L’epoca post-secolare in Europa
Se dovessimo porci sulla stessa linea d’onda di quanto assodato da numerosi sociologi, in base agli studi effettuati sul nostro continente in tempi recenti, ci troveremmo sicuramente inclini ad affermare che l’Europa sta vivendo ora una sorta di fase successiva al secolarismo, meglio identificata come epoca post-secolare. Questo stadio temporale è comunque legato sempre al fenomeno della secolarizzazione e consiste in una risposta alle aspettative disattese dal secolarismo. Bisogna, allora, per rendere più chiara la questione, capire cosa si intende per secolarizzazione e quali sono le sue degenerazioni, tra cui appunto il secolarismo stesso. Una concezione che per molto tempo ha definito erroneamente tale termine e che tuttora persiste, è quella di considerare la secolarizzazione come eclissi della fede e l’evaporazione della religione. In teoria un sano e corretto significato di secolarizzazione ce lo dà proprio il cristianesimo che, a tale termine, fa corrispondere la distinzione tra le questioni proprie del mondo (Cesare) e quelle appartenenti alla sfera religiosa (Dio).
L’autonomia delle realtà terrestri nella Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”
Dunque per secolarizzazione si deve intendere l’autonomia delle realtà terrestri svincolate dall’ingerenza del sacro, senza ripudiare il trascendente e il religioso. Il Concilio Vaticano II ha specificato meglio tutto questo al numero 76 della Costituzione pastorale Gaudium et Spes, in cui afferma che le comunità terrene e la Chiesa “sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini”. La secolarizzazione intesa nel senso di laicità, attraverso questa reciproca distinzione tra i due ambiti, impedirebbe da un lato ogni forma di teocrazia e integralismo, ma dall’altro riconoscerebbe che la religione non può essere esclusa dalla sfera pubblica, in quanto attraverso una collaborazione feconda e un dialogo rispettoso con le realtà terrene, potrebbe aiutare l’uomo a rispondere alle domande esistenziali e a dare una soluzione ai problemi che da esse emergono nei vari contesti storici: “l’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna”.
L’altro estremo della secolarizzazione: “il secolarismo e l’umanesimo ateo”
Con il positivismo e le altre correnti di stampo illuminista e, in seguito, con le successive ideologie di matrice atea (marxismo e nazionalsocialismo), si è giunti all’altro estremo della secolarizzazione, e cioè, a quel fenomeno che tende ad assolutizzare la sfera mondana escludendo del tutto l’ambito religioso e negando la possibilità del trascendente. Il padre gesuita Giovanni Cucci, nel testo Religione e secolarizzazione, inquadra in modo molto preciso in cosa consiste tale fenomeno, meglio inteso come secolarismo: qui il rapporto tra sacro e profano è visto in chiave antagonista e la presenza di Dio diventa ingombrante e dannosa per la piena affermazione dell’uomo. “Il fenomeno esplode nel XIX secolo, con l’umanesimo ateo di Feuerbach, Marx e Nietzsche, il positivismo determinista di Comte, la rivolta esistenziale presente nei personaggi di Dostoevskij, Camus, Sartre: vi è alla base l’esaltazione dell’uomo contro Dio, visti come rivali”.
Max Weber e il “disincantamento del mondo”
L’allontanamento della religione dal contesto sociale e culturale ha così provocato quello che Max Weber ha definito il “disincantamento del mondo”. L’uomo grazie alla scoperta della tecnica e della scienza, oltre che ad una nuova sorta di intellettualismo a/teistico, potrebbe fare a meno di Dio, visto che verrebbe ritenuto ormai adulto e maturo per giungere alla sua stessa divinizzazione. La religione risulterebbe allora come una compensazione di quelle frustrazioni che lo caratterizzavano in epoche precedenti. Il timore verso la natura, con le sue leggi oggettive e ben definite, che rimandano inevitabilmente alla presenza del sacro, spingono l’uomo ad impadronirsi della natura stessa, eliminando tutto ciò che di metafisico, sacro e mitico in essa era presente. Viene così “tabuizzato” ogni atteggiamento sacrale, in quanto ritenuto superstizioso e magico dal pensiero secolarista, perché comporterebbe un incantamento della natura invece di sottometterla al dominio umano. Il fine del secolarismo è dunque quello di secolarizzare la natura.
