Da alcuni anni è tornata a circolare nel contesto socioculturale occidentale la cupa profezia sull’incipiente tramonto dell’Occidente[1]. Oggi gli aspetti politici che si intrecciano con quelli sociali e culturali evidenziano il malessere occidentale. Sul piano politico le difficoltà delle democrazie, vanto dell’Occidente, corrono il rischio di essere sostituite da regimi illiberali[2].
La sfida multietnica e multipolare si unisce all’inarrestabile crisi demografica, espressione di una visione pessimistica sul futuro e di una più generale disgregazione sociale e morale.
Le difficoltà economiche degli ultimi decenni aggravate dalla pandemia, unite ai problemi climatici, energetici, ambientali e ora alla guerra, sono “talpe che scavano in profondità” e producono cambiamenti strutturali. Stiamo entrando in una stagione carica di incognite sia globali che nazionali: i nodi restano aggrovigliati, la sfiducia cresce, sale una nuova rabbia, la società è spaccata tra gli obbedienti rassegnati e i ribelli arrabbiati[3]. A questa grande incertezza si aggiunge il declino degli Stati Uniti e l’emergenza di nuove potenze, in primis la Cina, che renderà più complessa la gestione delle diversità e degli scontri culturali[4]. Da non sottovalutare lo sviluppo del continente africano che marcia verso una crescita demografica esplosiva[5].

Che fine farà la società aperta Occidentale garantita dalla leadership degli Stati Uniti? E la capacità dell’Occidente di essere motore propulsore dei processi di democratizzazione?
Il processo d’integrazione europea ha subito negli ultimi anni un forte rallentamento in seguito all’affievolirsi dei rapporti euro-atlantici, al crollo dei debiti sovrani, all’aumento dei flussi migratori e alla nascita di forti movimenti populisti interni anti UE[6].
Da tutte queste considerazioni emerge lo scenario futuro di un’Europa debole e divisa che, all’esterno, diviene preda delle competizioni delle grandi potenze: Stati Uniti, Russia, Cina, e all’interno, dell’islam europeo difficilmente integrabile[7]. A questi fattori problematici si deve aggiungere anche lo sviluppo tecnologico ed informatico di cui iniziamo a costatare i negativi effetti, diretti e indiretti, sulla sicurezza, la comunicazione e l’organizzazione produttiva.

Solo l’Occidente sembra avere risorse culturali, politiche, economiche, sociali per garantire stabilità, libertà, sicurezza e una protezione minima dei diritti individuali. Oltre a salvaguardare l’ordine internazionale con regole garantite può favorire progresso e benessere all’interno dei paesi e nella vita quotidiana delle persone[8].
Considerata la debolezza degli organismi internazionali, un deciso processo d’integrazione europea e occidentale potrebbe dare vita ad una federazione di Stati, aperta alla partecipazione di tutti, che sappia ricreare l’equilibrio, oggi spezzato, tra la potenza di pochi e il diritto di tutti di far sentire la propria voce negli affari dei diversi stati[9]. Potrebbe essere questo il presupposto necessario per instaurare un clima di pace che consentirebbe alla nonviolenza di operare e gestire, nel rispetto della verità, le problematiche che sorgeranno e risolvere i conflitti secondo giustizia e amore.

Nonviolenza e crisi della globalizzazione

Dopo i due eventi catastrofici della pandemia e della guerra, la globalizzazione geografica e spaziale ha subito una profonda crisi e una generale retromarcia.
Siamo stati costretti dalla pandemia a isolarci negli spazi privati limitando le relazioni amicali e familiari per lasciare solo quelle necessarie. Abbiamo chiuso i confini tra gli stati e la libera circolazione limitando al massimo le relazioni internazionali.
Contemporaneamente si sono sviluppate in modo quasi maniacale le relazioni virtuali e la   comunicazione online. Si sono moltiplicate a dismisura le App, le call fino a stravolgere la distinzione tra tempo di lavoro e tempo privato. La globalizzazione è così divenuta virtuale al punto che anche i grandi incontri delle principali istituzioni e organizzazioni internazionali avvengono online[10].
Stiamo seguendo da casa nostra, quasi in diretta, attraverso i corrispondenti di guerra, gli scontri sul campo. Nonostante la censura delle istituzioni governative riusciamo a vedere via internet i video e le informazioni di ciò che accade in ogni parte del mondo.

