Dev’esserci stato un momento, all’origine dell’umanità, in cui i nostri antenati, dopo una giornata trascorsa a procacciarsi il cibo, a rendere più confortevole il rifugio che si erano trovati, ad accudire i piccoli, dopo essersi sfamati, essersi assicurati che non vi fossero pericoli nei dintorni e dopo che i piccoli si erano addormentati, si sono seduti attorno a un fuoco e uno di loro, con ogni probabilità il più anziano del gruppo, quello che aveva accumulato più esperienze nella sua primitiva vita, s’è messo a raccontare.
Certo, doveva essere già stato scoperto il fuoco e il linguaggio aveva già dovuto costituire l’essere umano, doveva essersi già formata una piccola comunità. O, forse, al contrario, potrebbe essere stata proprio quell’innata tendenza a raccontare che aveva permesso all’uomo di scoprire il fuoco, il linguaggio e la vita sociale.
Comunque sia andata, da quel momento l’uomo non ha più smesso di raccontare storie, a volte nella piena consapevolezza di farlo, altre volte senza nemmeno rendersene conto, utilizzando la parola e il gesto, la scrittura e le immagini, e poi la musica e il teatro, e poi ancora il cinema e l’universo telematico.
Il Progetto “Racconti. La sottile linea rossa” nasce da un’idea dell’Associazione culturale “Le colonne” di Sezze, in provincia di Latina, che fondai più di quarant’anni fa. Nasce dal desiderio di continuare a vivere quel momento fondativo delle relazioni interpersonali che è il racconto, in un’epoca, la nostra, in cui sono radicalmente mutati alcuni degli elementi costitutivi di quell’atto ancestrale che è il raccontare: il ruolo di chi è più avanti negli anni, la compresenza fisica, il silenzio della notte, lo spirito comunitario.
L’espressione “la sottile linea rossa” risale al resoconto che il corrispondente del Times, William H. Russell, fece della battaglia di Balaklava, combattuta il 25 ottobre 1854 durante la guerra di Crimea.
Quella battaglia costituì il primo dei due tentativi della Russia di rompere l’assedio di Sebastopoli, attaccando il campo britannico di Balaklava. L’esercito russo era più numeroso e l’accampamento britannico era difeso soltanto dal 93° Reggimento di fanteria Highlander e da un piccolo gruppo di Royal marines. Per poter disporre i pochi uomini su un fronte più ampio, il comandante li dispose in una linea profonda due uomini, mentre normalmente avrebbe dovuto essere di quattro. La cavalleria russa ruppe la carica di fronte a quella strenua difesa e si ritirò. Il giornalista inglese, descrivendo la scena che aveva osservato dalla cresta di una collina, scrisse che, tra i russi in carica e la base britannica di Balaklava, non poteva vedere nient’altro che una “thin red streak tipped with a line of steel” (“una sottile linea rossa da cui spuntavano punte d’acciaio”).
La sottile linea rossa (The Thin Red Line) è anche un film del 1998 diretto da Terrence Malick. Il titolo del film non si riferisce all’episodio sopra riportato, bensì a un verso di Rudyard Kipling: “Tra la lucidità e la follia c’è soltanto una sottile linea rossa”.
Il sottotitolo scelto per questo Progetto intende ispirarsi a entrambi i significati dell’espressione. Da un lato, vuole sottolineare l’importanza di piccoli e minoritari gesti di resistenza a una cultura dominante che tende a considerare inutile e privo di senso l’impegno dedicato alla costruzione di momenti comunitari in cui la compresenza fisica non è sostituibile da quella virtuale. Dall’altro, prova a costruire un argine a una sotterranea ma determinata volontà d’intendere i rapporti interpersonali sempre più in un’ottica conflittuale (fra generazioni, fra popoli, fra sessi, fra religioni…), laddove il racconto, di contro, costruisce relazioni e legami.
Il progetto si articola in diverse serate in cui alcuni componenti della comunità raccontano storie, in cui il contenuto della storia raccontata è sempre in secondo piano rispetto all’atto del raccontare. Non tengono una conferenza. Non si tratta di un convegno. Non c’è un dibattito assembleare. C’è, semplicemente, l’atto del raccontare una storia. Fra le storie raccontate non c’è un filo conduttore tematico poiché la sottile linea rossa che le lega è sempre e soltanto l’atto del raccontare. Si racconta un brano musicale, un vino, un film, un evento sportivo, un fatto storico…
Anche la disposizione dello spazio esprime che non si tratta di una conferenza ma del semplice rito del racconto: colui che racconta e coloro che ascoltano sono disposti in cerchio attorno a un piccolo fuoco, a rappresentare l’ambientazione più tipica, fin dalla notte dei tempi, del rito del racconto.
Non è il numero delle persone che partecipano a un evento a decretarne il valore. Se così fosse, programmi televisivi dedicati a spiare uomini e donne seminudi su un’isola avrebbero un valore maggiore di una poesia di Leopardi. Non interessa, dunque, il numero di persone che vogliono ascoltare questi racconti e non si hanno aspettative al riguardo. Eppure, un dato numero di sedie lo si deve predisporre. Quale?
Simbolicamente, a inizio serata vengono predisposte sei sedie. Sei erano, infatti, le “Decarcie”, gli antichi rioni in cui era suddivisa Sezze nel periodo Medievale, e l’aspettativa è che questa iniziativa, pensata e realizzata a Sezze e per Sezze, possa vedere la presenza (simbolicamente) di un rappresentante per ognuna delle antiche Decarcie: sei partecipanti rappresenteranno l’intera città; tutti quelli che verranno in più costituiranno una graditissima abbondanza di partecipazione e per essi verranno aggiunte, mano a mano, altre sedie.
In questo 2020, comunque, siamo alla quinta edizione e, come mero dato statistico, c’è da rilevare che la partecipazione media è stata di circa sessanta persone, con punte, in alcuni casi, fino alle cento. La normativa di prevenzione della diffusione del Covid 19 non ha fermato questa quinta edizione: ha soltanto previsto l’uso della mascherina e del distanziamento.
Potrebbe essere una sorta di Format esportabile.
di Giancarlo Loffarelli