I punti di debolezza del secolarismo: “una teologia rovesciata”
Nella Dialettica dell’Illuminismo Sia Adorno che Horkheimer hanno però evidenziato i punti di debolezza del secolarismo: “ l’illuminismo latu sensu  volendo liberare l’umanità dalla servitù nei confronti delle forze naturali, della mitologia e delle superstizioni, cade in una nuova forma di mitologia – quella della razionalità umana – e  determina la sottomissione dell’uomo al regime della tecnica e del progresso, un regime che porta a compimento il fenomeno di omologazione e di massificazione collettiva”. I movimenti sociali utopici che propugnavano una beatitudine edenica sulla terra, non hanno comunque dato risposte soddisfacenti a quelli che sono gli interrogativi di senso tipici dell’uomo nonostante abbiano concepito il loro pensiero alla stessa stregua di una religione laica. La loro rimane di fatto “una teologia rovesciata da dove emerge il carattere mistico e sacrale delle proprie strutture come condizione immanente all’ateismo vero e proprio. Tutto ciò dimostra anche se si vuole prescindere dalla religione e dalla presenza di Dio, implicitamente si finisce in qualsiasi caso a riconoscere qualcosa di sacro e che con Dio ha a che fare: “emerge così un elemento a priori nel presente tema che nessuno può smentire, neppure l’ateo: egli nega pur sempre qualcosa, se negasse il nulla anche la sua negazione svanirebbe e non sarebbe nemmeno possibile formularla”.
L’ “homo religiosus” nel processo di desacralizzazone delle metanarrazioni
Anche Mircea Eliade è sembrato essere dello stesso avviso, sottolineando nel saggio Il sacro e il profano che l’uomo ateo o areligioso pur volendo liberarsi completamente del sacro per essere se stesso, che lo voglia o no discende sempre dall’homo religiosus, perchè in effetti è il frutto di un processo di desacralizzazione dell’esistenza umana, e, cioè, porta ancora qualche scoria del comportamento dell’uomo religioso, depurata dal significato sacrale. “L’uomo areligioso allo stato puro, come si è già detto, è un fenomeno piuttosto raro anche nella società moderna desacralizzata […]. L’uomo moderno che pretende di sentirsi e di essere areligioso, ha ancora a sua disposizione tutta una mitologia camuffata e parecchi ritualismi degradati […]. Ma tali comportamenti religiosi camuffati o degenerati non si trovano soltanto nelle piccole religioni o mistiche politiche: li ritroviamo anche in quei movimenti che si dicono francamente laici, ossia antireligiosi. Per esempio nel nudismo o nei movimenti per l’assoluta libertà sessuale: ideologie queste nelle quali si scoprono tracce della nostalgia del Paradiso, il desiderio di reintegrare lo stato edenico prima della caduta, quando il peccato non esisteva e non vi era rottura tra la beatitudine della carne e la coscienza”. La fine delle ideologie che avevano innalzato l’uomo ad essere divino, dando vita ad una società esclusivamente antropocentrica che però ha evidenziato tutti i suoi limiti sulla possibilità per l’uomo stesso di redimere la propria condizione di essere finito, ha fatto venir meno quelle certezze e quelle sicurezze che le grandi metanarrazioni -per dirla alla Lyotard – avevano illusoriamente propinato.
La risposta spiritualista della società post-secolare
L’assenza di punti di riferimento e di stabilità ha contribuito alla riscoperta di un vago spiritualismo o trascendenza che però sono aliene a ogni forma di istituzionalizzazione del sacro. L’epoca post-moderna dunque è un’epoca post-secolare, dove l’attrazione per il trascendente si conforma alla liquidità tipica delle società opulente e la religiosità fluttua di volta in volta senza punti fermi, attraverso una commistione di credenze e un sincretismo di tipo relativista. Nella società post-secolare  si assiste più che a una riscoperta della religione o di Dio ad una spiritualità fondata sull’autonomia del soggetto. Il trascendente diviene allora uno strumento individuale, con cui l’uomo raggiunge uno stato di benessere personale nel  “qui e ora, nel tempo in cui si vive, senza spingersi verso l’aldilà”.
La secolarizzazione della teologia e della fede cristiana: la “demitizzazione”
Anche la religione cristiana non è rimasta esente da questa sorta di inginocchiamento davanti al mondo con consequenziale temporalizzazione degli insegnamenti evangelici, inglobando più i princìpi del secolarismo che di una sana secolarizzazione, e, assorbendo le istanze della post-modernità, ha finito per perdere le proprie caratteristiche diventando così una sorta di movimento etico o antropologia filosofica. Si è verificata una secolarizzazione della teologia come degenerazione di una teologia della secolarizzazione che, secondo Friedrich Gogarten, è la necessaria e legittima conseguenza della fede cristiana. Sempre secondo il teologo tedesco, invece, “il secolarismo non è altro che una degenerazione della secolarizzazione”. Sulla scia delle considerazioni di Rudolf Bultmann la religione cristiana si è lasciata alle spalle tutto ciò che di “mitologico” c’è nel Vangelo. “Il messaggio del Nuovo Testamento è espresso coerentemente all’antica immagine mitica del mondo con un linguaggio mitologico: incarnazione di un essere preesistente, morte espiatrice, risurrezione, discesa agli inferi, ascensione al cielo, ritorno alla fine dei tempi […]. Pertanto, se l’annuncio del Nuovo Testamento deve conservare una sua validità, non si da altra via che quello di demitizzarlo”. Questo tentativo di decostruzione della religione da princìpi metafisici e oggettivi è volto a togliere dal cristianesimo ogni tendenza idolatrica e magica al fine di contribuire a rendere più comprensibile l’esistenza umana.
