A partire dagli inizi degli anni duemila, si è cominciato ad avvertire, trasversalmente presso ogni agenzia educativa, un serio bisogno psicologico, pedagogico e sociale, che ha assunto il nome di emergenza educativa. Ogni giorno, non solo chi è impegnato direttamente nell’arduo campo dell’educazione può constatare una diffusione di notizie allarmanti che riguardano ogni spazio paidetico del nostro Paese e del villaggio globale. A distanza di due decenni, allorché il costrutto «emergenza educativa» ha iniziato a diffondersi, non si può non riconoscere che l’attributo emergenza, che richiama ad un significato di improvvisa difficoltà circoscritta in un tempo necessariamente limitato, pare, ormai, inadeguato per qualificare una situazione che sembra essersi sclerotizzata, diventando una vera e propria crisi educativa. Questa crisi persiste e, nel tempo, ha interessato diversi ambiti di ordine pedagogico, a monte dei quali sussiste, probabilmente, anzitutto una crisi antropologica e conseguentemente etica.
 
La crisi antropologica
Sarebbe opportuno, anzitutto, far emergere l’attuale crisi antropologica, che è possibile cogliere in tutta la sua portata nel Vecchio Continente. Questa crisi, proprio in questi ultimi tempi, ha mostrato le sue più evidenti conseguenze: violenza e depressione. Se l’uomo non è più educato a cogliere il suo essere persona, la sua densità ontologica e la dimensione trascendente che lo qualifica, finisce per perdere di vista la dignità intrinsecamente connessa al suo esserci nel mondo. Conseguenza tangibile di questa destrutturalizzazione gnoseologica, relativa all’autopercezione dell’essere persona e alla tematizzazione dell’unicità ed irripetibilità della singola esistenza nell’esperienza del sé in relazione all’altro, ha comportato una liquefazione assiologica davvero preoccupate. Quando i bisogni dell’uomo, che a livello psicologico sono il motore dell’agire, si trasformano in pulsioni da soddisfare, i freni inibitori necessariamente si allentano, l’etica perde consistenza e l’agire si realizza nell’orizzonte della mera sensazione, che diventa, quindi, il paradigma di ogni riferimento morale. Questo comporta che la convivenza civile finisca per diventare accessoria e la caduta dei filtri sociali si concretizzi in tutte quelle forme di violenza che attanagliano il nostro tempo e che conducono il cittadino globale in una solitudine solipsistica, in cui la relazione con l’altro risulta preclusa dal vero, per ridursi al possesso e all’utile, conducendo necessariamente a vite compromesse da forme depressorie.
Il contesto contemporaneo, in cui l’assenza di confine tra l’agorà reale e quella virtuale ha cancellato ogni linea di demarcazione tra il realizzabile ed il pensabile, sembra essere segnato da una violenza dilagante che si coglie in factis et in verbis. Ovunque si posa lo sguardo sembra che la violenza abbia eco e che la sua poliedrica manifestazione possa aver distrutto ogni argine dettato dalla morale. Ma cosa c’è all’origine di questo malessere che attanaglia la società del nostro tempo? Sicuramente una decisa perdita identitaria da parte dell’uomo, che, avendo messo in soffitta ogni fondamento metafisico dell’essere persona, ha abbassato l’asticella del suo potenziale antropologico. Questo smarrimento comporta tout court un’eclissi delle coscienze e dei valori e a seguire una perdita del senso e dei fini dell’educazione.
 
La crisi educativa 
Facendo un focus nell’ambito della scuola, fucina dell’educazione per antonomasia, si scopre che ogni giorno essa diventa quel palcoscenico mediatico, in cui sembra dilagare un non senso che conduce a forme preoccupanti di violenza sia nei rapporti orizzontali che verticali. La crisi educativa ha radici nella diffusione di una cultura in cui lo studio non sembra avere valore e dove si promuove un sapere frammentato reperibile dalla Rete: il sapere ha perso sapore e si è ridotto a mera informazione. Questo meccanismo culturale si è fatto spazio a scapito di un sapere organico, che apre allo stupore ed alla meraviglia dell’impegno, formando non solo le teste, ma anche i cuori delle giovani generazioni alla ricerca del buono, del vero, del bello, del giusto.
L’etimologia della parola crisi ci riporta al verbo greco  krino, che significa separare, dividere e discernere. A fronte del quadro socio-educativo delineato poc’anzi, potrebbe essere una via percorribile quella di prendere le mosse da un progetto pedagogico che parta dalla realtà, cioè dalla situazione di crisi, discernendo, al di là degli aspetti negativi immediatamente tangibili, i risvolti positivi tra le sue pieghe. Questo atteggiamento permette un superamento di un ripiegamento pessimistico e dischiude una prospettiva di senso per un’educazione capace di partire dall’insopprimibile presenza del bene nell’uomo sia sul piano ontologico che morale.
 
