La chiave ermeneutica del Piccolo Principe per vivere in armonia con se stessi, gli altri e il mondo

In un articolo scritto sul Corriere della Sera nel febbraio del 1975, dal titolo Il vuoto del potere in Italia, Pier Paolo Pasolini aveva voluto sottolineare la scomparsa delle lucciole dalle campagne a causa dell’inquinamento. In realtà il contenuto dell’articolo aveva una valenza anche di carattere metafisico: le lucciole erano il simbolo di una natura verso cui l’uomo provava ancora stupore e meraviglia, assumendo quasi un carattere “mitologico”, ma che pian piano stava scomparendo perché sostituito da altre luci di carattere illusorio e artificiale. Sono le luci che gradualmente stanno estinguendo la vera essenza dell’uomo per trasformarlo in qualcosa che lo superi, passando così dall’umanesimo al transumanesimo.

Transumanesimo

Attraverso le luci della scienza e della tecnica si vuol far credere che si potrà, in tempi non molto distanti, raggiungere l’immortalità e eliminare ogni tipo di sofferenza. Il filosofo transumanista Fereidoun M. Esfandiary, che volle modificare il suo nome in FM-2030,spiegò in questo modo i motivi di questa sua scelta: “Il nome 2030 rispecchia la mia convinzione che gli anni intorno al 2030 saranno un momento magico. Nel 2030 saremo senza età e tutti avranno una buona possibilità di vivere per sempre”.

E’ l’avvento di una nuova concezione dell’umano fondata sull’utilitarismo e sull’efficientismo, che andrebbero ad abolire le inquietudini e le frustrazioni connaturali ai  limiti della nostra esistenza. E’ lo stravolgimento della nostra identità, l’inizio di un nuovo mito fondato sul dominio dell’uomo sul mondo. Un dominio orientato a creare una metamorfosi antropologica attraverso cui è l’uomo stesso ad autoredimersi nei diversi campi che lo caratterizzano: culturale, politico, scientifico, ecologico ed economico.

La fragilità dell’uomo

La pandemia dovuta al Covid 19 e il conflitto russo-ucraino hanno però smitizzato questo tentativo, tanto che Edgar Morin nel suo piccolo saggio Risvegliamoci ha affermato: “gli esseri umani non riusciranno a debellare virus e batteri né a evitare incidenti e catastrofi naturali. La morte può arretrare ma non la si può sconfiggere […]. Il pianeta è in difficoltà: la crisi colpisce l’umanità intera, provoca ovunque fratture, fa scricchiolare le articolazioni, riaccende le guerre, determina ripiegamenti particolaristi; la visione globale e il senso dell’interesse generale sono ignorati ”.

Il progetto volto a sottacere i nostri interrogativi esistenziali sembra scricchiolare, gli ultimi eventi ci rimettono di nuovo in crisi dopo aver cercato in più modi di anestetizzare gli imprevisti. E’ necessaria allora una nuova bussola che ci indichi la rotta da seguire per riprendere il cammino verso la giusta strada. Dove trovare questa bussola? Di solito cerchiamo di trovare le soluzioni ai problemi attraverso chissà quali teorie articolate, ma spesso sono le cose più semplici a darci la chiave giusta.

La chiave del “Piccolo princip”

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, diceva il Piccolo Principe. E’, infatti, proprio il significato morale di questa straordinaria favola che può darci l’interpretazione giusta per porre rimedio alla catastrofe planetaria in corso. L’autore del libro, Antoine de Saint-Exupéry, ha voluto evidenziare che è proprio nei momenti di crisi, anche se da una parte possono destabilizzarci, che possiamo fare spazio nel nostro cuore alle cose che realmente sono importanti per la nostra vita.

E’nelle situazioni di “deserto” che sperimentiamo i valori autentici, che riscopriamo noi stessi, dando così ascolto ad una coscienza purificata da ciò che la contaminava. Bisogna però ritornare a vedere la realtà con lo sguardo dei bambini, o meglio del Piccolo Principe, tornando a guardare noi stessi, gli altri e il mondo con l’occhio metafisico. E’ dunque necessario disintossicarsi dalle immagini che ci siamo creati o che ci hanno imposto nel tempo, per tornare così a sognare,  a stupirci e riscoprire il vero senso dell’amore e dell’amicizia.

Il boa e l’elefante

Sarebbe il caso di tornare ad ammirare e contemplare ciò che ci circonda piuttosto che volerlo solo dominare e possedere. E’ ciò che accadde infatti al protagonista del racconto, quando, presentando il proprio disegno ai “grandi”, in cui era raffigurato un boa che mangiava un elefante, vedeva che nessuno era in grado di comprendere l’immagine autentica del disegno, tanto da scambiarla per un cappello.
Anzi, dopo vari tentativi in cui cercò di spiegare il vero significato della sua opera, venne demotivato perché “mi risposero di lasciar da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica”. E’ evidente che con  tale risposta gli adulti hanno voluto ribadire che solo attraverso la scienza è possibile scoprire il vero significato della realtà. Questo non significa che il contributo delle scienze sia nocivo, ma il problema è che non bisogna assolutizzarle tanto da farle diventare un idolo.

