INTERVISTA alla Prof.ssa Maria Raspatelli per la Rivista di Pedagogia e Didattica ermeneutica esistenziale ERMES EDUCATION

Siamo felici di porre le nostre domande alla Prof.ssa Maria Raspatelli, insegnante di Religione Cattolica in un Istituto Tecnico di Bari, vincitrice quest’anno del prestigioso premio Global Teacher Award, il riconoscimento promosso da Aks Education Awards, che premia ogni anno i docenti più innovativi e creativi fra quelli di 110 Paesi del mondo.

 

L’intervista

  • Complimenti Prof.ssa Raspatelli per il premio che ha ricevuto. Un riconoscimento davvero importante in un tempo dove spesso la scuola è sulle pagine di cronaca per gravi episodi, in cui le vittime sono i docenti. Come si fa ad essere la docente più brava del mondo? Perché tra tutti è stata scelta proprio lei? Cosa pensa le abbia fatto meritare tale prestigioso premio?

AKS Education Award premia i migliori docenti al mondo. Il premio è stato conferito anche ad altri docenti nel mondo. Il riconoscimento che AKS attribuisce ai migliori docenti non è finalizzato a dar gloria al docente, ma a costruire una comunità educante che s’interroghi e si confronti sulle best practices legate all’educativo.

Nella motivazione del premio si riconoscono i più alti standard di eccellenza nel campo dell’istruzione e l’aver ispirato e plasmato molti studenti e persone in tutto il mondo.  Inoltre mi hanno riconosciuto dedizione, impegno e immenso contributo all’intera fraternità educativa per aver stabilito un punto di riferimento di eccellenza per gli insegnanti. Perché sono stata scelta proprio io? Questo dovrebbe chiederlo alla giuria. Non credo di essere la “migliore docente al mondo”. Sono tanti i docenti nella scuola italiana che spendono la propria vita per la formazione dei propri studenti, so però di essere una docente “appassionata” del proprio lavoro, che vive il proprio ruolo educativo e formativo nella scuola come una vocazione, una vocazione che si forma continuamente in ambito pedagogico, didattico e umano. Studio continuamente nuove strategie e nuove metodologie per interessare e appassionare i miei studenti allo studio e al piacere dello studio. Curo con particolare attenzione i rapporti umani, unica via per avviare e mantenere un costante rapporto d’insegnamento/apprendimento. La dimensione della cura nell’insegnamento è indispensabile.

 

  • Il riconoscimento che ha ricevuto afferma le sue indubbie qualità professionali, ma allo stesso modo anche il valore dell’insegnamento della Religione Cattolica a scuola, una materia spesso oggetto di discussione, percepita da qualcuno più che una opportunità, una minaccia alla libertà e la laicità dello Stato. L’IRC a scuola è una risorsa oppure un problema? Secondo lei perché tale disciplina è ancora oggetto di questa antica querelle laicista?

L’insegnamento della Religione Cattolica è un’opportunità, soprattutto in questo particolare momento storico. Conoscere è sempre un’opportunità. Molto spesso la percezione, da parte di qualcuno, che possa essere una minaccia alla laicità dello Stato è dettata probabilmente da pregiudizio e da una non approfondita conoscenza della materia. Lo studio della Religione Cattolica a scuola offre una possibilità di confronto ai nostri alunni e alle nostre alunne che nulla ha a che fare con la scelta di fede. Nel mio percorso di studi ho studiato Nietzsche, Marx, il Buddhismo, l’Induismo, l’Islam e tanto altro, non per questo ho aderito a queste filosofie o religioni. Non vedo pertanto come, studiare a scuola una cultura, quale quella cristiana che è stata fondativa per il nostro Paese, possa costituire una minaccia e non piuttosto un arricchimento. I docenti di religione cattolica non sono catechisti, il loro compito è lo stesso degli altri docenti, cioè contribuire alla formazione dell’uomo e del cittadino. Condurre il ragazzo e la ragazza ad una scelta di fede è compito della famiglia e non del docente, perché riguarda l’ambito delle scelte personali in cui l’unico responsabile è la persona stessa.

 

  • La rivoluzione digitale cambia le nostre vite e anche il modo di rapportarci alla trasmissione della conoscenza e del sapere. L’utilizzo del Computer, della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e del Tablet è indispensabile: cosa che da una parte modifica la didattica e di conseguenza l’apprendimento degli studenti, mentre dall’altra rischia di causare nuove emarginazioni: secondo la sua esperienza qual è il compito della IRC nella scuola digitalizzata? Come si fa ad insegnare l’IRC a scuola oggi?

