La proposta da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito di un progetto educativo che dal prossimo anno dovrebbe partire in tutte le scuole secondarie di secondo grado, per formare i nostri giovani alle buone relazioni ha diviso l’opinione pubblica. Gli ultimi fatti di cronaca hanno richiamato l’attenzione sul compito di educare i nostri giovani alle buone relazioni. Ordinariamente la scuola investe già tante risorse in tale processo formativo, poi con il corso di Educazione Civica dedica uno specifico contributo. Tuttavia da più parti, anche se non manca chi sostiene che la formazione alle relazioni investe un campo privato della vita che riguarda soltanto la famiglia, si avverte il bisogno di aprire nuovi spazi da dedicare al dialogo e alla formazione di relazioni mature.

“Quale contributo i docenti di Religione Cattolica possono dare, all’interno della scuola italiana, ai fini dell’educazione alle relazioni dei nostri giovani? Quali spazi e opportunità l’insegnamento di Religione Cattolica offre alla formazione alle buone relazioni dei nostri studenti? Si tratta di un valore aggiunto al corso di Religione oppure una perdita di tempo come sostiene qualcun altro? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste ed altre domande che sono scaturite dalla riflessione in corso sull’educare i giovani alle relazioni. Il Docente di religione è un professionista che possiede una formazione culturale, teologica, pedagogica, metodologica e didattica comune a tutti gli altri docenti, con specifiche doti umane, ed una propria identità fondata sull’idoneità segno della particolare relazione con la comunità ecclesiale nella cornice “concordataria”.

 

Donne e uomini di dialogo e comunicazioni aperte

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito l’Onorevole Valditara nel siglare l’intesa con il presidente della Conferenza Episcopale Italiana lo scorso 9 gennaio riconoscendo il valore dei docenti di Religione Cattolica nella scuola italiana e ringraziandoli per il servizio che svolgono ha affermato che: “L’insegnamento della religione è un’occasione di confronto e di dialogo sui principi etici e morali che da sempre accompagnano le civiltà nel loro cammino. È anche l’occasione per andare alle radici della nostra civiltà imparando a conoscere il messaggio cristiano. Approfondire questi temi significa fornire agli studenti gli strumenti per conoscere alcuni aspetti imprescindibili della nostra storia”.

Il docente di Religione Cattolica arricchisce la proposta formativa della scuola italiana, non solo per la materia che insegna, riconosciuta come un patrimonio storico, culturale e umano, ma anche per il suo essere donna e uomo di “frontiera”, della “sintesi” e della “mediazione culturale” – come afferma Giorgio Bellieni nell’interessante libro (scritto a più mani) L’insegnamento di IRC. Dalla teoria alla pratica, dalla pratica alla teoria: l’IDR in cattedra, EDB 2023: opera nella società secolare, tra i linguaggi dei nuovi media ed è impegnato nella umanizzazione, dialogando con credenti cristiani e di altre religioni e non credenti, atei e agnostici, in un approccio interculturale, con una particolare cura all’accompagnamento dei giovani nella ricerca della domanda di senso.

Per questo il docente di Religione avendo maturato la sua identità è chiamato a costruire relazioni positive tra le persone, comunicare in maniera dialogica non soltanto con gli studenti e le loro famiglie, ma anche con i colleghi, cogliendo le aspirazioni profonde, l’anelito di infinito e la domanda di verità di ciascuno, pur tra orientamenti culturali e spirituali diversi, mondi culturali e vitali distanti, convinzioni religiose molteplici. Con i colleghi partecipa allo svolgimento della vita scolastica, si confronta e collabora, in un approccio interdisciplinare che attraversa le diverse discipline: storia, letteratura, storia dell’arte, educazione civica e anche la prospettiva religiosa.

 

“Pienamente umano e pienamente cristiano”

Papa Francesco incontrando gli insegnanti cattolici all’Assemblea generale dell’Unione mondiale degli insegnanti cattolici (Umec-Wuct) ha offerto delle indicazioni molto importanti: “L’educatore cristiano è chiamato ad essere nello stesso tempo pienamente umano e pienamente cristiano”. Il docente di Religione Cattolica è un educatore non semplicemente un trasmettitore di nozioni, pertanto è molto importante, ha continuato il pontefice argentino, che: “la sua personalità sia ricca, aperta, capace di stabilire relazioni sincere con gli studenti, di capire le loro esigenze più profonde, le loro domande, le loro paure, i loro sogni”.

Le competenze del docente di Religione Cattolica sono multiple, connesse e interagenti, per un sapere efficace, strategico e sapiente, pienamente umano, capace di intercettare le domande che l’inquilino contemporaneo si porta dentro e di abbracciare la complessità del tempo presente. Tra le competenze professionali irrinunciabili si trova quella disciplinare e didattica: dovrà possedere una padronanza storica-epistemologica, ma anche deontologica, la capacità di confrontarsi con le altre discipline, ed in particolare dovrà curare la competenza relazionale, la comunicazione e la socializzazione, la maturità degli atteggiamenti nelle relazioni socio-affettive (Cfr. M.R. Raimondi, Legislazione Secondaria riferita all’integrazione scolastica, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2020-2021)

Tuttavia il docente di Religione resta un cristiano, conduce con sé la dimensione della testimonianza caratterizzante ogni credente, anche all’interno della scuola di cui conosce, riconosce ed ha pieno rispetto dell’identità laica. Continua ancora papa Bergoglio che l’educatore testimonia: “anzitutto con la vita e anche con le parole – che la fede cristiana abbraccia tutto l’umano, tutto, che porta luce e verità in ogni ambito dell’esistenza, senza escludere niente, senza tagliare le ali ai sogni dei giovani, senza impoverire le loro aspirazioni”. Pertanto educa non soltanto coltivando la propria formazione accademica, ma si prende cura anche della sua fede, benché la sua didattica all’interno della scuola è conforme alle indicazioni ministeriali e non alla prassi catechistica da tenersi in Chiesa.

