Sono solo trascorse poche settimane dalla polemica sui miracoli e sulla punizione divina innescata dall’evento dei terremoti nell’Italia centrale. Perché Dio non è intervenuto con un miracolo per fermare il catastrofico terremoto? Perché ci ha mandato questa punizione divina? La riflessione di Jacques Neirynck aiuta a fare chiarezza passando da una concezione animista ad una scientifica che non nega la visione di fede, ma la purifica. Ce lo insegna la formulazione esemplare della preghiera di intercessione enunciata da Teresa di Lisieux: “Pregare sempre come se l’azione fosse inutile e agire come se la preghiera fosse insufficiente”. Non si tratta quindi di bandire la preghiera di intercessione, ma di formularla in una giusta prospettiva, quella del lavoro del credente su se stesso e sulla realtà e non della manipolazione magica di fenomeni esteriori.
 
Il miracolo: un concetto divenuto incerto
di Jacques Neirynck*
Può un cristiano continuare a credere ai miracoli e la Chiesa può continuare a proclamarli?
Questo interrogativo ne solleva un altro preliminare: qual è la definizione di miracolo, quali criteri permettono di discernerlo?
È significativo che non si trovino risposte formali nel Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel 1992. L’indice tematico indica sei casi in cui il termine è usato, sempre legati ai miracoli di Cristo, ma senza alcuna definizione. Derivato dal latino miraculum “prodigio, meraviglia, cosa straordinaria”, il suo significato nella lingua ecclesiastica corrente sembra essere un fatto che non si spiega con cause naturali e che si attribuisce ad un intervento divino. Ora, ogni fenomeno debitamente attestato alla nostra epoca è un fatto naturale, suscettibile di essere incorporato nella scienza, anche se è raro, aleatorio, non riproducibile.
Nel primo secolo, nella redazione dei Vangeli, il miracolo non aveva alcuno statuto in rapporto alla scienza, poiché quest’ultima non era neppure concepibile. Venti secoli dopo, la parola miracolo deve avere un significato diverso. I nostri contemporanei sono talmente poco sensibili al soprannaturale che la sua presunta manifestazione non costituisce una attestazione della fede, ma una complicazione. Affrontiamo la questione dall’altro capo, quello della ricerca scientifica. La scienza può accettare il concetto di miracolo?
I redattori dei vangeli abitavano in un mondo animista. In questa rappresentazione, tutti i fenomeni, positivi o negativi, che toccano il nostro benessere, la nostra sopravvivenza, derivano da una intenzione soprannaturale. Il mondo possiede un senso perpetuo, continuo, decifrabile di azione divina, politeista o monoteista.
Dato che ogni evento derivava da un impulso divino ordinario, questo impulso diveniva eccezionalmente visibile nel miracolo, poiché quest’ultimo era spettacolare. Gesù svelava la sua natura divina con fatti sorprendenti: cambiare l’acqua in vino, camminare sul lago, moltiplicare i pani… Il criterio del miracolo era il carattere spettacolare, non la relazione con la scienza, inesistente all’epoca.
Nei secoli XII e XIII, i teologi Abelardo e Bacone ebbero l’intuizione delle leggi naturali. Galileo e Newton nel XVII secolo enunciarono le prime “leggi”. Che cosa resta allora del miracolo? Prima, si trattava di un fenomeno spettacolare, che risultava tuttavia da un’origine banale, cioè animista. Oggi, anche con l’intercessione dei santi, nulla di così sorprendente avviene: i “miracoli” invocati in processi di canonizzazione sono delle guarigioni spettacolari, che possono entrare nella categoria normale delle remissioni spontanee.