La rivoluzione digitale sta cambiando il nostro stile di vita e la nostra percezione del mondo con sempre maggiore rapidità. È proprio la rapidità dell’innovazione che può costituire un problema poiché non lascia i giusti tempi di riflessione che inevitabilmente accompagnano ogni cambiamento, soprattutto quando parliamo di cambiamenti epocali.

L’errore che spesso si commette, è di considerare i nuovi strumenti informatici semplici strumenti e non invece causa di un cambiamento strutturale del nostro modo di pensare, di orientarci e di agire nel mondo, riducendo l’intero processo ad una sterile semplificazione, incapace di cogliere la complessità del mutamento. La religione cattolica ha il ruolo di favorire negli studenti una cultura che integri la formazione umana e spirituale, e utilizzo questo termine nel senso più ampio possibile, con il contesto digitale in cui viviamo. La religione cattolica, inoltre, può aiutare gli studenti a riflettere sull’etica e il senso di responsabilità nell’uso delle tecnologie digitali, incoraggiandoli a sviluppare comportamenti responsabili e rispettosi delle persone nell’ambiente digitale.

Nella scuola digitalizzata l’IRC può svolgere un ruolo importante nella sensibilizzazione degli studenti nei confronti del riconoscimento dell’alterità. Le nuove tecnologie possono essere utilizzate in classe per favorire il dialogo e la comprensione tra diverse tradizioni religiose e culture, incoraggiando gli studenti a rispettare e valorizzare le diversità, ad abbattere gli stereotipi e ad essere aperti al confronto costruttivo.

La prima cosa che mi viene in mente è l’utilizzo delle tecnologie per creare esperienze di apprendimento autentiche, come visite virtuali a luoghi di culto di rilevanza artistica, non immediatamente fruibili sul territorio. Mi piace pensare e far sperimentare agli alunni anche la possibilità di diventare creatori di prodotti multimediali da mettere a disposizione di altri studenti. In tal modo si andrebbero a sviluppare non solo le competenze verticali, ma anche quelle trasversali fra cui quelle comunicative insieme alle cosiddette life, hope e soft skills. È interessante evidenziare che l’alunno, in tal modo, inizia a comprendere i meccanismi che si nascondono dietro la creazione di un prodotto multimediale e, con l’aiuto dell’insegnante, può  iniziare una riflessione critica sulle nuove tecnologie e più in generale sulla vita.

In conclusione, la religione cattolica nella scuola digitalizzata ha il compito di fornire una formazione dello studente che si integri con il contesto digitale, promuovendo valori di inclusione, etica digitale e dialogo interreligioso e incoraggiando la riflessione critica sull’uso e sul valore delle tecnologie.

 

  • Papa Francesco ha parlato di un “cambiamento d’epoca” quello che stiamo vivendo, segnato da un balzo tecnologico e culturale velocissimo che pervade ogni ambito della vita, per questo ha invitato ad un “Patto educativo globale” che rimette al centro la persona e far fronte alle nuove sfide: secondo lei, qual è la formazione che serve ai nostri studenti oggi? L’IRC quale contributo può dare in tale prospettiva? Tutto il bagaglio umanistico di cui è portatrice può essere utile per la formazione dei nostri giovani?

Ogni cambiamento, dice papa Francesco, ha bisogno di un cammino educativo che coinvolga tutti. Per questo è necessario costruire un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte. Prima di parlare di quale formazione serva ai nostri studenti, dovremmo soffermarci su quale tipo di formazione serva a noi docenti.

Abbiamo bisogno di docenti che abbiano il coraggio di mettere al centro la persona e le diano valore, che se ne prendano cura. Mettere al centro la persona significa prestare attenzione, avere attenzione per qualcuno. Luigina Mortari afferma che l’attenzione è un disporre la mente a ricevere il massimo di realtà possibile. È l’attenzione come concentrazione sull’esterno che consente di acquisire comprensione della realtà. S’impara la qualità della realtà prestando attenzione e ascoltando. Mettere al centro l’alunno è fondamentalmente questo: orientamento verso l’altro (attenzione educativa) e ascolto attivo. Elementi questi che servono anche a leggere il mondo circostante nella sua complessità e mutevolezza.

