Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca ed è necessario prendere coscienza delle nuove sfide che dobbiamo affrontare per ripensare il presente e soprattutto il nostro futuro.
Possiamo dire che la crisi attuale dell’Occidente è una crisi morale e deriva dalla perdita di consapevolezza della sua identità culturale e religiosa. L’appannamento di questa consapevolezza ha generato l’attuale condizione di smarrimento, di sfiducia nel futuro, di solitudine, di assenza di spiritualità e di trascendenza. Se, per la nostra cultura Occidentale, il destino dell’umanità è la sconfitta del male e della morte nella Gerusalemme celeste, attraverso la teofania di Dio in Gesù Cristo, allora un’invincibile speranza sostiene l’impegno per il progresso e la vittoria del bene. Se invece si crede che il male è inestirpabile e non può esserci autentico progresso morale e la provvidenza di Dio non guida la storia, allora le ombre si allungano, la rassegnazione domina, la speranza perisce e la luce della fede si spenge. Questa sembra essere la condizione dell’Occidente di oggi. E il dramma di dimensioni enormi è purtroppo legato alla percezione diffusa che chi dovrebbe guidare il cammino e tenere accesa la fiaccola, ha rinunciato al suo compito per occuparsi di altre questioni di carattere sociale, economico, politico, ecologico, materiale.
Riprendiamo queste considerazioni che seguono dal testo pubblicato, in questi giorni, dal nostro centro educativo CeRFEE Zelindo Trenti, a cura di R.Romio, Educare alla vita in una società post-secolare e post cristiana: Il processo educativo ermeneutico esistenziale.
 
 
Da Educare alla vita in una società post-secolare e post cristiana: pag. 15-17
La crisi religiosa in Europa
L’abbandono massiccio delle chiese dei cristiani praticanti in tutti i paesi europei, non è certo l’unico criterio della misura della fede o l’esito di un cattivo processo di educazione alla fede. Ma l’abbandono progressivo dei riti e delle pratiche religiose dovrebbe porre una domanda fondamentale: sono i fedeli che hanno disertato le chiese, o sono invece le chiese che hanno abbandonato i credenti?[1].
Per delineare il ritratto di una società europea decisamente post-religiosa possiamo prendere ad esempio la Gran Bretagna.
Il declino costante della religione, dicono i ricercatori, è “una delle tendenze più importanti nella storia del Dopoguerra”. La secolarizzazione della società, ha indebolito il ruolo delle istituzioni religiose nel determinare le norme morali e sociali e accentuato l’influsso delle altre visioni del mondo, quali il razionalismo scientifico e l’individualismo liberale [2].
Dalle più recenti ricerche sull’argomento emerge che negli ultimi cinque anni in Inghilterra i cristiani si sono praticamente dimezzati e sono scesi al 38% e al 12% gli appartenenti alla Chiesa anglicana, mentre gli unici due gruppi in ascesa sono gli atei e gli islamici[3]. I «non religiosi» sono ormai la maggioranza, al 52 per cento, con un 26 per cento che si dichiara ateo convinto, rispetto al 10 % di vent’anni fa. E un balzo lo registrano i musulmani, raddoppiati in dieci anni dal 3 al 6 % del totale.
Il declino della religione tradizionale è principalmente dovuto a un cambiamento generazionale: i credenti più anziani vengono soppiantati da giovani ormai largamente agnostici.
È dunque in atto una tendenza irreversibile che coinvolgerà tutto il continente europeo. La Gran Bretagna sta anticipando ciò che avverrà progressivamente in Europa. In Europa le tendenze socio-culturali britanniche hanno spesso anticipato quanto si è poi diffuso nel resto del Continente. Possiamo sicuramente dire che per l’Europa è iniziata l’epoca post-religiosa, anche se nel mondo, dai Paesi islamici agli Stati Uniti, assistiamo negli ultimi anni a un revival della religione.
Una conferma di questa tendenza all’affermarsi della sensibilità post religiosa e post cristiana possiamo trovarla in Olanda che negli anni ’60 era una delle nazioni più cristiane d’Europa e ora è divenuta una delle più secolarizzate.  Nel recente testo del card. W.J.Eijk, vescovo di Utrecht, “Dio vive in Olanda. Ma il figlio dell’uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?[4] viene fatta un’analisi della condizione attuale.
