L’interrogativo sull’esistenza non si è mai placato nel corso dei secoli, ogni volta si è reso presente, certe a volte è stato sommesso altre come del tutto dimenticato, ma sempre è ritornato a bussare alla porta del cuore umano e ad interrogare la ragione. La vita conduce con sé un appello ad esistere, una chiamata a venire fuori e nell’esserci della storia individuale e collettiva trovarne il compimento.

Che ci facciamo qui? Quale è il nostro posto in questo mondo? Quale senso ha la nostra vita? Che senso ha il dolore? Come posso rendere buona la mia esistenza nelle contraddizioni di un tempo confuso? Che sarà del domani e come sia possibile difendersi da una nuova pandemia? Gli interrogativi crescono e variano, in questo nostro tempo si fanno sempre più spinosi, l’apertura della mente e del cuore all’esserci consapevolmente nella storia apre la strada al senso della vita.

L’insopprimibile necessità

Søren Kierkegaard in Aut-Aut ha evidenziato che “ogni uomo, intelligente o meno che sia, con una bassa oppure alta posizione nella vita, avverte il bisogno naturale di formarsi una concezione di vita, raffigurarsi il significato della vita e del suo scopo”. Si tratta di un bisogno naturale che nell’impatto con la realtà che l’uomo ha di fronte ne prende consapevolezza. Raffigurarsi un significato della vita esprime tale consapevolezza, senza la quale risulta difficile attraversare il grande viaggio dell’esistenza.

Anche Albert Einstein, premio Nobel per la fisica, agli inizi del novecento sosteneva la necessità di porsi la domanda sul senso dell’esistenza umana: “Qual è il senso della vita, o della vita organica in generale? Rispondere a questa domanda implica comunque una religione. Mi chiederete, allora, ha un senso porla? Io rispondo che l’uomo che considera la propria vita e quella delle creature consimili priva di un senso non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita”.

Parole che oggi, in un tempo dove è ritornata forte la grande domanda della vita, acquistano un significato del tutto nuovo. Mentre alcune vicende della vita quotidiana ci fanno pensare che tutto sia assurdo, l’inventore della “Teoria della Relatività”, afferma che per vivere bisogna includere la considerazione del senso della vita, di ciò che significa e riempie di significato lo scorrere delle lancette dell’orologio e i numeri dei timer elettronici dei nostri giorni.

Posizioni diverse

Certamente c’è chi al contrario vive e organizza la sua esistenza senza farsi troppe domande, senza chiedersi perché vive, da dove viene e dove va: molti sono presi da altri pensieri, preoccupazioni di ordine economico e sanitario, a molti sembra mancare il tempo per fermarsi e riflettere su sé stessi, altri hanno paura e per eludere sorprese spiacevoli rimuovono ogni riferimento alle questioni fondamentali dell’esistenza, si riempiono di cose, mentre il resto si mostra impegnato soltanto nel desiderio di esprimersi, farsi vedere e affermare sé stessi.

Non manca inoltre chi ritiene superfluo, se non addirittura dannoso porsi dei grattacapi del genere, buoni solo per discorsi da prete, che non hanno avuto finora delle soluzioni credibili e tanto meno le potranno avere in futuro. Il filosofo pessimista, il rumeno Emil Cioran, in Un apolide metafisico, nel 1995, ha risolto il tormento della domanda del senso senza trovare alcuna risposta, giungendo alla conclusione che bisogna rassegnarsi e prendere la vita così come viene.

Lo storico Yuval Noah Harari ha affermato con decisione che: “L’universo è privo di senso, e anche i sentimenti umani non hanno alcun senso. Essi non svolgono un ruolo o una funzione in qualche grandiosa narrazione cosmica, sono soltanto vibrazioni effimere che appaiono e scompaiono senza una ragione specifica. Questa è la verità. Facciamola finita” (Yuvak Noah Hariri, 21 lezioni per il XXI secolo [2018], tr. di Marco Piani, Bompiani, Milano 20196).

Quindi molto più utile è dedicarsi a vivere semplicemente con serenità senza farsi troppi problemi, anche perché già ce ne sono troppi. Meglio impegnare il tempo in ciò che produce qualcosa di più interessante, piuttosto che cedere a pressioni psicologiche che sono valide soltanto per piazzare qualche prodotto commerciale religioso e psicologico che offre consolazione dalla dura realtà del non-senso della vita.