Verso un rinnovato processo maieutico
Si tratta di ricercare un rinnovato sguardo paidetico, che è teleologicamente orientato a focalizzare le risorse delle nuove generazioni, attraverso un processo maieutico capace di portare in superfice i semi di bene che risiedono nell’intimo della persona e, conseguentemente, una volta fatti emergere, si impegna a coltivarli. Un orizzonte pedagogico fondato su questi fini può concretamente superare ogni sguardo utilitaristico dell’educazione e dipanare una tangibile possibilità di ripartire dalla promozione di ciò che è autenticamente umano. Questa visione pedagogica comincia laddove è riconosciuta la dignità della persona umana e con essa l’inderogabile valore che comporta la libertà del realizzarsi per quel che si è nel rispetto e nella valorizzazione dell’altro da sé. L’educatore, seguendo questa istanza pedagogica, può suscitare nei giovani uno sguardo positivo su loro stessi e sugli altri, sui sistemi sociali e sulle strutture della società, sull’insieme della comunità umana e sull’insieme del creato. Può così realizzarsi un processo educativo che si radica nella consapevolezza che i giovani, proprio a partire dal loro straordinario potenziale, possono essere educati secondo modelli di eticità autentica, in cui i valori sono il paradigma di riferimento per l’edificazione di un ambiente diverso e migliore.
 
Il ruolo dell’educatore
All’educatore è affidato il compito di far scoprire alle persone che gli sono affidate la bellezza di ogni gesto, di ogni atto che può essere sentito come bello ed essere goduto nella misura in cui risponde alla realtà umana. Educare significa, in questa logica, mettere di fronte alla realtà prima ancora che a delle idee e facilitare la scoperta che l’uomo stesso è il referente di partenza. Il soggetto può essere condotto a comprendere che l’essenza della natura umana, partecipata del Bello e del Buono, fonda ontologicamente la norma da seguire. Resta il fatto, comunque, che in questo itinerario pedagogico devono essere coinvolte sia le dimensioni affettive che intellettive del soggetto in crescita: infatti se ciò che si sente interiormente non lo si unisce a ciò che si apprende intellettualmente, ciò che viene appreso non conduce all’azione. Qui merge il ruolo speciale dell’educatore che permette di fare sintesi nell’educando tra il proprio cuore e la propria testa.
Il progetto educativo diventa, allora, orientato a consentire al singolo di riconoscere la bontà delle azioni, che per questo risultano da compiersi, proprio perché vi è continuità con la natura libera e razionale del soggetto agente. L’uomo, che rinuncia a perseguire azioni buone, finisce anzitutto per contraddire la sua più intima natura e rinnegando la verità delle cose, finisce per annichilire se stesso girando a vuoto sulla giostra del non senso.
Adottare un nuovo sguardo verso i giovani per dar vita al dinamismo pedagogico prospettato, può condurre a far gustare interiormente la bellezza del creato e la gioia di scoprire il sé e la relazione con gli altri, facendo maturare intelligenza, cuore e volontà. La speranza di realizzare uno sguardo pedagogico teso a far riscoprire l’uomo all’uomo, può dischiudere una speranza sperante che, nei lungi tempi che l’educazione richiede, può attendere i suoi frutti. Si tratta di un impegno di quest’ora per prendersi cura dei semi di bene che inabitano l’interiorità umana e, parimenti, di avere la pazienza di far germogliare una decisa trasformazione del modo in cui gli uomini e le donne dell’immediato avvenire possono vivere meglio nel loro tempo, cioè cercando il maggior bene in cui è possibile vivere nel consorzio umano, tendendo a non creare nessun tipo di scarto e mettendo in angolo ogni violenza che possa deturpare il volto della persona.
 
Bibliografia essenziale
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Luca Raspi