Da molto tempo ci si confronta e discute sui cambiamenti o i passaggi da compiere per l’innovazione della catechesi oggi.[1] Per delineare schematicamente un primo sintetico quadro sul quale basare il nostro confronto, possiamo indicare almeno sette punti:[2]

1)         Da una catechesi per i bambini ad una catechesi per tutti, anche e soprattutto adulti

E’ un dato di fatto più che evidente: oggi, la maggior parte dei cristiani, nel sentir parlare di “catechesi”, pensa spontaneamente ed esclusivamente ai bambini delle elementari e delle prime classi delle medie.
Il concetto di catechesi è a tal punto legato a quello di infanzia che, in certi contesti, chi si interessa di una possibile formazione catechistica oltre la preadolescenza, per indicare la propria proposta utilizza di fatto termini diversi: il “post-Cresima”, “animazione”, “formazione”, “corso di cultura religiosa”, ecc. Termini forse impropri, quando si sa che la missione catechistica della Chiesa si rivolge a tutte le età, come ci hanno ricordato periodicamente tutti i documenti catechistici sulla catechesi usciti nel postconcilio, a partire dal Direttorio del 1971 per giungere all’ultimo, analogo testo del 1997.
Non si tratta evidentemente di abbandonare la catechesi per i bambini, ma di pensare sul serio anche al “dopo”, traendo finalmente le conseguenze operative da un dato di fatto di cui abbiamo ormai piena coscienza, e da anni: è definitivamente tramontato quel regime di “cristianità” diffusa che poteva giustificare una catechesi limitata alle prime età. In questa situazione ormai superata, la società stessa, sostanzialmente cristiana, sembrava in grado di garantire – per dirla con il grande catecheta francese Colomb (1902-1979) – una sorta di “catecumenato sociale” che esonerava, forse, dalla cura di una catechesi continuativa, una volta completata l’iniziazione cristiana sacramentale.
In un contesto diversissimo, di postcristianità, di pluralismo culturale e religioso, di relativismo, il passaggio ad una catechesi che comprenda tutti i membri della comunità cristiana, adulti in primis, è un primo passo imprescindibile.

2)         Da una catechesi per fasce di età a una catechesi intergenerazionale

Il passaggio proposto fa emergere chiaramente che, oggi, le attività catechistiche sono proposte quasi esclusivamente per fasce di età.
Uno dei principali problemi di questo sistema sta nelle richieste “fuori norma” che, nell’attuale situazione socio-religiosa, tendono a moltiplicarsi. In numerose parrocchie, per esempio, quando un giovane “fuori età” o un adulto chiedono la Cresima (se non addirittura il Battesimo), quando un gruppo vuole approfondire un problema religioso nel corso di alcuni incontri che non incominciano con il tradizionale inizio dell’anno pastorale-catechistico… ci si rende conto che, in un sistema quasi bloccato di suddivisione della catechesi in fasce di età, per questi casi anomali è previsto poco o nulla.
Le richieste appena richiamate a titolo d’esempio, e altre simili, dovrebbero costituire per la comunità cristiana e per i responsabili della catechesi motivo di gioia, occasione di rivitalizzazione e arricchimento personale e comunitario. Invece, si fa capire (talvolta inconsapevolmente) che la richiesta “fuori norma” crea problemi, che è difficile l’inserimento in una “classe” già avviata. Può capitare così che – per riprendere l’esempio accennato – il giovane che chiede la Cresima sia invitato a prepararsi da solo al sacramento, con un minimo di contatti con un sacerdote o catechista.
Si uscirà da queste contraddizioni soltanto con una catechesi che coinvolga, insieme, tutte le fasce di età, dalla fanciullezza all’età adulta.
L’enunciato può sembrare puramente teorico e di difficile attuazione. Ma si pensi – ancora una volta a puro titolo esemplificativo – alla catechesi di preparazione alla Comunione riservata abitualmente a gruppi di bambini. E’ indubbio che, per loro, una tale catechesi sarà tanto più efficace quanto più coinvolgerà, con i coetanei, pure i familiari, dai genitori ai nonni, insieme con i membri di varie età della parrocchia. Ma un approfondimento catechistico sull’Eucaristia non potrà che risultare utile anche per gli adulti coinvolti, dal momento non si è mai “iniziati” abbastanza al sacramento culmine e fonte della vita cristiana. E dunque, un incontro di catechesi “intergenerazionale” avente come oggetto l’Eucaristia, se opportunamente modulato, permetterà ai bambini un primo accostamento al significato della Comunione, mentre agli adulti offrirà l’occasione di un salutare approfondimento.