Vivere è più che respirare… il compito di esistere!

Non basta respirare per vivere, lo sappiamo bene ma bisogna ricordarselo ogni tanto, in questo le cadute ci aiutano: l’essere umano avverte la domanda di esistere, da ex-sistere, venire fuori, indica un portare alla luce ciò che sta dentro, indica uno stare nella realtà con l’originalità del proprio essere che porta con sé la spinta al compimento. Non esistiamo perché abbiamo un numero civico dove andare a dormire e mangiare, perché qualcuno ci ha dato un nome ed un cognome alla nostra nascita ben riconoscibili e tantomeno perché accumuliamo tanti like e abbiamo followers sui social.

Al contrario è la vita stessa che ci chiede di esistere e non banalmente di sopravvivere. Esistere implica dunque qualcosa che eccede la vita, ha sostenuto il noto scrittore Alessandro D’Avenia che contiene la “risposta ad una chiamata” (Corriere della Sera, Venire alla luce, 12 settembre 2022). La quale si esplica nell’innata spinta a creare e ricreare, e dare alla luce quel qualcosa che rimanda a qualcosa oltre sé stessi. A ciò che è capace di “salvare il mondo”. Si tratta di quel movimento della vita che a partire da sé conduce al compimento del proprio essere oltre il sé.

Questo “esserci” nella storia diviene nell’incontro con l’altro, di cui il filosofo Levinas (cfr. Totalità e infinito, tr. it. 2016) ha descritto come il “volto”, diventa una interpellanza, il “tu” che rivela una trascendenza ed impone la responsabilità per l’altro. Nella prospettiva heideggeriana (cfr. Essere e tempo, tr. it. 2005) che pare offrire ancora una valida pista di indagine circa l’esserci, si declina nella “cura” dell’essere che comprende il fatto di “essere gettato” nel mondo nella cui esperienza l’esistenza si “disvela” e si “apre” ad un “progetto” che ci permette di comprendere chi siamo e per chi siamo qui.

Risalire alle radici

Tra chi ha sentito il bisogno di confrontarsi con l’arduo tema del “senso della vita” in questi nostri tempi e coraggiosamente lo ha riproposto alla riflessione collettiva si trova Vito Mancuso, teologo e scrittore, che ha pubblicato un interessante libretto, A proposito del senso della vita, Garzanti, Milano 2021. Il testo raccoglie la conferenza tenuta nella biblioteca comunale di Misano Adriatico e si tratta di un piccolo vademecum che tende a detta dello stesso autore nella premessa, di “interpretare la situazione spirituale del nostro tempo”, la quale sottende la domanda fondamentale del senso della vita che ritorna prepotente ad abitare la nostra casa interiore.

La domanda del senso e la ricerca della direzione della nostra vita esprimono, secondo l’autore, lo specifico della nostra umanità che sappiamo non si accontenta solo di oggetti ma necessita di progetti per vivere ed avverte il compito della coscienza del vivere. Chiaramente l’interrogativo esistenziale chiede verità e viene sempre nuovamente provocato su questa terra, a causa dell’impatto continuo che abbiamo con la realtà, a volte tanto inattesa da frantumare la solida impalcatura che ci siamo dati per la nostra vita, come accade quando ci troviamo dinanzi alla morte di una persona cara.

Il senso richiede sempre nuovamente di essere accolto e ricostruito, in qualche modo esige il nostro consenso nel qui e ora della nostra storia personale e sociale, come accade in questi nostri giorni. Pensare l’orizzonte di senso in questi nostri giorni necessita di pazienza e tenacia, il coraggio dei piccoli passi, giorno dopo giorno e nella semplicità della quotidiana esistenza entrare nel segreto dell’esistere. Per compiere questo percorso però bisogna superare il primo ostacolo che ci si pone difronte, quello che porta il nome di inconsapevolezza ontologica, più chiaramente dobbiamo crescere nella consapevolezza che noi non bastiamo a noi stessi, altresì pensare in questo mondo di trovarci al cospetto di qualcosa di più grande di noi stessi.

di Paolo Greco