Egli afferma che tra il 2007 e il 2011 più di 300 parrocchie sono state accorpate per mancanza di clero e fedeli in 48 con 13 chiese ciascuna. Nel 2028 secondo le previsioni rimarranno circa 20 parrocchia con una o due chiese ciascuna e forse sarà possibile celebrare l’Eucarestia in ciascuna di esse. Le altre centinaia di chiese saranno vendute[5].
Anche il Francia dobbiamo registrare la stessa situazione. Nel 2019 in Francia sono stati certificati 1.893 crimini d’odio contro le tre religioni abramitiche, intesi come roghi, vandalismi, distruzioni: il cristianesimo, da solo, è stato vittima di 1.052 attacchi [6].
Ci chiediamo se, come pensava Voltaire, il cristianesimo è in punto di morte o invece come sosteneva Teilhard de Chardin se siamo ancora agli inizi della storia cristiana? La risposta del teologo ceco Tomas Halik è: “Il Cristianesimo in Europa vive una fase di stanchezza a metà giornata. Non è morto. Dorme solo.” La cultura occidentale moderna è “fuggita dal potere della religiosità tradizionale, ci sono ancora le domande, ma non vengono date risposte[7].
 
NOTE
[1] Parliamo troppo spesso solo di Chiesa, come se il problema riguardasse ogni singola chiesa presa a sé e non attraversasse invece trasversalmente tutte le esperienze di fede delle diverse confessioni. Spesso per chiesa s’intende solo quella cattolica.  Molto spesso si dimentica che le condizioni economico-sociali in cui vivono le chiese sono profondamente diverse. La Chiesa svizzera ad esempio è molto diversa da quella francese. La Svizzera sostiene le chiese in modo molto generoso. Il clero vive in una relativa agiatezza, senza problemi , si dedica alla vita spirituale e la laicità dogmatica non ha spazio.
[2] Cfr. L. IPPOLITO, L’epoca post-religiosa che la Gran Bretagna sta forse anticipando, in “Corriere della Sera” del 12 luglio 2019.
[3] Ivi. Nel 1983 due terzi della popolazione britannica si identificava nel Cristianesimo e dieci anni fa era ancora la metà del totale, oggi il loro numero è sceso al 38 per cento: e fra questi solo un misero 12 per cento dichiara di appartenere alla Chiesa anglicana, che in teoria resta la religione di Stato.
[4] W.J.EIJK, Dio vive in Olanda, Edizioni Ares, Milano 2020.
[5] W.J.EIJK, Dio vive in Olanda, o.c., pp. 34-35 “L’Olanda è considerata tra i Paesi più secolarizzati d’Europa. Nel 2016 il 31% degli olandesi diceva di appartenere a una Chiesa o di professare una fede, mentre erano ancora il 43% nel 2002. Il numero di cattolici ufficiali, cioè registrati come tali, è passato da 5.106.000 nel 2000 a 3.882.000 nel 2015, un calo del 24%. Si chiudono ogni settimana due chiese, cattoliche e protestanti. I cattolici che vanno a Messa la domenica erano 385.000 nel 2003 e nel 2015 erano 186.000, un calo del 52%. Nello stesso periodo sono state chiuse 269 chiese delle 1.782 che esistevano nel 2003. La tendenza continua: meno del 50% dei cattolici fa battezzare i figli.”
[6]  Édouard de Lamaze, il presidente dell’Osservatorio per il patrimonio religioso (Observatoire du patrimoine religieux), ha dichiarato che il cattolicesimo sta vivendo una situazione rovinosa in cui “ogni anno scompaiono tra 40 e 50 chiese: demolite, vendute o radicalmente ricostruite”.
https://it.insideover.com/religioni/francia-chiese-distrutte-e-svendute-il-cattolicesimo-e-al-capolinea.html
[7] https://www.acistampa.com/story/il-pomeriggio-della-fede-nella-storia-conversazioni-dal-ratzinger-schuelerkreis-1318
 
 
Da Educare alla vita in una società post-secolare e post cristiana: pag. 21-25
Tra secolarizzazione e crisi religiosa
Viviamo una condizione strana e impensabile alcuni decenni or sono.
Nel cattolicesimo papa Francesco sembra avere successo, soprattutto fuori del contesto ecclesiale, e la Chiesa cattolica, al suo interno, vive una profonda crisi.
Negli anni 60 del secolo scorso sarebbe stato impensabile. Ma in questi ultimi decenni la società è profondamente cambiata e con essa la religiosità [1].
In una società secolarizzata sembra circolare più religione, ma la religione è meno rilevante e anche la laicità non se la passa meglio delle vecchie confessioni religiose [2].