 

La relazione al centro

Ogni processo educativo, anche quello dell’insegnamento della Religione Cattolica, mette al centro la relazione, come indica anche l’Instrumentum Laboris sul Patto Educativo Globale (cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, 2020) – non si offre alcuna formazione senza la costruzione di relazioni buone con gli studenti. L’educazione a scuola contempla l’incontro di due diversità, dove l’altro è sempre una domanda aperta e non un peso o una minaccia, l’altro è un soggetto, una persona dotata di pensiero, desideri, coscienza, talenti, paure, speranze.

In tale orizzonte il docente di Religione si dedica alla cura di quel mondo interiore spesso dimenticato, coltiva i buoni sentimenti e le emozioni, la spiritualità, nutre la testa e i cuori accompagnando i suoi studenti ad inserirsi nella realtà concreta dell’esistenza, nella quale si manifesta la domanda di infinito e del sacro, la domanda metafisica. Questo esige di superare un certo dualismo negli studi che predilige più attenzione ai contenuti e meno alle relazioni. Chi vive la scuola, sa benissimo dall’esperienza quotidiana che, un’educazione efficace non dipende primariamente, “né dalla preparazione dell’insegnante, né dalle abilità degli allievi, ma dalla qualità che si instaura tra di loro”.

In altri termini non è il maestro ad educare l’allievo in una trasmissione dall’alto e unidirezionale delle nozioni, tantomeno è l’allievo, quanto piuttosto il rapporto tra i due, il noi educativo che si viene ad educare, non solo lo studente ma anche il docente, in uno scambio “dialogico” che li presuppone e al contempo li supera. Sono molto utili in tale prospettiva i supporti metodologici didattici per l’inclusione e il superamento dei conflitti, il crescere nel rispetto dell’altro e nella capacità di ascolto, la cooperazione piuttosto che la competizione, il sapere organizzare un pensiero critico e sostenere democraticamente le proprie idee, come il Cooperative learning, il Circle time, il service learning e il dabate.

 

L’approccio empatico

In questo processo educativo, l’empatia non può essere uno slogan delle buone intenzioni, ma un atteggiamento necessario, soprattutto “l’empatia cognitiva” come ha affermato la Prof.ssa Maria Raspatelli intervenendo ad un corso di formazione (Cfr. Diocesi di Isernia-Vanfro, 29 giugno 2023) – a cui aggiungerei anche “l’empatia affettiva o emotiva” è di estrema importanza. L’empatia cognitiva è la capacità di comprensione a livello “razionale” del punto di vista dell’altro e dei sentimenti che lo caratterizzano; l’empatia affettiva o emotiva invece è l’abilità di “sentire come sente l’altro”, entrare per qualche istante negli abiti dell’altro, i suoi sentimenti ed emozioni, chiaramente mantenendo il distacco necessario dalle emozioni per potergli essere d’aiuto realmente.

Oggi non soltanto non si dà alcun insegnamento senza empatia. Ma non basta essere capaci di creare un legame empatico con gli educandi, allo stesso tempo dobbiamo educare i nostri studenti alle relazioni buone, a mettersi nei panni dell’altro. In questo didatticamente può essere molto utile, ed il docente di Religione la applica in alcune lezione, la metodologia didattica della drammatizzazione, soprattutto quando deve presentare alcune pericopi evangeliche, oppure alcuni episodi di testi letterari o opere teatrali. Questo può educare ad allargare lo sguardo e i sentimenti, da sé all’altro, dal proprio ego a chi ho di fronte, provando a sentire gli stessi sentimenti che prova l’altro quando vive determinate situazioni.

 

Alleanza tra testa e cuore

Il docente di Religione Cattolica si muove nell’alleanza tra testa e cuore. Don Lorenzo Milani lo aveva capito bene e prima di lui San Giovanni Bosco il prete sognatore vicino ai giovani, che metteva al centro del suo agire la ragione, l’amorevolezza, la religione. Don Lorenzo Milani sosteneva che l’educazione “non è una questione di metodo, utile per carità, ma di passione” – [conta la qualità del rapporto che l’educatore stabilisce con i suoi interlocutori…] don Milani era diventato per i suoi ragazzi qualcuno, perché coltivava il rapporto umano, libero, dai gesti autentici, mangiava con loro, li conosceva. In altri termini era un rapporto ricco di creatività perché nessuno gli era indifferente, soprattutto  i ragazzi più difficili, che se si perdono e si pensa solo ai più bravi la scuola smette di essere scuola.

Rispettava e valorizzava la diversità dei ragazzi, ecco perché aveva fatto scrivere sulle pareti della sua piccola e povera scuola di Barbiana il motto che lo guidava nell’arte dell’educazione “I Care” – mi sta a cuore. Cosa ci sta a cuore a noi docenti di Religione Cattolica oggi? Vogliamo sfornare diplomi oppure accompagnare a maturare donne e uomini capaci di bene? Vogliamo produrre macchine, autonomi o individui, persone pensanti capaci di comprendere, interpretare la realtà e decidere per il meglio? Qui sta il senso più profondo dell’educare del docente di Religione o cade tutto! Il docente di Religione nella sua didattica coinvolge la testa e il cuore, o meglio, crea una relazione che va da cuore a cuore come scrive papa Francesco nel massaggio per il “Patto Educativo Globale”.

Paolo Greco