La conversione al cristianesimo nei primi secoli veniva da un’evoluzione: il monoteismo emerse e continua ad emergere dall’animismo, dal politeismo e dalla monolatria. La credenza al miracolo si prolungò così nel cristianesimo. Questa tendenza è proseguita molto al di là del Medio Evo. Durante il Secolo dei Lumi, Benjamin Franklin inventò nel 1752 il parafulmine. Ci furono delle brave persone che se ne sentirono offese. Il fulmine non era forse un’espressione della volontà divina per punire i miscredenti? Franklin fu obbligato a scusarsi per la sua invenzione: “Se, per i nostri peccati, piacesse a Dio di far piovere fuoco su di noi, non bisogna contare sul fatto che i nostri conduttori possano mettere in sicurezza le nostre case contro un tale miracolo”. In questa concezione, il Dio dei cristiani perpetuava l’opera punitiva di Giove, per il quale il fulmine era l’arma specifica. L’azione del parafulmine in tal caso, sarebbe stata sospesa!
Ma questa interpretazione animista dei fenomeni eccezionali era stata tuttavia smentita fin dal primo secolo. All’epoca della predicazione di Gesù di Nazareth, una torre era crollata a Siloe, schiacciando vittime, cosa che fu interpretata come una punizione. Nel Vangelo di Luca, Gesù rassicura i suoi discepoli: “Quelle diciotto persone su cui è caduta la torre di Siloe, e che sono state uccise, pensava che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme?”. Un edificio crolla perché le regole della stabilità delle costruzioni non sono state rispettate. Ogni altra interpretazione rientra in una credenza animistica, non cristiana.
Oggi, una credenza rudimentale al miracolo persiste in certe Chiese cristiane. Risponderebbe alla preghiera di intercessione. I protestanti e gli anglicani rifiutano l’intercessione dei santi, che considerano come una sopravvivenza del politeismo. Invece, un processo di canonizzazione nella Chiesa cattolica deve ancor oggi essere supportato da due miracoli, che sarebbero stati ottenuti per intercessione del candidato. In questa concezione, la Natura non è più manipolata continuamente da spiriti, ma lo è eccezionalmente da santi. È un animismo a eclissi.
In opposizione a questa concezione arcaica, una formulazione esemplare della preghiera di intercessione fu enunciata da Teresa di Lisieux: “Pregare sempre come se l’azione fosse inutile e agire come se la preghiera fosse insufficiente”. Non si tratta quindi di bandire la preghiera di intercessione, ma di formularla in una giusta prospettiva, quella del lavoro del credente su se stesso e non della manipolazione magica di fenomeni esteriori.
Il miracolo deve assumere un nuovo significato, meno evidente ma più significativo. Le nostre conoscenze attuali suscitano un riflesso di ammirazione davanti alla meraviglia della Natura stessa, nel suo funzionamento ordinario. Così, il miracolo non diventa più l’eccezione, ma la regola. Il miracolo permanente è la Creazione in sé. Infatti se solo l’eccezione è da ammirare, questo significherebbe che la regola non ne sarebbe degna.
La credenza ingenua al miracolo puntuale deve essere abbandonata o superata, come lo furono le credenze del paganesimo nel primo secolo della nostra era. Il Dio onnipotente, ereditato dall’Antico Testamento, dalle mitologie pagane, dall’astrazione filosofica, scompare con questo passaggio. Questo fenomeno non significa la fine della convinzione, ma quella della sua espressione anteriore attraverso delle credenze. È passare dal “credere che” al “credere i”. Il cristianesimo entra così in una notte spirituale, che non misura l’abbandono della fede, ma la sua purificazione dai residui del paganesimo, dalla sopravvivenza dell’animismo nel concetto superato del miracolo puntuale.
L’opera della creazione non si situa in un unico istante del passato lontano. Essa si svolge sotto i nostri occhi. La Natura è il solo miracolo. Se tutto è miracolo autentico, niente è miracolo eccezionale. Albert Einstein ha definito questo nuovo atteggiamento. “Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno facendo come se nulla fosse un miracolo, l’altro facendo come se tutto fosse un miracolo”.
*Jacques Neirynck è professore onorario alla École Polytechnique fédérale di Losanna.
in “www.baptises.fr” del 24 gennaio 2017, traduzione: www.finesettimana.org