Il rapporto società-religione può vivere una relazione più superficiale e di successo, apparentemente positiva come quella attuale, o trovare, in un confronto più profondo e interiorizzato, motivi di contrasto e di contrapposizione con le tendenze dominanti nella società. Ciò può spiegare l’apparente paradosso che stiamo vivendo in Occidente. Dobbiamo certo rivedere la teoria classica della secolarizzazione che prefigurava il progressivo ritirarsi della religione in uno spazio sociale più ristretto a causa della crescente individualizzazione e differenziazione.
Il ritorno di una religione più personale, individuale e intimistica in Occidente, ha sconfitto la prospettiva di una sostituzione sul piano pubblico della religione con la politica. La politica rischia invece oggi di diventare religione e la religione una stampella della politica. Al contrario la religione deve ritrovare il suo posto in una società differenziata che vive una crescente secolarizzazione e assolvere la sua funzione specifica di “apertura all’orizzonte di Dio”, senza pretendere di dire alla politica e all’economia come devono agire.
Nel confronto con gli altri sistemi sociali la religione potrà far presente la sua prospettiva e interagire con essi per costruire insieme le risposte alle nuove emergenze sociali[3]. In questa prospettiva la Chiesa cattolica dovrebbe divenire meno confessionale, più ecclesiale e meno clericale, più aperta agli interrogativi della società e meno burocratizzata nei suoi programmi pastorali.
Di fronte al successo di papa Francesco e al contemporaneo insuccesso crescente della “sua” chiesa, dobbiamo chiederci se il problema stia nella pretesa di regolare i processi di identificazione personale in una società sempre più differenziata. Il successo di papa Francesco è simile a quello dei divi e dei calciatori, realizzato principalmente attraverso “l’attenuazione del rigore dottrinale” e la “personalizzazione dell’identificazione religiosa”.
L’insuccesso della Chiesa è invece causato, secondo Diotallevi, dal disgregarsi della sua autorità per seguire le richieste dei consumatori, nella rinuncia a incidere sulle istituzioni sociali, nell’incapacità di reperire risorse umane. Le sfide sul piano sociale e culturale che la Chiesa cattolica deve affrontare in questa contingenza, ancora del tutto aperta, stanno nell’impedire sia il confessionalismo clericale che la frammentazione. Deve essere superata l’attuale fase di denuncia delle disfunzioni della curia, di allentamento dei lacci della dottrina e di denuncia delle storture della società contemporanea[4].
 
Globalizzazione, povertà e cristianesimo
L’avvento di papa Bergoglio segna la fine, dopo un millennio, del papato europeo e cambia il modo di dirsi e di essere cristiani[5]. Ci si chiede cosa sia oggi la chiesa nei vari continenti
e quali sfide deve affrontare nel confronto con la globalizzazione, con le altre religioni, con la politica, con la questione dei poveri e dei migranti, con la laicità, la secolarità, la scristianizzazione[6].
La globalizzazione ha generato una separazione tra lo spazio geografico e quello dell’identità e dell’appartenenza: una “deterritorializzazione” degli spazi della fede, in particolare nelle megalopoli dell’America Latina e dell’Asia, in cui al posto degli spazi della parrocchia, la fede è vissuta spesso nei “luoghi della cultura”. Spazi o reti sociali dove specifiche culture o subculture svolgono una funzione aggregante: la cultura dei giovani, quella tecnoscientifica, quella della religiosità popolare ecc.[7].
Jorge Bergoglio ha maturato, nella grande periferia urbana di Buenos Aires, l’esperienza pastorale della varietà culturale che caratterizza i tessuti urbani contemporanei e la necessità del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Sono i presupposti della “cultura dell’incontro[8], sviluppatasi nella frequenza assidua della grande povertà delle villa miseria di Buenos Aires e dei loro abitanti.
In Evangelii gaudium (EV), che costituisce l’esortazione programmatica del pontificato, papa Francesco illustra due prospettive complementari sulla povertà: da una parte un approccio economico e sociale che denuncia le cause strutturali della povertà; dall’altra, un approccio culturale e storico che guarda ai poveri come gli scartati e gli esclusi e li considera dal punto di vista biblico, teologico e pastorale. I poveri, non sono un problema che riguarda l’etica, ma una questione che interessa la dottrina: “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica” si afferma in EV [9].