Con la crisi della globalizzazione anche la complessità derivata da un concorrere incontrollabile di concause nello stesso evento problematico ha subito un ridimensionamento. Ne è seguito uno stato generale di confusione, di incertezza e di dubbio sulla possibilità di conoscere, valutare e governare situazioni problematiche. Ogni decisione viene contestata evidenziando altre varianti che sembra non abbiano inciso e condizionato la decisione[11]. Se però la contestazione è legittima, lo è altrettanto la responsabilità di prendere una decisione. Ne consegue per la nonviolenza la libera responsabilità di non collaborare subendone le conseguenze. La visione nonviolenta non si oppone alla spinta della globalizzazione e alla complessità da essa generata, ma cerca con creatività di governarle per lo sviluppo integrale della persona umana. La nonviolenza segue un modello culturale che vede nella semplificazione dei bisogni la via di una nuova socialità universale collaborativa, fondata sulla costruttiva ricerca di soluzioni condivise nella verità.

Nonviolenza e cambiamento tecnologico ed ecologico

La crisi energetica, climatica, ambientale ed ecologica, che oggi tocca particolarmente i paesi più sviluppati, ci spinge ad aprire velocemente una nuova fase di sviluppo postindustriale. È indubbio che la nostra sia una società matura dell’informazione e che le ICT abbiano generato a tutti i livelli un cambiamento. Siamo entrati in una nuova epoca storica dopo quella della caduta dell’impero romano e della diffusione della stampa. Un balzo in avanti comunicativo, organizzativo e gestionale, sul piano dello studio e della ricerca, che possiamo senza ombra di smentita definire epocale. Siamo entrati nella quarta rivoluzione dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud, quella dell’infosfera globale in cui siamo ormai connessi gli uni gli altri senza soluzione di continuità[12]. È necessario “unire politiche ambientaliste verdi con politiche digitali blu a supporto di una politica dell’esperienza e non del consumo, imperniata sulla qualità delle relazioni e dei processi e non sulle cose e le loro proprietà, per sostenere l’ambiente e sviluppare una buona società dell’informazione”[13].
In questa grande spinta al cambiamento la non violenza non può rimanere indifferente, ma deve dare il suo contributo sul piano del modello e anche delle strategie e delle tecniche di intervento per salvare la centralità della persona umana e della vita, nella verità e nella giustizia.

Nonviolenza e cambiamento politico sociale

I cambiamenti sociali e culturali degli ultimi quarant’anni hanno generato in Occidente una forte ricerca di protezione dalle fragilità dello scenario globale.
Le organizzazioni politiche hanno tentato di sminuire i problemi che gli elettori percepivano come principali: disoccupazione, povertà, austerità, illegalità, gestione del territorio, smaltimento rifiuti, immigrazione, ecc. La lontananza della politica dai ceti popolari, l’incapacità di rappresentarli e di parlare il loro linguaggio, la convinzione della superiorità etica delle proprie ideologie, la ricerca di vantaggi e privilegi, hanno creato un fossato incolmabile che ha allontanato le masse dalla partecipazione politica e sociale. La crisi delle democrazie occidentali e il ritorno generalizzato alle oligarchie e alle dittature sono oggi un segnale inequivocabile del disagio.
La progressiva distanza dei cittadini dalla partecipazione politica ha generato un’ondata montante di frustrazione che ha trovato risposta nel populismo[14].  La politica populista che si è diffusa in Europa in forme sempre più estese si rivolge direttamente al popolo e si esprime attraverso movimenti e partiti con tratti fortemente nazionalisti.

