La crisi contemporanea si intreccia e alimenta con altre crisi che amplificano criticità già esistenti della nostra società. La pandemia e la guerra in Ucraina con la conseguente emergenza energetica sulla quale incide l’emergenza ecologica mettono a nudo le crepe di un sistema globale che pare non rispondere alla domanda di sopravvivenza, di libertà e sicurezza dei popoli. È innegabile, le crisi sono generate non dalla mano invisibile di qualcuno, dal fato o da un dio sadico, ma dalla grande crisi educativa che già da tempo attraversa la nostra società, come già sosteneva Edgar Morin (Insegnare a vivere. Manifesto per il cambiare l’educazione, Raffaello Cortina Editore, 2015).
Come affrontare i cambiamenti che non sono poi così tanto futuri? Dinanzi all’inatteso c’è chi guarda in maniera nostalgica al passato, chi invece corre in avanti proiettandosi in mondi immaginari, e poi ci sono coloro che attendono passivamente che passi la tempesta. L’uomo saggio invece vive il presente coraggiosamente guardando in avanti e facendo memoria del suo passato.

Un mondo difficile da decodificare

Uno dei paradossi di questo nostro tempo è la grande confusione informativa che regna nonostante i potenti strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione. In altri termini, sui complessi argomenti risulta difficile farsi un’idea chiara e definitiva, come ha dimostrato il dibattito che ha generato l’utilizzo dei vaccini per affrontare la pandemia.
Siamo in un mondo difficile da decodificare, Ulrich Beck attento osservatore dei fenomeni sociali contemporanei, aveva già affermato che: “non ci troviamo semplicemente in un cambiamento del mondo, ma in una metamorfosi” (cfr. La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari 2016). Ciò che prima veniva ritenuto inconcepibile accade al di là della sfera della politica e della democrazia, pensiamo al surriscaldamento climatico, la pandemia, la crisi energetica e alimentare che ne sono scaturite, come alle schermaglie di una guerra nucleare che minaccia la stessa sopravvivenza del mondo.  
Siamo tutti d’accordo sul fatto che “Non capiamo più il mondo”, meno d’accordo lo siamo sul come provare a capirlo. Il sociologo tedesco utilizza la parola “metamorfosi” perché descrive meglio l’attuale, dove ciò che cambia è la stessa natura dell’esistenza umana che incide sul modo delle persone di stare al mondo. In tale prospettiva la metamorfosi come nozione non esprime né pessimismo e né ottimismo, e non pensa che sia scontato il lieto fine, bensì lascia aperte tutte le possibilità. La strada del nuovo sarà percorribile dalla capacità di decidere da parte della politica, in quanto esercizio di responsabilità per il bene comune che sappia guardare anche al bene delle generazioni future.

Recuperare le speranze disattese

Le nuove opportunità date dai futuri cambiamenti soprattutto per quanto riguarda l’ambito tecnologico e scientifico, viene sopraffatto da un senso di perdita e di spaesamento per l’incerto che il presente manifesta. Il futuro viene percepito sempre più come una minaccia e di meno come una promessa, mentre la quotidianità è avvolta da nubi che paralizzano e condizionano le abitudini quotidiane, come dimostra la pandemia, la minaccia nucleare con la conseguente crisi energetica, che evidenzia la persistente crisi ecologica. Infatti si diffonde un sentimento di frustrazione e di permanente precarietà tra i cittadini perché avvertono tutta questa pesantezza.
Zygmunt Bauman nel suo libro postumo Retrotopia, Laterza, Bari 2017, aveva già osservato il cambiamento della mentalità e degli atteggiamenti del cittadino contemporaneo, il quale davanti alla sottrazione di libertà e sicurezza inizia a coltivare la nostalgia di un passato in cui ci si sentiva protetti e più liberi. Dinanzi ai grandi salti in avanti dovuti allo sviluppo tecno-scientifico, a livello sociale si avverte una certa nostalgia del passato.
La via del futuro stranamente somiglia ad un cammino a ritroso, dove il passato viene rivalutato e può compiere un itinerario di purificazione il futuro che si è reso presente in maniera diversa da quanto si immaginava. “Questi sono gli anni della retrotopia” afferma Bauman e il guardare all’indietro diventa un esercizio vitale necessario per recuperare le speranze disattese e la bussola. Per orientarsi nella confusione in cui siamo si ricomincia dalle poche certezze, stando attenti però ai rigurgiti di un restaurazionismo di matrice conservatorista che sempre tentano l’ego di un uomo fragile, difendendosi dietro nazionalismi che manifestano miopia davanti agli interrogativi che pone la realtà presente.

Una strada da seguire

In un testo musicale di Giorgio Gaber, C’è solo la strada, si sostiene che bisogna tornare alla strada per conoscere chi siamo. Ovvero a quel luogo dove pulsa la vita in tutta la sua nudità e crudezza. I futuri cambiamenti chiamano in causa la questione antropologica ed etica, in definitiva la questione educativa che coltiva l’inguaribile sogno di migliorare e così contribuire a cambiare le sorti del futuro del mondo.
In altri termini, soltanto tenendo uniti il banco e la strada possiamo imparare a vivere. La speranza generalmente è quello di un mondo migliore, la strada da seguire dunque resta quella dell’umanità responsabile che sappia prendersi cura della vita che ha ricevuto in dono e sappia imparare da essa. Un umano che non si rifugia nella tana e non cerca fughe, bensì esercita una ragione aperta, critica e creativa, coltiva occhi per vedere il reale che lo circonda, senza paure e infingimenti. Principalmente si relaziona in maniera trasparente con gli altri e il mondo circostante senza piegare tutto alla degradazione dell’individualismo e dell’egoismo, alla logica produttiva-consumistica, ma si percepisce in una relazione sociale e solidale.

Ripartiamo dal pensiero etico e dall’educazione

Dalla voce “cambiamento” della Treccani si trova tra le altre questo significato: “nella scherma, azione con cui si cerca di deviare il ferro dell’avversario dalla linea di offesa; mentre futuro dal lat. Futurus Che sarà o verrà in seguito; che, rispetto al presente, deve ancora avvenire”. Se di ciò che verrà in seguito a ciò che viviamo nel presente lo percepiamo come un avversario allora vuol dire che qualcosa è andato storto, e bisognerebbe riconoscere gli errori commessi che ci hanno condotto a questa situazione, tuttavia ci attrezziamo per fronteggiarlo in maniera adeguata.
Per l’altro verso se il futuro è quello spazio aperto delle possibilità che si possono realizzare positivamente per una vita migliore, così come lo è stato per i secoli passati, allora dobbiamo sentirci protagonisti tutti insieme e impegnarci a prepararlo cominciano dal nutrire un pensiero etico che si preoccupi delle carenze della nostra educazione, come afferma Edgar Morin, una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea: “Leghiamo inseparabilmente la massima di Hans Jonas sul pianeta degradato che noi lasceremo ai nostri figli e la massima di Jaime Semprun che si preoccupa delle carenze della nostra educazione” (Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Cortina Editore, Milano 2015).

Paolo Greco