3)         Da una catechesi sacramentale a una catechesi continua

Per una eredità storica plurisecolare, è convinzione radicata in molti cristiani che la catechesi serva a preparare ad un sacramento che costituisce (costituiva?) una tappa di una certa importanza nella vita: la prima Confessione e Comunione, la Cresima e, in certi contesti come la Francia e il Belgio francofono, la professione di fede fatta intorno ai dodici anni.
Ma quando si arriva a comprendere che, da una parte, si mai perfettamente cristiani e, dall’altra, che la catechesi è una missione connaturale e prioritaria alla Chiesa, si intuisce con ciò stesso che non può rimanere legata unicamente alla ricezione dei sacramenti e, meno ancora, soltanto alla loro preparazione.
Questa presa di coscienza non comporta certamente il tralasciare la tradizionale attività catechistica in diretta relazione con i sacramenti; esige però che la catechesi sia pensata e strutturata a prescindere dalla scadenza obbligata di un determinato sacramento e in funzione di questo, dal momento che essa è primariamente «per la vita cristiana» come giustamente mette in evidenza anche il titolo programmatico che lega tutti gli attuali catechismi CEI.

4)         Da una catechesi obbligatoria e per iscrizione a una catechesi permanente per scelta

L’attuale prassi prevede che chi desidera un sacramento debba essere iscritto e seguire (subire?!) l’itinerario stabilito dall’organizzazione parrocchiale della catechesi. Ciò deriva anche dal fatto che queste grandi tappe della fede debbano – così si ritiene – essere vissute con l’insieme di un gruppo formatosi in uno stesso momento.
Per un verso, la catechesi è obbligatoria per chi vuole riuscire a ottenere la “ricompensa” del sacramento; esso è conferito soltanto a coloro che sono stati iscritti per la catechesi al momento richiesto, secondo le modalità stabilite dai responsabili locali. D’altra parte, per il catechizzando che ha soddisfatto a tutti gli obblighi prescritti, la celebrazione sacramentale diventa un “diritto” che il parroco è praticamente obbligato a rispettare e soddisfare.
Risulta evidente che, posti i primi tre passaggi sopra elencati, la prassi ora richiamata non ha più ragione di esistere, perché le nostre comunità dovranno passare da una catechesi obbligatoria e per iscrizione in vista di un sacramento ad una attività catechistica permanente cui il singolo aderisce per libera scelta, senza i lacci e laccioli di una impostazione fondamentalmente scolastica.
La nuova catechesi – ripetiamolo – non avrà come principale prospettiva la preparazione ad alcune tappe sacramentali della vita cristiana, ma l’accompagnamento permanente della fede, per tutti coloro che desiderano camminare con la comunità locale. Essa sarà: «un mettersi liberamente in cammino di persone di ogni età e di ogni condizione, che desiderano costruire e vivere insieme in una comunità fraterna. Si rivolge a tutti: pastori, adulti, giovani e fanciulli. È un modo di vivere in comunità per quanti lo desiderano. Consente una libertà di scelta, di adesione e di partenza» (M.A. Dille Notte).

