Dopo il successo internazionale di “Notti in bianco, baci a colazione”, Matteo Bussola torna con “Sono puri i loro sogni”, un’altra storia incentrata sulla sua vita con la compagna scrittrice e le tre meravigliose figlie. Il mondo della scuola e tutto quello che lo circonda è il focus centrale di questo nuovo racconto autobiografico. Le lunghe chat tra genitori, le ansie delle mamme, le difese estreme dei papà davanti ai brutti voti e alle delusioni dei più piccoli hanno fatto sorgere in Matteo il bisogno di scrivere una lettera. Sovrapporsi ai figli, tenerli in una campana di vetro al riparo dalle sbucciature della vita è l’atteggiamento preponderante e quello che lascia perplesso l’autore. A cosa può porta un atteggiamento del genere? “Sono puri i loro sogni” è un testo prezioso per ricordarci l’importanza formativa degli errori nella crescita dei ragazzi. E magari una riflessione utile per far accantonare un po’ di affanni non necessari.
Matteo Bussola ha tre figlie, le accompagna a scuola, le segue nei compiti, parla con gli altri genitori e partecipa pure alle chat di classe su WhatsApp. Insomma, sulla scuola ha un osservatorio privilegiato. E quindi può testimoniare che, davanti a un brutto voto, spesso i genitori si sentono messi in discussione, e per tutta risposta negano l’autorità degli insegnanti. Cosí decide di scrivere a sé stesso, e agli altri genitori, per provare a riflettere sui sensi di colpa e le paure che si nascondono dietro la mancanza di fiducia nella scuola. Un libro di storie – le sue, ma anche quelle delle madri e dei padri che frequenta, di sua mamma ex insegnante, degli amici docenti – che parla del nostro tempo, e dei nostri figli. Di come spesso, senza accorgercene, ci sovrapponiamo a loro per evitare che inciampino. Ma non c’è crescita senza crisi, e solo facendoci da parte, pur pronti a raccoglierli se cadono, possiamo aiutarli a diventare adulti.
Dal primo giorno di scuola, in cui mamme, papà, nonni e fratelli accompagnano in massa i bambini fino in classe scattando foto a raffica, neanche fossero a un concerto degli Stones, alle raccomandazioni per la mensa, ché la stagionatura del Parmigiano, si sa, dev’essere almeno 38 mesi; dai pidocchi, che ogni anno proliferano sulle teste degli alunni generando ansie e sospetti, al kit di sopravvivenza per la gita, che prevede praticamente tutto tranne un gps satellitare. Matteo Bussola fa un ritratto divertito e serissimo della scuola di oggi, confrontandola con quella di quand’era piccolo lui. E si domanda perché abbiamo smesso di considerarla un luogo in cui imparare il rispetto per noi stessi e per gli altri. Con il tono caldo e intimo che è ormai la sua inconfondibile cifra, lo sguardo attento a ogni storia che incontra, parte dalla sua esperienza per scrivere una lettera a tutti noi, arrivando al cuore della nostra paura. Quella di «lasciar andare i nostri figli nel mondo, permettere che compiano i loro passi senza di noi».
 
Descrizione
Titolo: Sono puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola
Autore: Matteo Bussola
Data: 3 ott 2017
Prezzo: 11,05 Euro
Pagine: 109
Editore: Einaudi
ISBN-10: 8806236229
EAN: 9788806236229
 
 
Così ci illudiamo di proteggere i nostri ragazzi
Matteo Bussola
La scuola fu per me la scoperta di un mondo nuovo. D’un tratto c’erano «gli altri».
Con gli altri non andavo sempre d’accordo, questa cosa mi spaventava, dopo un po’ ci trovai un senso. Non sentirmi piú al sicuro, avere paura, vedere che la gentilezza di chi avevo intorno non era dovuta, ma dipendeva anche dalla mia, mi restituiva la responsabilità di scegliere come volevo essere. Non esisteva piú l’accoglienza incondizionata dei miei genitori, il mio comportamento generava conseguenze. Imparavo delle regole che, al tempo non potevo saperlo, mi sarebbero servite per tutta la vita. Una la conoscevo già, me la ripeteva di continuo mia nonna, ma ne compresi il significato solo lí: «Chi rispetto vuole, rispetto porta».
Oggi sono padre, ho tre figlie di età differenti che frequentano istituti diversi. Le mie paure sono adesso tutte per loro. Perché di rispetto, nella scuola, ne vedo sempre meno. Soprattutto fra genitori e insegnanti. Noi genitori, in particolare, sembriamo spesso insoddisfatti, eccessivamente critici, a volte arrabbiati. Intenti a tracciare confini e pronti a fare da scudo ai nostri figli di fronte a qualunque ostacolo, difendendoli da chiunque provi a metterli in crisi. È questo a confondermi di piú. Quella fra noi e l’autorità scolastica pare essere diventata una specie di guerra, in cui il mirino delle nostre paure viene puntato troppe volte sulla classe docente che, ormai, abbiamo costretto a una comprensibile diffidenza. A farne le spese, è proprio chi crediamo di proteggere.
Vivendo la scuola da genitore ho accumulato negli anni osservazioni, testimonianze, aneddoti che mi hanno portato a domande che aumentano giorno dopo giorno. E mi hanno condotto, di nuovo, a interrogarmi sulle mie stesse responsabilità.
Perché siamo diventati cosí?
Quando abbiamo cominciato a pensare alla scuola come all’erogazione di un servizio nel quale il cliente deve avere comunque ragione? Quando abbiamo iniziato a mettere in discussione l’autorità dei docenti, a partire dai compiti a casa? Perché il sacrosanto diritto di partecipare al cammino dei nostri figli, vigilando anche sugli eccessi, si trasforma sempre piú spesso nella giustificazione automatica dei figli stessi? Infine: quando ci siamo convinti che essere genitori volesse dire vivere le loro vite, che fare il loro bene significasse tenerli al riparo dalle difficoltà, dimenticando che le difficoltà sono uno strumento di crescita indispensabile?
Non riesco a capire cosa ci sia accaduto.
Quando non capisco qualcosa, se perdo la direzione di un ragionamento, l’orizzonte di uno sguardo, mi siedo davanti a una pagina bianca e metto in fila le parole. Ho imparato a fare in questo modo proprio a scuola, cosí tanti anni fa che mi sembrano mille. È una delle numerose eredità che il percorso scolastico mi ha lasciato, insieme alle poesie di Ungaretti, le province della Basilicata, il teorema di Pitagora, il profumo alla mela verde di Arianna. Una fiducia istintiva per chi ha mani grandi.
«Quando non capisci, scrivi, — mi diceva sempre la maestra Miranda, — cosí metti in ordine i pensieri». Un’altra cosa che ho imparato a scuola è che scrivere, per me, significa sempre scrivere a qualcuno. Come se la scrittura dovesse essere orientata dalla consapevolezza di un destinatario, che si tratti di uno solo oppure di molti, perfino quando il destinatario sono io. Soprattutto, quando anch’io mi sento parte di quei molti.
Ecco perché questo libro è una lettera. Ecco perché è rivolta a noi genitori.
La Repubblica, 2 0tt0bre 2017