La grande sfida che la scuola ha dovuto affrontare con la didattica a distanza (DAD) ha messo in evidenza l’insufficienza della didattica trasmissiva tradizionale. Il Trap è il genere musicale che spopola tra gli adolescenti ed è noto per i testi eticamente inaccettabili. Eppure c’è trapper e trapper e a cercare bene nel repertorio saltano fuori figure non banali, attraverso le cui canzoni si può persino trovare un modo per avvicinare i ragazzi a Dante. Sapranno i professori mettere in gioco il vissuto esperienziale dell’alunno ed in un rapporto dialettico.
Di seguito riportiamo l’articolo  di P. Talanca,  Trap e scuola, un tabù da superare? pubblicato su Avvenire il 18 dicembre che riflette du questa problematica.
 
I nostri figli li ascoltano come noi ascoltavamo i cantautori; molti li imitano e scrivono versi per vomitare ciò che non riescono più a tenersi dentro. Sono gli artisti che fanno trap, sottogenere musicale del rap o dell’hip hop. Il più delle volte, le loro canzoni hanno testi eticamente inaccettabili, carichi di sessismo, esaltazione del denaro e di uno stile di vita non certo integerrimo.
 
Ora, la domanda è la seguente: vista tale passione dei ragazzi, non sarebbe forse il caso di fermarsi e rifletterci su, per trasformare a scuola quella passione in apprendimento?
La principale reticenza dei detrattori sta proprio nei temi: argomenti sconvenienti, inammissibili, quindi – secondo loro – da tenere alla larga. Posizione rispettabile ma, mi sia consentito, poco lungimirante.
Questi testi parlano di una generazione sbandata, di periferie pericolose, di esaltazione della violenza come atto di supremazia, di ultimi con spalle al muro e terra bruciata davanti agli occhi.
Bisognerebbe tener presenti le parole del Pasolini de Le ceneri di Gramsci, in particolare della poesia Picasso: «Nel restare dentro l’inferno con marmorea volontà di capirlo, è da cercare la salvezza».
Se la scuola non è scuola degli ultimi e non fornisce strumenti per affrontare la realtà, capirla e smettere di averne paura, fallisce miseramente. Se fallisce, la violenza fisica e verbale avrà sempre la meglio e, per i ragazzi, diventerà l’unica reazione possibile a un mondo distante e incomprensibile.
 
La trap non è tutta uguale: prendiamo Tedua uno dei più talentuosi
Spesso pesca nel torbido, come l’infimo livello di certi brani sessisti di Sfera Ebbasta o Mambolosco. Ma è anche quella di Izi, di Ernia, di Tedua o Massimo Pericolo. Nei brani di questi ultimi è possibile rintracciare un percorso, una coerenza che dona autenticità alla necessità di scrivere canzoni e cantarle come riscatto sociale.
Classe 1994, nato a Genova, con un’infanzia difficile passata tra Cogoleto e Milano, nelle interviste e nelle canzoni ripete spesso che in lui è chiaro il percorso artistico e personale che sta facendo: «Credo che sia un bene dell’hip hop il fatto che l’artista crescendo vada a elevarsi, quando parte dal basso. Quindi, più andrò in alto, più spero di trovare attorno a me meno negatività, meno aggressività, meno ignoranza, più cultura». Queste parole descrivono perfettamente i tre album pubblicati fino a ora e i temi che intarsiano la sua poetica, come il suo sport, il pugilato, metafora della lotta dentro regole ben precise, o la rivalsa tramite i versi del rap: anch’esso ha delle regole, di metrica, di rima, di forma.
 
La canzone 3 Chanches (dilla tutta)
C’è un momento, un preciso momento contenuto nella canzone 3 Chanches (dilla tutta), che esprime la consapevolezza su quali siano gli strumenti utili per un percorso virtuoso. È nella parte centrale del brano, che parla di ripartire dopo un errore, tenendo fede alle tue parole che devono rispecchiare la tua vita: «Se parli usa parole giuste, di’ le cose come stanno – mondo bugiardo – senza tacere per non ferire o mentire: una bugia detta a sé stessi può sembrare realtà. Non puoi, non potrei mai alzarmi dal letto e guardarmi allo specchio senza sapere poi chi ci stia dietro come l’autista che guida la metro ».
Questa è la premessa teorica, poi c’è l’applicazione nella sua vita: «Ok, Cogo è la squadra, se qualcosa non quadra homie calmati e chiamami, racconta chi ci infama. Due, tre bitches nel backstage, soldi dentro una Bentley, sedili massaggianti, guarda avanti, il driver non parla e non sente». Tutti questi elementi tabù inaccettabili sono elencati ma stigmatizzati dalla forza della strofa precedente dell’autista della metro, in cui Tedua ci aveva dato gli indizi di lettura: se riempi la tua vita con quegli elementi effimeri, essa non ti rispecchierà e porterai in giro una carcassa che non ti appartiene, come l’autista della metro o il driver.
Questo è Tedua e può essere molto utile “usare” in classe le sue canzoni. Proprio in quest’ottica, potrebbe essere prezioso rendere protagonisti i ragazzi impegnati nella didattica a distanza attraverso delle “lezioni capovolte” – o flipped classroomcome dicono quelli che amano essere invasi dagli anglicismi –, per far sì che la didattica a distanza non sia una semplice riproposizione, tramite video, di quella in presenza.
 
Il trap e Dante
Dalla mia esperienza personale posso dire che, per esempio, introdurre lo studio di Dante grazie anche alle canzoni trap dà ottimi risultati. Non si tratta di paragonare le capacità poetiche di Tedua a quelle di Dante. Chi pone il discorso in questi termini guarda, in malafede, il dito e non la luna. Quello di Dante è un viaggio verso la luce, la conoscenza, la civiltà; si potrebbe dunque introdurre il tema agli alunni e spiegare loro l’importanza di questo percorso, lanciare spunti tramite un video di alcuni minuti, focalizzare la loro attenzione su un passo particolare, per esempio il viaggio di Ulisse del XXVI dell’Inferno. Poi invitarli a imbastire una lezione sui collegamenti tra il viaggio dantesco e il movimento di Tedua verso la cultura, in particolare per i brani del nuovo disco, che si intitola proprio Vita vera. Aspettando la Divina Commedia. Per esempio, La story infinita: si parla degli sbagli del passato, delle sberle che la vita ti dà e che ti forgiano. È un tema molto caro alla poetica di Tedua, è la diritta via smarrita da Dante. Spicca un passo su tutti: «Io voglio solo scrivere di ciò che vivo e vivere di ciò che scrivo» (cantato da Massimo Pericolo nel featuring). I versi, le barre, le rime come strumento per elevarsi socialmente. Sono vere e proprie vene d’oro per stimolare l’interesse e l’apprendimento creativo dei ragazzi. Sono temi profondi e veri, soprattutto se si conoscono le storie personali di chi le canta.
 
La formazione degli insegnanti
Qui entra però in gioco un altro problema: la formazione degli insegnanti. Non solo sulle nuove espressioni artistiche come la trap, ma anche su una scuola troppo ferma a una didattica a trasmissione lineare classica ed espositiva del sapere. Raramente si riesce a mettere in gioco il vissuto esperienziale dell’alunno, quasi mai questo vissuto entra in rapporto dialettico con quello del professore. Cominciare a prendere sul serio gli artisti e le canzoni trap, fare una cernita ragionata e puntare sul necessario approccio critico dei ragazzi verso quest’arte mi sembra un buon modo di cominciare.
P. Talanca,  Trap e scuola, un tabù da superare?, Avvenire 28.12.20