5)         Da una catechesi di presentazione a una catechesi mistagogica

I nuovi orientamenti che percorrono e fermentano l’odierna prassi catechistica spingono pure ad una rinnovata impostazione dei suoi contenuti. Sotto questo aspetto, molti catechisti ritengono che la loro missione consista nel presentare, spiegare le “cose della fede” che, una volta assimilate, dovranno essere vissute. Espongono ai catechizzandi chi è Dio, che cos’è l’Eucaristia, come accogliere il Cristo nella propria vita, come intendere lo Spirito Santo, la Trinità, quanto è avvenuto con Abramo, Mosè…; presentano la vita e l’opera di Madre Teresa, di san Francesco di Assisi, indicandoli come modelli, ecc.
Tutto questo sforzo mirante ad illustrare, spiegare i contenuti della fede è sufficiente? Oppure occorre altro? La risposta è antica quanto la prassi messa in atto dai Padri della Chiesa per l’iniziazione sacramentale degli adulti: «La catechesi sui sacramenti viene solo dopo la loro celebrazione. Tutte le testimonianze concordano nel dimostrare che questa è una prassi deliberata, generalmente ammessa e considerata come essenziale. (…) Il motivo più importante e molto spesso ricordato con forza è questo: l’esperienza deve precedere la spiegazione. Nella celebrazione dei sacramenti si trova infinitamente di più di qualche nozione o conoscenza sul mistero cristiano. Vi è un avvenimento, una vita nella quale si è effettivamente introdotti, un’azione, – intervento di Cristo e risposta dell’uomo – a cui si partecipa. Il significato di tutto ciò richiede di essere svelato, rivelato. Questa rivelazione sarà molto più efficace, reale, se si fonda su un’esperienza già vissuta (…): tale è, propriamente, la funzione della catechesi mistagogica»[3]. Anche il card. Danneels sottolinea che: «Le grandi catechesi di Giovanni Crisostomo o di Agostino, per esempio, sono destinate a coloro che sono passati attraverso il rito, che hanno ricevuto il Battesimo o partecipato all’Eucaristia. La comunione con Dio non si stabilisce mediante discorsi esplicativi, ma attraverso segni che rivelano la sua azione, la sua iniziativa. (…) Non si è iniziati al mistero, ma dal mistero. […] La vita precede la riflessione. Così accade per tutti i misteri: l’amore, la provvidenza, la creazione, la salvezza e la redenzione, la gioia e la fatica, la sofferenza e la morte. Tutto questo prima di tutto compete al cuore. Soltanto dopo raggiunge la mente e si cercano i vocaboli per parlarne. Del resto, non si riesce mai ad esprimere completamente quello che si vive».
Ecco ciò che ancor oggi si chiama catechesi mistagogica. Catechesi che fa entrare, per esperienza, nel mistero (nella scoperta di Dio, della Chiesa, della vita cristiana), dal momento che si è incominciato a gustarlo, a viverlo e perciò a porsi delle domande. Essa si riallaccia precisamente alla missione essenziale della catechesi parrocchiale che deve consentire di mettersi in contatto con una comunità cristiana e la sua prassi. Insomma: la catechesi parrocchiale dovrà chiaramente trasformarsi in una catechesi mistagogica, cioè essere molto più che semplice esposizione. 

6)         Da una catechesi tematica a una catechesi complessiva

Attualmente, la nostra catechesi si sviluppa a partire da diversi temi ed elementi, spesso però considerati come a se stanti e non come parte di un tutto organico. Così, ad esempio, nell’incontro catechistico di presentano passi dell’Antico Testamento, pagine dei Vangeli, i sacramenti, alcune figure di santi e testimoni, i momenti dell’anno liturgico. Troppe volte, però, questi vari aspetti risultano distanti o addirittura ermetici l’uno nei confronti dell’altro, fatta eccezione – forse –  per alcuni testi biblici letti in chiave moraleggiante in funzione della vita. Si ha, insomma, una trattazione dei temi a compartimenti stagni.
Si tratterà allora, di passare – sesta transizione – da una catechesi per temi isolati ad un ministero catechistico complessivo ove sono rispettate le leggi fondamentali dell’apprendimento umano, secondo le quali apprendiamo in termini globali, sempre approfonditi ciclicamente con un movimento a spirale sempre più ampio. Allora – per tornare all’esempio dell’Eucaristia – nel curare un’autentica iniziazione al mistero eucaristico non sarà sufficiente il ricorso ai testi biblici. Sarà invece necessario favorire contemporaneamente esperienze di vita comunitaria, perché – come ben sappiamo – la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa. E in un tale contesto di esperienza comunitaria verrà spontaneo il racconto della testimonianza di credenti che hanno compreso e vissuto autenticamente la celebrazione eucaristica; così come sarà altrettanto naturale l’iniziare i catechizzandi alla vita di carità verso il prossimo, come traduzione esistenziale dell’Eucaristia che è anche comunione con i fratelli.