Nella nuova fase post politica una nuova frattura sembra intrecciarsi con quella tradizionale di destra – sinistra: la dicotomia fra forze dell’apertura e forze della chiusura. La destra liberale e la sinistra democratica celebrano le virtù dell’apertura delle merci e dei capitali, delle persone, delle informazioni, dei modelli culturali. I partiti e movimenti populisti all’opposto, puntano sulla chiusura delle frontiere per fermare l’«invasione» dei migranti, l’invadenza delle merci straniere e l’autorità delle istituzioni sovranazionali, ecc. Destra liberale e sinistra ufficiali, si trovano unite nella loro fiducia nel processo di integrazione nazionale, economica, culturale. Per il fronte populista, destra e sinistra, diventano meri aggettivi, pallide etichette di un fenomeno unico: l’impetuosa domanda di protezione che sale dai popoli.

Il disagio sociale che spinge i cittadini a ribellarsi in maniera decisa al sistema basato sui partiti deve però trovare istituzioni politiche capaci di incanalare il malessere e proporre risposte positive e convincenti[15]. La nonviolenza supera queste contrapposizioni e non è né di destra, né di sinistra, né populista. Sicuramente ha una visione politica e si impegna nella soluzione delle problematiche sociali con una strategia e delle tecniche coerenti con la sua opzione radicale per la costruzione della giustizia nel rispetto di ogni persona e della verità.

Nonviolenza e risposta educativa al cambiamento

È indubbio che in un contesto socioeconomico in profonda crisi, che sta vivendo le conseguenze di una radicale trasformazione, il sistema educativo sia in estrema difficoltà. Ma rimane tuttavia la risorsa principale per rispondere alle sfide del cambiamento. Ci sono alcuni momenti, in particolare quelli del disordine provocato dal cambiamento, in cui non è più sufficiente la bontà, la pazienza o la ricerca della coercizione. La relazione educativa è fuor di dubbio un’azione esercitata nella libertà al di là di ogni forma di violenza, ma sicuramente deve poter usare anche forme di regolamentazione e di coercizione. L’appello alla coscienza e alla ragione può divenire inefficace e si deve ricorrere allora alla costrizione. Senza collera, ma con fermezza si deve intervenire in una logica di rispetto della dignità di chi si educa.

L’opera educativa si esercita anche nell’ambito delle relazioni e dei conflitti umani che in alcuni momenti richiedono l’intervento coercitivo dell’azione nonviolenta. La violenza è una contraddizione radicale delle aspirazioni più profonde dell’uomo e non è giustificabile in alcun modo sul piano educativo. Rifiutata totalmente la violenza, si possono immaginare nell’educazione altre vie alternative per raggiungere una condizione di equilibrio, di rispetto e di verità. Vie, metodi, mezzi, strumenti, tecniche alternativi che rispettino le dinamiche di crescita della persona.

Per generare un nuovo sistema educativo che risponda alle istanze del cambiamento sono però “necessari progetti di grande respiro ispirati da scelte etiche e politiche assai forti che tengano conto delle onde lunghe della storia” [16]. Per rinnovarsi il sistema educativo dovrebbe abbandonare un’educazione centrata sulla dimensione trasmissiva, gerarchica ed emulativa[17] per far posto a un’educazione generativa[18] che sviluppa la cultura della domanda, dell’impostazione critica e della messa in questione dell’assetto interpretativo e operativo consolidato. L’educazione generativa rompe la continuità con il passato, si apre alla ricerca e alla creatività e si impegna a intercettare, analizzare e valorizzare le nuove attese, idee e conoscenze verso obiettivi definiti e condivisi[19]. È Il contesto culturale ideale per l’approccio libero e creativo della nonviolenza. La nonviolenza non è contraria alle spinte dell’innovazione e attraverso la condivisione delle risorse e la libera collaborazione[20], cerca di costruire risultati che rispettino la verità delle situazioni e la giustizia nelle relazioni tra le parti che vivono una condizione di conflitto.

