L’intervista di papa Francesco

Instancabile, papa Francesco continua a offrirsi come mediatore di pace. Ma all’ultima sua proposta di negoziato, lanciata una settimana fa in un’intervista al settimanale dei gesuiti di New York “America Magazine”, la reazione di Mosca è stata persino brutale.

“Questa non è nemmeno russofobia, ma perversione della verità”: così la portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, ha liquidato gli argomenti del papa. “Indignazione” per le “insinuazioni” papali ha espresso anche l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev. E infine è stato lo stesso ministro degli esteri Sergey Lavrov a bollare come “non cristiane” le parole del papa. Aggiungendo: “Il Vaticano ha detto che ciò non si ripeterà e che probabilmente c’è stato un malinteso, ma questo non aiuta ad aumentare l’autorità dello Stato pontificio»”.

A provocare le furiose reazioni di Mosca è stato quel passaggio dell’intervista in cui il papa ha detto di avere “molte informazioni sulla crudeltà delle truppe” mandate ad aggredire l’Ucraina, con l’infelice specificazione che “generalmente i più crudeli sono forse quelli che vengono dalla Russia ma non dalla tradizione russa, come i ceceni, i buriati, e così via”. Non solo la barbarie propria dei “mercenari”, quindi, come in precedenza il papa aveva lamentato in un paio di occasioni, ma anche di particolari etnie non russe, i cui capi, in testa il ceceno Ramzan Kadyrov, hanno anch’essi rumorosamente protestato.

La svolta dopo l’incontro con l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk 

La svolta va ricondotta all’incontro che il papa ha avuto in Vaticano il 7 novembre con l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk , da lui conosciuto e stimato già da quando era arcivescovo di Buenos Aires. E si è materializzata principalmente in quella toccante “Lettera del Santo Padre al popolo ucraino” diffusa il 24 novembre che lo stesso Shevchuk aveva chiesto a Francesco di scrivere, e che è molto vicina nello stile e nei contenuti ai messaggi che quotidianamente il capo dei greco-cattolici ucraini rivolge ai suoi fedeli.

Il 24 novembre era l’antivigilia del giorno in cui si fa memoria dell’Holodomor, cioè del “terribile genocidio, lo sterminio per fame nel 1932-33, causato artificiosamente da Stalin in Ucraina”, testualmente definito così da Francesco non solo nella lettera al popolo ucraino ma anche nell’udienza generale di mercoledì 23 novembre, all’Angelus di domenica 27 e nell’intervista ad “America” del 28. E già questa è una novità di enorme peso, nei giudizi del papa sull’aggressione della Russia all’Ucraina, tanto più per l’uso della qualifica di “genocidio” che solo pochi Stati al mondo hanno fin qui applicato all’Holodomor, richiamato da Francesco “come un precedente storico del conflitto” di oggi.

In più c’è ora nelle parole del papa una descrizione di questa guerra che è tutta e soltanto dalla parte del popolo ucraino “martirizzato” e contro quell’altro Stato che “lo martirizza”. Ma soprattutto c’è nella lettera di Francesco agli ucraini un’affermazione che in lui è senza precedenti. È là dove scrive: “Penso a voi, giovani, che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro”. E più avanti: “Sono ammirato del vostro buon ardore. Pur nell’immane tragedia che sta subendo, il popolo ucraino non si è mai scoraggiato o abbandonato alla commiserazione. Il mondo ha riconosciuto un popolo audace e forte, un popolo che soffre e prega, piange e lotta, resiste e spera: un popolo nobile e martire. Io continuo a starvi vicino”.

Parole chiare di Francesco a sostegno della lotta armata degli ucraini

È la prima volta dopo nove mesi di guerra, che Francesco dice parole chiare a sostegno della lotta armata degli ucraini contro i russi. All’opposto della linea pacifista tuttora professata dalla quasi totalità delle sigle cattoliche italiane, al seguito, a loro dire, del papa.  Quello che fino a un mese fa incolpava l’Occidente e la NATO di aver provocato la Russia, “abbaiando” ai suoi confini? Quello che faceva risalire anche questo conflitto, come tutti, alla “pazzia” della fabbricazione e del commercio mondiale delle armi? Quello che escludeva che possa mai combattersi una guerra “giusta”?

Le reazioni del mondo cattolico

Come vescovo di Roma e primate d’Italia, Francesco ha dietro di sé un popolo cattolico i cui leader più in vista, le cui strutture associative e i cui organi di stampa invocano tutti la pace ma disapprovano l’invio di armi all’Ucraina. Fin dal primo giorno dell’aggressione russa Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, si schierò per la resa dell’Ucraina, lanciando un appello perché Kyiv fosse dichiarata “città aperta”, cioè occupata dall’esercito invasore senza opporvi resistenza. Lo scorso 5 novembre fu ancora Riccardi a tenere il discorso di chiusura del grande corteo pacifista – con l’adesione di quasi tutte le associazioni cattoliche – che percorse le vie di Roma fino a San Giovanni in Laterano, con decine di bandiere di Sant’Egidio in piazza, ma comprensibilmente neppure una dell’Ucraina sventolata da ucraini.

È “Avvenire”, il quotidiano ufficiale della conferenza episcopale italiana diretto da Marco Tarquinio, a schierarsi ogni giorno per la pace in Ucraina, sempre però contro l’invio di armi a quella nazione. Sono stati Stefano Zamagni e Mauro Magatti, due intellettuali cattolici di spicco – il primo economista e presidente della Pontificia accademia per le scienze sociali e il secondo docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano e segretario delle Settimane sociali dei cattolici italiani –, a lanciare in ottobre un piano di pace in sei punti, comprendenti tra l’altro dei referendum per l’autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk, la creazione di un ente paritario russo-ucraino per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie del Donbass e la cessione di fatto della Crimea alla Russia.

Fino a un mese fa aveva facile gioco, questo mondo cattolico, a rivendicare per sé l’appoggio del papa. Ma oggi? Non sorprende che la lettera del 24 novembre di Francesco al popolo ucraino abbia avuto una fredda accoglienza da parte di questo stesso mondo cattolico. Un mondo che naturalmente non manca di valide voci dissonanti, sia pur rare. Tra cui c’è quella di Vittorio Emanuele Parsi, professore di relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano e direttore, nella stessa università, dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali.

Tratto da Sandro Magister, http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/, 3 dicembre