Comprendere il senso ultimo delle cose

Oltre all’aspetto pragmatico del sapere, che mira esclusivamente all’utile, bisognerebbe riscoprire la felicità anche attraverso metodologie filosofiche che vanno oltre ciò che è sperimentabile o manipolabile. Non solo conoscere il “dato”, ma scoprire anche il senso del “dato”. Non avere la pretesa di riuscire a saper comprendere e dimostrare tutto, ma  lasciare anche la porta aperta alla trascendenza. Dare di nuovo importanza, dunque, al senso del mistero.
Occorre a questo punto un cambio di prospettiva, una vera e propria conversione. Occorre tornare al fondamento ultimo delle cose, a porsi domande su quanto da sempre è risultato enigmatico per l’esistenza, ma che per timore abbiamo voluto soffocare sostituendolo con la presunzione di poterlo controllare nelle forme più svariate.

Lo dimostrano le varie categorie di uomini che incontra il Piccolo Principe nel suo viaggio alla ricerca della verità dopo aver abbandonato il suo pianeta perché deluso dall’immagine che si era fatto della sua rosa, la cosa che amava di più. Ed è proprio perdendo di vista la realtà autentica delle cose e abbandonandoci a una visione distopica di ciò che ci circonda, che rischiamo di non capire il senso della nostra esistenza, cadendo così sempre più nel buio della solitudine. E’ quello che è accaduto infatti al re, al vanitoso, all’ubriaco, all’uomo d’affari, al geografo, che credendo di aver trovato il senso della loro vita attraverso cose effimere, in realtà avevano fatto trasparire una profonda malinconia e inadeguatezza.

La necessità del deserto e l’acqua che disseta

Solo il possesso dei beni materiali non appaga il nostro bisogno di felicità, ma è necessario il deserto per capire quanto sia essenziale l’acqua per la nostra sopravvivenza. Secondo il Piccolo Principe “ gli uomini si imbucano nei rapidi”- cioè i treni con cui vanno alla ricerca della felicità- “ma non sanno più che cosa cercano. Allora si agitano, e girano intorno a se stessi…”.
Il fanciullo nel suo viaggio nel deserto, però, capì di quale acqua avesse  realmente bisogno: Ho sete di quest’acqua. Dammi da bere” disse all’autore. In quel momento Saint- Exupery  comprese il senso di quella richiesta: “e capii quello che aveva cercato! Sollevai il secchio fino alle sue labbra. Bevette con gli occhi chiusi. Era dolce come una festa. Quest’acqua era ben altra cosa che un alimento[…] . Faceva bene al cuore, come un dono.

Il bambino che ci è stato dato in dono

Quando ero piccolo, le luci dell’albero di Natale, la musica della Messa di mezzanotte, la dolcezza dei sorrisi, facevano risplendere i doni di Natale che ricevevo”. Il riferimento al Natale, non è casuale. E’ possibile scorgere dei cenni al mistero dell’incarnazione, dove emerge un parallelismo tra questi due fanciulli che scendono sulla terra per dare un senso alla vita dell’uomo. Questo è il vero senso del Natale: cioè un bambino che ci è stato dato come dono per riportarci in armonia con noi stessi, gli altri e il mondo.
Ed è quello stesso bambino che, una volta cresciuto chiede, come è evidenziato nel Vangelo di Giovanni 4, 5-15,  alla donna samaritana nei pressi del pozzo: “dammi da bere”. E’ un bambino che cerca il contatto con gli uomini, che vuole entrare in relazione con essi, come si è verificato per quella donna che cercava l’appagamento dei propri desideri solo nelle cose del mondo e come è accaduto nel dialogo tra il Piccolo Principe e la volpe, la quale fece presente quanto fosse importante addomesticarsi, per instaurare dei sani rapporti.
Quel bambino, ormai divenuto adulto le ha dato da bere l’acqua della vita, quell’acqua che le avrebbe estinto per sempre la sete materiale incrementando invece la sete dello Spirito. Ed è proprio lo Spirito che ha contribuito a farle cambiare sguardo sulla realtà, trovando così il vero senso della felicità. La stessa cosa il Piccolo Principe vuole dirci e riferendosi all’autore, infatti, affermò: “ Da te, gli uomini, coltivano cinquemila rose nello stesso giardino…e non trovano quello che cercano[…]. E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’ acqua”. E poi soggiunse: “gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore”.

Marco Mancini