I poveri  divengono così il “valore non negoziabile” che investe tutta la vita della Chiesa e la sua stessa architettura: i poveri devono passare dai margini al centro, poiché le periferie sono il futuro della Chiesa. Si tratta di un elemento cruciale per sostituire la visione istituzionale post-tridentina: dalla Chiesa-palazzo stabilmente collocata al centro della città, com’è avvenuto in età medioevale, rinascimentale e moderna, si passa alla Chiesa-tenda che si muove nelle periferie delle grandi megalopoli contemporanee[10].
Le periferie devono diventare una priorità non solo per la Chiesa, ma per tutti. Abbandonare una visione dei problemi a partire dal centro è una necessità anche per la politica, l’economia, la cultura[11].
 
NOTE
[1] L. DIOTALLEVI, Il paradosso di Papa Francesco. La secolarizzazione tra boom religioso e crisi del Cristianesimo, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2019.
[2] Ivi. Cfr. Diotallevi e il paradosso del presente: un Papa forte e una chiesa in crisi, in IL Messaggero 1-06-2019, p.48;
[3] Non intendiamo qui addentrarci nella rilettura del fenomeno della secolarizzazione secondo il paradigma della teoria sistemica di N.Luhmann, come fa Diotallevi, ma solo porre l’interrogativo sulla fine della secolarizzazione e il passaggio alla post-secolarizzazione solo perché assistiamo a un’esplosione della religione in forma “personale”.  S.BELARDINELLI, Il paradosso di Papa Francesco, in Il Foglio, 30-07-2019, pp.1-2.
[4] L. DIOTALLEVI, Il paradosso di Papa Francesco, cit., terza parte.
[5] Giovanni Paolo II, trenta e più anni fa, aveva spalancato le porte all’Impero del bene, gli Stati Uniti di Ronald Reagan. La missione del Papa polacco era quella di abbattere il comunismo e per farlo, occorreva stare dalla parte del nemico principale dell’ateismo di stato: la puritana America. Oggi, il Papa che da quella parte di mondo arriva, inverte la rotta e guarda a est, alla Cina, ma anche a quella Russia che con l’autocrazia continua a convivere benissimo. Vladimir Putin si è recato per la terza volta in sei anni in visita oltretevere. Un onore mai concesso a nessun capo di stato durante questo pontificato. Siria, Ucraina e Venezuela i grandi temi di politica estera affrontati. Temi che vedono il Vaticano e Mosca sulla stessa linea, con alcuni distinguo sull’Ucraina.  Cfr. M. MATZUZZI, Il papa dell’Est, in “il foglio” del 13 luglio 2019.
[6] A. RICCARDI (a cura di), Il cristianesimo al tempo di papa Francesco, La Terza, Roma 2018. Il libro riporta i contributi di: Elisa Giunipero, Massimo Franco, Gianni La Bella, Walter Kasper, Marco Impagliazzo, Roberto Morozzo della Rocca, Dario Edoardo Viganò, Massimo Faggioli, Pierangelo Sequeri, Francesco Bonini, Armand Puig i Tàrrech, Marinella Perroni, Stefano Picciaredda, Paolo Gherri, Jean-Pierre Bastian, Benjamin Bravo e Marta Margotti.
[7] Ad Aparecida, la V conferenza del Celam ha tirato le fila di una “teologia della città” per le metropoli moderne che vivono la globalizzazione. Cfr. A. GIOVAGNOLI Poveri l’opzione non negoziabile, in “Avvenire” del 22 febbraio 2018
[8] Vedi il contributo di B. BRAVO in A. RICCARDI (a cura di), Il cristianesimo al tempo di papa Francesco, La Terza, Roma 2018.
[9] FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangeli Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 198,
[10] L’opzione teologica e pastorale per i poveri è l’elemento cruciale del pontificato di Francesco. Viene così respinta, sia la tendenza a ideologizzare l’opzione per i poveri, della teologia della liberazione o del cattolicesimo “progressista”, sia la chiusura sulla conservazione dei valori tradizionali degli ambienti conservatori.  A. GIOVAG NOLI Poveri l’opzione non negoziabile, in “Avvenire” del 22 febbraio 2018
[11] Francesco interpreta il vasto processo storico in atto nel mondo contemporaneo nella prospettiva pastorale, evangelica, cristiana. Quello del XXI secolo è un mondo di periferie che, in qualche modo, anticipa un futuro che sarà sempre più diffuso. Cfr. A. RICCARDI (a cura di), Il cristianesimo al tempo di papa Francesco, La Terza, Roma 2018.