Un mondo di guerre dimenticate
Prospera il commercio delle armi e aumentano le guerre, i morti, i profughi. Nel 2017 i conflitti sono stati 378, tra cui 186 crisi violente e 20 guerre ad alta intensità. Frutti avvelenati dalla crescita costante della produzione e vendita di armi, pesanti e leggere: l’anno scorso la spesa complessiva per acquisto di armamenti ha registrato il record dai tempi della Seconda guerra mondiale. E l’Italia, decimo produttore, fa la sua parte: nel 2017 le autorizzazioni all’export rilasciate dalla Farnesina hanno superato i 10 miliardi di euro. Destinazione, per il 57%, paesi che non fanno parte dell’Unione Europea e nemmeno della Nato, come Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Tutti impegnati nella sanguinosa guerra contro lo Yemen. Nonostante la legge 185/90 lo vieti.
Sono i dati del Rapporto sui conflitti dimenticati ‘Il peso delle armi’, preparato da Caritas Italiana in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e il ministero dell’Istruzione, università e ricerca. Alla presentazione sono intervenuti tra gli altri i direttori di Avvenire Marco Tarquinio, di Famiglia Cristiana don Antonio Rizzolo, il direttore Caritas don Francesco Soddu. Il dossier è arricchito da indagini di opinione tra gli studenti di 45 scuole medie inferiori e di 25 gruppi scout Agesci. La presentazione coincide con il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
In aumento dunque la produzione e la vendita di armi, da quelle leggere a quelle nucleari. Nella classifica degli esportatori di armi ci sono in testa gli Stati Uniti col 34,0%, seguiti da Russia (22%), Francia (6,7%), Germania (5,8%), Cina (5,7%) e Regno Unito (4,8%). Poi Israele e Spagna con entrambi il 2,9%, quindi l’Italia col 2,5%. Tra i principali importatori invece Arabia Saudita, Emirati Arabi, Australia, Iraq e Pakistan. Paesi che contribuiscono ad alimentare i conflitti in Yemen, Nord Africa e Medio Oriente. Fa riflettere il fatto che una mina antipersona costi solo 3 dollari, ma ce ne vogliano 1.000 per neutralizzarla. E che cinque dei sei Paesi massimi esportatori di armi sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu.
Il rapporto si concentra sull’impatto dei cambiamenti climatici su guerre e migrazioni: l’Onu stima in 250 milioni i migranti e in oltre 70 milioni i rifugiati e gli sfollati. Tutti gli indicatori del rapporto Caritas su scala globale legati al degrado ambientale, ai disastri e alla scarsità di accesso alle fonti naturali contribuiscono a spiegare altre dinamiche di guerra, e in particolare in aree come il Sahel, il Golfo del Bengala e parte dell’America Latina. Lo studio si conclude con proposte che di fatto rilanciano l’applicazione dell’Agenda di sviluppo Onu 2015-2030, che, afferma Beccegato, «oggi più che mai servirebbe per creare un mondo diverso».
Il rapporto ha anche preso in esame la copertura delle guerre da parte dei quotidiani più noti analizzando quattro delle principali crisi in corso: Yemen, Venezuela, Somalia e Ucraina. Altrettante le testate osservate:
Corriere della Sera, Repubblica, Avvenire, La Stampa. Nel periodo di tempo esaminato – dal 1° novembre al 31 dicembre 2017 e dal 15 maggio al 15 giugno 2018 – risulta che tutti – pur con spazi diversi – hanno scritto di Yemen e Ucraina, solo in tre hanno raccontato del Venezuela (non Repubblica), e solo Avvenire ha trattato anche di Somalia. «Le guerre iniziano a finire – commenta in proposito Marco Tarquinio – solo quando iniziamo a vederle. Solo se lo facciamo, possono finire».
Ma l’informazione sembra spesso ripiegata su questioni nazionali. Ciò provoca una diffusa ignoranza sul tema tra la popolazione italiana. Ad esempio, il 14% degli intervistati non sa citare neanche un attentato terroristico. Il 24% non ha saputo indicare neanche una guerra in corso. Praticamente nulla la conoscenza dei conflitti mondiali: il 3% ha saputo indicare una guerra in Africa. Solo la Siria è ricordata dal 52%. Su guerra e conflitti la tv resta il principale mezzo di informazione tra gli adulti – il 47% – ma il 49% dei giovani (18 e 29) fa ricorso a internet.
di Luca Liverani, in “Avvenire” dell’11 dicembre 2018