 

Note

[1] E. Galli della Loggia, Cent’anni dopo Spengler, Vita e Pensiero, Milano 2018 pp.15-19. Cfr. A. Panebianco – S. Belardinelli, All’alba di un nuovo mondo, Il Mulino, Bologna 2019, 1° parte.
[2] Y.Mounk, Popolo vs democrazia, Feltrinelli, Milano 2018
[3] D. Capezzone, Bomba a orologeria, Piemme, Milano 2022.
[4] Sia l’interpretazione economica che quella socioculturale, concordano nel definire i mutamenti descritti irreversibili e di lungo periodo. Cfr. A. Panebianco, L’Europa sospesa tra Occidente e Oriente, in A. Panebianco – S. Belardinelli, All’alba di un nuovo mondo, cit., eBook 1°parte, pos. 86-716.
[5] La popolazione africana lieviterà da 1,3 a 2,5 miliardi di persone nell’arco di 30 anni. E secondo alcune proiezioni, il 60% della popolazione africana sarà sotto i 25 anni entro il 2050. https://24plus.ilsole24ore.com/art/dai-green-bond-venture-capital-cosi-l-africa-puo-attrarre-finanza-verde-A. ETngCu
[6] Tra le cause possiamo indicare: la fine del sostegno americano, la mancanza dell’unione politica, la tensione con le democrazie nazionali, l’elezione di un papa non europeo che predilige l’extra Europa. A.Panebianco, L’Europa sospesa tra Occidente e Oriente, cit.
[7] Nel 2016 erano presenti in Europa 26 milioni di musulmani.
[8] “Una congiuntura favorevole mette l’Europa in condizione di essere il soggetto ideale per costruire la dimensione collettiva di questa nuova tecnologia di organizzazione e definizione della società”. Cfr. M.Russo, Statosauri. Guida alla democrazia nell’era delle piattaforme, Quinto Quarto Edizioni, Faenza 2021, pp.176-77.
[9] A. Panebianco, L’Europa sospesa tra Occidente e Oriente, cit., eBook 1°parte, paragrafo 6, pos. 547-612.
[10] In questi giorni di guerra il premier ucraino Zelenschi ha incontrato online i parlamenti delle nazioni europee, la commissione UE, l’Assemblea dell’ONU, ecc.
[11] Le due situazioni oggi più evidenti sono quelle della pandemia e della guerra che stiamo vivendo. Ad esse si aggiunge strettamente la crisi energetica ed ecologica.
[12] L.Floridi, La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina editore, Milano 2017
[13]  L.Floridi, Il Verde e il blu, Raffaello Cortina, Milano 2020, Introduz.
[14] Una risposta sommaria e inadeguata, che ha però consentito di superare le angosce del presente.
[15] Cfr. L. Ricolfi, Sinistra e popolo, Ed. Longanesi, Milano, 2017
[16] La violenza è la negazione di ogni senso educativo. Dalla ricerca nonviolenta del senso vero della storia può conseguire un agire di verità. Concludeva così E.Weil il testo La filosofia politica ”la nonviolenza nella storia e attraverso la storia è divenuta il fine della storia”. E.Weil, La filosofia politica, Edizioni Guida, Napoli 1973, p.294
[17] L.Toschi, La comunicazione generativa, Apogeo, Milano 2011, pp. XII, XV,XVI.
[18] Cfr. F.Celi – D. Fontana, Fare ricerca sperimentale a scuola. Una guida per insegnanti e giovani ricercatori, Erikson, Trento 2003, pp.185-198
[19] Ivi, pp.198-216. La scuola generativa insegna a capire le “grammatiche della domanda” fin dall’infanzia, a sperimentare, a essere “motori” della ricerca di soluzioni sostenibili per superare la crisi che attraversiamo.
[20] Si afferma una nuova organizzazione e catalogazione delle conoscenze di tipo “emergente”, in cui ciascun utente è responsabile dei contenuti condivisi e decide insieme agli altri quali conoscenze debbono essere accettate. P. Himanen, L’etica e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli, Milano 2001.

 

Tratto dal nuovo testo: R.Romio, Educare alla pace nella didattica ermeneutica esistenziale, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2023, pp-87-96