I tempi lunghi della strada educativa per contenere la violenza giovanile

Se l’eterno e grave problema della violenza giovanile s’intende affrontarlo per tentare di risolverlo in tempi rapidi, non credo esistano tante altre strade fuori della repressione e di una prevenzione intesa come dispiegamento di forze deterrenti.
Se, invece, si pensa di affrontarlo con la consapevolezza che, certamente non per risolverlo, almeno per contenerlo evitandone il dilagare sono necessari tempi lunghi, non credo esistano strade percorribili oltre quella educativa.

La via pedagogica del teatro

E, se si sceglie la via pedagogica, il teatro può, indubbiamente, costituire uno dei percorsi più interessanti e utili, come hanno dimostrato e continuano a dimostrare numerose esperienze all’interno delle carceri. Il bellissimo film di Paolo e Vittorio Taviani Cesare deve morire, in cui si racconta la messinscena della tragedia shakespeariana Giulio Cesare da parte dei detenuti del reparto di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia, fu, una decina di anni fa, l’autorevole testimonianza di un lavoro diffuso e spesso anonimo che porta un enorme contributo alla lotta contro la violenza, in specie quella giovanile.

Il contributo educativo dell’esperienza teatrale 

Ho avuto modo di sperimentare personalmente la potenza educativa del teatro con persone dai trascorsi violenti rappresentando spettacoli e conducendo laboratori teatrali, per diversi anni, per e con i detenuti della Casa circondariale di Latina e credo siano due, soprattutto, le dimensioni del teatro che permettono di ottenere ottimi risultati lavorando in questa direzione.

La prima dimensione è la natura “drammatica” del teatro
Il dramma, come spesso è stata ed è ancora definita l’azione teatrale, viene proprio dal verbo δράω (drao) che, in greco, significa “agire”. E l’azione teatrale è sempre uno scontro. Non esiste teatro senza l’azione di uno scontro, anche nel teatro comico: sulla scena accade sempre la messinscena di forze che si oppongono l’una all’altra, incarnate almeno da due personaggi, persino quando in scena ve ne fosse uno soltanto. Quello teatrale è quindi un ἀγών (agone), un agone, una competizione basata sulla forza, anche quando questa forza non si materializza sul piano fisico. Come nel caso dello sport, nel teatro si agisce sempre una guerra simulata.
Si comprende dunque come esso possa essere una formidabile occasione per scaricare un impulso violento, presente nella natura umana, in maniera controllata e non violenta.

La seconda dimensione è lungo un processo di autocoscienza.
Nel teatro è insita la capacità di guidare chi lo pratica lungo un processo di autocoscienza. Ogni piccola azione sulla scena appare proiettata verso l’esterno di chi la agisce: verso gli oggetti presenti in scena, verso gli altri attori e gli spettatori. Ma essa trova forza soltanto nella “rincorsa” che deve necessariamente prendere retro-dirigendosi all’interno di chi porta quell’azione. Praticando il teatro si scoprono, insomma, aspetti della propria personalità precedentemente sconosciuti e, fra questi aspetti, per esempio anche le forme di aggressività e gli impulsi violenti.

L’orazione funebre che Antonio pronuncia sul cadavere di Cesare

Nel già citato Giulio Cesare di Shakespeare, nella seconda scena dell’atto terzo, troviamo la famosa orazione funebre che Antonio pronuncia sul cadavere di Cesare in cui, fra l’altro, dice: “Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa.”
Potremmo prendere spunto da queste parole per dire che per contribuire a lottare affinché “il male”, la violenza, che dal primo gesto del giovane Caino si riverbera sull’umanità, smetta di continuare “oltre la loro vita”, occorre far sì che “il bene” non venga più “sepolto insieme alle loro ossa”.
Probabilmente il teatro come strumento pedagogico può dare un grande contributo a questa impresa.

di Giancarlo Loffarelli