La “mondanizzazione” nella vita della Chiesa cattolica
Tali mutamenti all’interno del cristianesimo hanno dunque interrotto il rapporto che per secoli si era instaurato tra il fedele e la Chiesa e si è finiti così per concepire la religione cristiana – secondo quanto stabilito da Sabino Acquaviva nel testo Il seme religioso della rivolta – come mezzo che “riconcilia l’individuo con le circostanze: insomma, pannicelli caldi contro la morte e la sofferenza”. Per Benedetto XVI tale visione finirebbe per esaltare il culto dell’individualismo, infatti, “in questo contesto culturale, c’è il rischio anche per i credenti di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo”. Anche papa Francesco nel corso della conferenza stampa nel volo di ritorno dal viaggio in Svezia nel 2016 ha espresso la sua preoccupazione su come tale forma di secolarizzazione religiosa sia penetrata anche nella Chiesa: “oggi io credo che questa secolarizzazione è molto forte nella cultura e in certe culture. È anche molto forte in diverse forme di mondanità, la mondanità spirituale. Quando entra nella Chiesa la mondanità spirituale- qui il santo padre cita le parole del cardinale De Lubac – è la cosa peggiore che le può accadere, peggio ancora di quello che è accaduto nell’epoca dei papi corrotti. Questo per me è pericoloso […]. Gesù quando prega per tutti noi nell’ultima cena chiede una cosa per tutti noi al Padre: di non toglierci dal mondo ma di difenderci dal mondo, dalla mondanità. E’ pericolosissima, è una secolarizzazione un po’ truccata, un po’ travestita, un po’ prèt-à- porter- nella vita della Chiesa”.  Le preoccupazioni del papa sono piuttosto condivisibili visto che tale mondanizzazione della fede cristiana rischia di infliggere un duro colpo all’identità e alle radici dell’Europa.
La scristianizzazione dell’Europa: i dati psicologici, sociologici o politici al posto della fede religiosa
La scristianizzazione del nostro continente va ricercata nella diffusione a macchia d’olio della cultura relativista in cui si manifesta una religiosità fai da te, senza princìpi ben saldi e senza la mediazione di organi istituzionali, ma attraverso una sorta di “bricolage o supermarket dello spirito, dove si può prendere ciò che piace, lasciando cadere il resto”.  A ciò va aggiunto quello che pocanzi abbiamo già identificato come temporalizzazione o storicizzazione della teologia, in cui l’ambito metafisico viene soppiantato da ciò che è sperimentabile e opinabile. Nel saggio Lo straniero o l’unione nella differenza Michel de Certeau ha mostrato quanto sia presente al giorno d’oggi questa mondanizzazione degli insegnamenti evangelici e della tradizione cristiana: “In realtà li interpretiamo in funzione della società di cui facciamo parte; le leggiamo e le selezioniamo in base alle nostre concezioni e ai bisogni che avvertiamo. Li adattiamo alla nostra mentalità, che partecipa necessariamente al nostro tempo. Così sfumiamo i miracoli e ci fermiamo di preferenza ai discorsi […]. Si tratta di un adattamento -secondo de Certeau- che mette dati psicologici, sociologici o politici al posto della realtà religiosa […]. Non diveniamo così i testimoni del nostro tempo più che i testimoni della rivelazione? Trasformando la tradizione non è il volto di Cristo quello che cambiamo? A quale Cristo siamo fedeli?”. Il soggettivismo dogmatico, l’allontanamento da una concezione amartiocentrica della croce, il tentativo di annullare la metafisica e l’ontologia, non possono comunque far venir meno l’essenza del messaggio di Cristo se la testimonianza dei fedeli cristiani si conserverà sempre autentica senza annacquamenti: “la via per conoscere Cristo è un percorso di vita. Detto con la Bibbia: per conoscere Cristo è necessaria la sequela. Solo così sappiamo dove abita. Alla domanda ‘dove abiti?’ (Tu chi sei?), la risposta è sempre di nuovo: ‘venite e vedrete’ (Gv 1,38). Alla domanda su Gesù, i discepoli potevano dare una risposta diversa dalla gente perché erano in comunione di vita con lui.” Per Benedetto XVI, soltanto così, -per dirla alla Platone- veniamo “tratti fuori dalla ‘caverna’ che ritenevamo fosse il mondo, mentre, in realtà ne rappresenta solo una misera parte”.
Marco Mancini