprattutto quando hanno iniziato a cambiare le forme. Ho sempre apprezzato le linee fondamentali, i segni che riproducono il rumore. Una macchina la disegno inventandola, non la ricopio, riprendo forme così essenziali che spesso non sono apprezzabili da altri. Una cosa che veramente amo sono le macchine da produzione che vedevo nella mia città nelle officine, macchinari complessi; è il meccanismo che mi affascina come l’architettura. A volte cerco di unire architettura e macchina. Ricerco l’essenza delle forme, scarnisco il disegno, lo porto alle estreme conseguenze.

Andando avanti nell’età, cerco sempre di più l’essenziale, anche nella vita quotidiana. Con una linea si po’ dire tutto, è fondamentale. C’è chi dice che il disegno è portare a spasso un punto e la linea è fatta di punti.

 

Secondo lei, come si possono educare i giovani ad apprezzare l’arte?

Segni e ricordi

Segni e ricordi

Come insegnante cercavo di demolire la paura di disegnare. La rappresentazione non può competere con la fotografia a parte l’assonometria e la prospettiva, ma nella qualità del segno, nel rappresentare l’architettura mi interessava che lo studente potesse vedere un rapporto fra il segno e l’immagine da riprodurre, che riproducesse il pensiero.

Anche nella storia dell’arte le regole di rappresentazione sono spesso saltate a favore di un sentimento. Per apprezzare un’opera devo vedere una forma finita, compiuta. Non amo il super realismo.  Arte è la rappresentazione del sé più che la rappresentazione dell’oggetto. Questo avviene anche nel design. E’ sempre la ricerca della forma che mi guida, anche se devo disegnare un macchinario, lo disegno per forma e non per funzione. Posso estrapolare la forma e portarla ad elemento di architettura. Per esempio una vite la posso immaginare come un grattacielo. Ci si può vedere la sottoforma, si percepiscono cose per altre funzioni. Cercare di ridurre all’essenziale, facendo in modo che se ne veda la rappresentazione, con il minor impatto visivo possibile, lascia spazio alla creazione.
Con i miei nipoti ho visto proprio questo: mi affascina il segno dei bambini. Partendo dai loro disegni, dalla loro immaginazione, rendo possibile un percorso nuovo, faccio quel pezzo di strada che loro non hanno ancora fatto.

Per educare ad apprezzare l’arte, si deve ridurre il distacco che allontana i ragazzi dalla rappresentazione artistica in modo semplice, aiutandoli ad entrare nell’opera e vederci le cose che loro stessi possono vedere. L’arte non si può inquadrare in categorie troppo strette, bisogna che sia vicina alle persone. L’arte è un mondo intimo che entra in dialogo con il tuo io. Bisogna potersi fermare a guardare ciò che suscita che dice un’opera, insegnare a goderne. Fermarsi solo su alcune opere, è quella la chiave per poter apprezzare ciò che si vede. L’amore per l’arte si tramette attraverso esperienze positive, coinvolgenti. Bisogna far capire ai ragazzi che è scoperta, entrare in contatto, lasciarsi emozionare. Usare linguaggi troppo specifici, spesso difficili, allontana le persone. Il primo impatto è fondamentale, ci si può fermare alla forma o porsi domande, anche solo per la curiosità, poi viene la ricerca, la voglia di approfondire.

Giuliana Migliorini