Ovviamente oggi la formazione dei nostri studenti non può essere semplice trasmissione di conoscenze, ma questo lo darei per acquisito da parte dei docenti. La lezione frontale e la trasmissività del sapere hanno perso la centralità nell’azione didattica proprio grazie alle nuove tecnologie e alla possibilità di un accesso illimitato al sapere da parte dei nostri alunni. Allora, dovremmo iniziare a lavorare e a stimolare tutte le dimensioni dei nostri alunni e delle nostre alunne: quella cognitiva, ma anche quella affettiva-relazionale, sociale, etica e spirituale. La pervasività delle nuove tecnologie spinge i nostri ragazzi verso la “disgregazione psicologica”; se bambini e ragazzi sono costantemente sollecitati da stimoli rapidi e molteplici, è difficile che possano iniziare a rapportarsi con la propria interiorità, con i propri desideri e con le proprie paure. In questo credo che il contributo dell’IRC sia essenziale. Il Papa dice che è necessario soffermarsi sull’educare le domande, sul “perché” e non semplicemente sul “come”. Ridare il tempo e lo spazio necessari per far riemergere le questioni fondamentali dell’esistenza, dei grandi desideri, delle grandi narrazioni, delle grandi nostalgie che ci riconciliano con la verità della nostra umanità. In questo senso credo che l’IRC e la tradizione umanistica cristiana abbia da dire qualcosa di significativo. Inoltre, l’insegnamento della religione cattolica può contribuire alla formazione dei giovani attraverso la promozione del dialogo interreligioso e interculturale, incoraggiando la comprensione, il rispetto e la valorizzazione delle diverse tradizioni religiose e culturali presenti nella società. Essa può fornire un contesto in cui gli studenti possono riflettere sulla propria identità, sul senso della vita, sulla dimensione spirituale e sull’importanza della ricerca del bene comune; può offrire un contributo significativo per comprende valori come la dignità umana, la solidarietà, la giustizia, l’amore e il rispetto per gli altri.

 

  • Insegnare diventa sempre più complicato, durante quest’anno scolastico in Italia si sono manifestati gravi casi di violenza verso i docenti, come ricordavamo prima, per ultimo quello di Abbiategrasso, che molto ha colpito l’opinione pubblica: secondo lei perché tutta questa aggressività nelle nostre classi? Al di là delle responsabilità individuali dei casi suddetti, secondo lei è necessario cambiare anche la didattica attuale e adeguarla ai reali bisogni dei nostri studenti?

Prima parlavamo della “disgregazione psicologica” e i frutti di tale disgregazione sono sempre più evidenti. In alcuni casi si manifestano con episodi di autolesionismo, a volte anche gravi, in altri casi in forme di aggressività gratuita. Le motivazioni sono complesse, tra loro correlate e per questo non basta solo modificare la pratica didattica, ma agire in sinergia su più fronti. Occorre dare vita a quel “villaggio globale” di cui parla il Papa. Spesso le azioni aggressive vengono da parte di giovani in condizioni di disagio socio-economico e culturale, ma sempre più spesso non è così. Le azioni di violenza nei confronti dei docenti sono attuate da alunni che all’apparenza non hanno alcun tipo di disagio. Allora sì, è necessario proporre nuovi percorsi, sperimentare nuovi metodi d’insegnamento, tenendo sempre presente la dimensione dell’attenzione, dell’ascolto e della cura, ma è altrettanto necessario ricostruire il patto educativo con le famiglie e con le altre agenzie che sono presenti sul territorio. In questo senso penso ad eventuali percorsi di formazione genitoriale, di cui possa farsi carico la pastorale per la scuola. Dialogare con le istituzioni per intervenire preventivamente su alcune situazioni con problematiche evidenti. Il problema è non lasciare la scuola e dunque i docenti soli a dover rispondere a tutto quello che la sfida dell’educativo pone in essere. La scuola ha una parte di responsabilità, ma non è responsabile di tutto.

 

  • Nel ricevere il premio Global Teacher Award ha dichiarato di dedicarlo a tutti i docenti di Religione Cattolica: perché questa dedica? Si tratta di un ruolo non sempre riconosciuto e rispettato come dovrebbe?

Il premio non è legato esclusivamente alla mia attività di docente di religione cattolica, non solo a questo, ma a tutta una serie di progetti e di attività in cui nel corso degli anni ho investito il mio tempo e le mie energie. Perché l’ho dedicato agli insegnanti di religione? Perché è una materia che spesso non viene riconosciuta. Il fatto stesso che la valutazione non concorra all’attribuzione della media scolastica è un forte indizio di discriminazione. Credo, però, che il fatto di non avere un peso nell’attribuzione del voto, non significhi che non abbia un valore. La dedicazione del premio ai docenti di religione serve a dire che si può essere docenti significativi nel percorso di crescita degli studenti e delle studentesse che ci sono stati affidati perché riusciamo a dar loro valore perché siamo capaci di renderli protagonisti del processo educativo. Molti docenti di religione sono apprezzati nei contesti scolastici in cui operano, sono riconosciuti nella loro funzione docente dalle famiglie, che hanno colloqui costanti e continui con loro. Ecco perché ho dedicato questo premio ai docenti di religione, per dire che, in mezzo a mille difficoltà, noi possiamo essere presenti nella scuola italiana e dare il nostro contributo costante alla crescita integrale delle nuove generazioni con competenza, professionalità e cura amorevole verso l’altro.

di Paolo Greco