7)         Da una catechesi affidata soltanto ad alcuni catechisti a una catechesi consegnata alla responsabilità di tutta la comunità

Tradizionalmente, i gruppi di catechesi riuniscono i ragazzi sotto la responsabilità di un(a) catechista. In molte parrocchie i catechisti che hanno ricevuto uno stesso compito (per esempio quello di preparare alla prima Comunione o alla Cresima) si ritrovano come gruppo per prepararsi ai vari incontri, sotto la guida di un sacerdote o di un animatore preparato.
Da parte loro, i catechizzandi conoscono bene solo i “loro” catechisti. I parrocchiani che non hanno niente a che vedere con la catechesi non ne conoscono alcuno. Talvolta, soprattutto nelle grandi parrocchie, anche chi è impegnato in altri settori della pastorale non conosce i catechisti (e viceversa); può capitare addirittura che gli stessi catechisti non si conoscano tra loro.
Alla radice di questa ignoranza reciproca sta un fatto incontestabile: i membri della comunità non si sentono interessati dalla catechesi e quindi dalla missione catechistica di ciascun battezzato e di ogni comunità cristiana. E il medesimo disinteresse giunge a colpire gli stessi operatori pastorali  di una parrocchia, quando pensano che la catechesi è esclusivamente al servizio dei tre sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Sarà allora il caso di riscoprire quanto già proclamava addirittura il Vaticano II, circa una catechesi che «non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli» (Ad Gentes, 14), trovando una eco ancora nell’ultimo Direttorio Generale per la Catechesi: «l’educazione permanente alla fede dipende da tutta la comunità» (n. 220).
Ben più importante sarà il superare il comprensibile moto di stizza che può nascere alla lettura di questi enunciati di principio. Il che è possibile precisamente se si realizzano i passaggi che abbiamo elencato. Perché, in una catechesi rinnovata secondo le linee suggerite, l’incontro catechistico non vede coinvolti esclusivamente il/la catechista e i ragazzi che si preparano ad un sacramento. Sarà un incontro intergenerazionale, con la presenza di giovani, adulti e anziani; ci saranno animatori “specializzati” in qualche speciale linguaggio che si vuole utilizzare per una più fruttuosa comunicazione catechistica (il linguaggio della recitazione, della musica, della pittura…). Ci saranno, ancora, volontarie per “babysitteraggio” dei più piccoli; ci saranno i membri del gruppo liturgico che aiuteranno a preparare una celebrazione a conclusione di un tratto del cammino catechistico… Appunto: ci sarà, in una parola, la comunità.


[1] Tra gli interventi più ampi al riguardo, cf: R. Houtevels-Minet, Il nous parlait en chemin. La catéchèse paroissiale: Communauté, Parole, Chemin, Bruxelles, Lumen Vitae 1999; M.A. Notte, Une catéchèse de cheminement. Approfondir la foi en communauté toute la vie, in «Lumen Vitae» 54 (1999) 199-213; H. Derroitte, La catéchèse décloisonnée. Jalons pour un nouveau projet catéchétique, Bruxelles, Lumen Vitae 2000; L. Aerens, La catéchèse de cheminement. Pédagogie pastorale pour mener la transition en paroisse, Bruxelles, Lumen Vitae 2002; H. Derroitte (ed.), Théologie, mission et catéchèse, Montréal, Novalis – Bruxelles, Lumen Vitae 2002.
[2]
Li desumiamo, spesso semplicemente sunteggiando e parafrasando, dal cit. L. Aerens, La catéchèse de cheminement.
[3] C.N.E.R., Thabor. L’Encyclopédie des catéchistes, Paris, Desclée 1993, p. 30; tr. it.: Tabor. L’Enciclopedia dei catechisti, Milano, Paoline 1995.