Alcuni spunti di riflessione dal pensiero di Illich, De Certeau e Platone
 
Testa e mouse. Da un sano connubio tra questi due termini potrebbe nascere la scuola del futuro.
La tensione polare tra l’apprendimento di informazioni e lo sviluppo delle competenze, rappresenterebbe il giusto antidoto alle derive educative del nozionismo o del tecnicismo. Se da una parte l’orientamento didattico di tipo trasmissivo sembra ormai archiviato, dall’altra, appare ormai chiaro che si sia ben consolidato un nuovo tipo di modello che potremmo definire ipercognitivista.
 
Modello Ipercognitivista neoliberale
Il fine di questo  modello consiste nel conseguire una concezione meramente scientista e utilitaristica del sapere. Da ciò deriva una didattica di tipo efficientista fondata soprattutto su una quasi ossessiva acquisizione delle competenze. Questo modello di scuola avrebbe sostituito l’antico modello di tipo tradizionale “predefinito e istituzionalizzato, così potente da confondersi e identificarsi con un apparato istituzionale di tipo disciplinare”.
Quella di oggi, dunque, potrebbe essere definita, secondo il pensiero  di Massimo Recalcati,  una scuola di tipo neoliberale che tende ad “esaltare l’acquisizione delle competenze e il primato del fare, e sopprime, o relega in un angolo stretto, ogni forma di sapere non legato con evidenza al dominio pragmatico di una produttività concepita in termini solo economicistici”.
E’ la cosiddetta scuola delle “tre i” (impresa, informatica, inglese) che “in nome di una pedagogia neoliberale riduce la Scuola a un’azienda che mira a produrre competenze efficienti adeguate al proprio sistema”. Questo tipo di sistema educativo se da una parte spingerà gli alunni a trovare il modo per risolvere problemi nei vari campi, dall’altra li limiterà nel saperseli porre.
Lo spirito critico sembra ormai vaporizzato e sostituito da un sistema di omologazione in cui quello che conta è il raggiungimento della prestazione che “rende l’apprendimento una gara, una ‘corsa a ostacoli’ che non può dedicare tempo sufficiente alla riflessione critica, alla necessità d’imparare la possibilità stessa d’imparare”. L’utilizzo eccessivo della tecnologia diventerebbe allora il principale imputato nel processo che alcuni pedagogisti vorrebbero intentare contro l’attuale modello educativo.
Integrare per sanare
Senza farne una battaglia di tipo ideologico, evitando di entrare nella schiera di chi lo condivide e di chi invece ne prende le distanze, bisognerebbe analizzare i pro e i contro di questo modello per integrarlo con degli accorgimenti rivolti a sanarlo in quei contesti in cui tende a degenerare. L’ideale sarebbe attuare una sorta di riforma e non una rivoluzione volta ad eliminarlo del tutto, rischiando perfino di spingersi oltre e sfociare cosi nel mero transumanesimo. Sarebbe più giusto partire proprio da tutto ciò che, invece, di buono tale modello ha fino ad ora fornito alla scuola.
Il Covid-19 e la didattica a distanza
La situazione che si è venuta a creare con il Covid 19 ne è stata proprio la manifestazione più lampante. L’uso delle tecnologie, infatti, ha permesso agli studenti di poter continuare la didattica, garantendogli di mantenere quella relazione con la scuola anche se con modalità differenti. Si pensi ai vantaggi che la didattica a distanza ha comportato in ambito scolastico, risultando a detta di moltissimi studenti estremamente utile soprattutto per coloro che presentano disturbi specifici dell’apprendimento e per coloro che a causa di timidezza o caratteri introversi, sono riusciti a manifestare più sicurezza in se stessi e interagire senza remore con i compagni di classe e i docenti. Il supporto tecnologico, dunque, si è dimostrato utile ancora una volta per stimolare l’apprendimento e assumere competenze attraverso più canali, dando così agli studenti la possibilità di pervenire ad un apprendimento immediato.
I rischi da evitare
Passiamo ora ai rischi che, invece, questo tipo di orientamento potrebbe comportare: un apprendimento immediato raggiunto tramite più fonti potrebbe portare anche i ragazzi ad un sapere liquido, in cui l’apertura a più possibilità di conoscenza rischierebbe di indurli a conseguire un obiettivo senza però riuscire a dare un senso a quanto appreso. L’immediatezza delle conoscenze darebbe agli studenti l’illusione di un sapere illimitato e disponibile senza fatica. Un eccessivo utilizzo della tecnologia finirebbe per alterare i rapporti e le relazioni, deviando i giovani dal vero senso delle cose. Il sapere diventerebbe “vaporoso”, artefatto e “destinato a rimanere nella memoria solo per il tempo necessario utile all’uso”. L’utilizzo della memoria invece è fondamentale al fine di mantenere  l’equilibrio tra parola e vita: se infatti tutto è immediato e a portata di mano verrebbe anche meno quel desiderio e quello stimolo propri dello studente nella ricerca del sapere.
 
Il modello allucinatorio e sublimatorio
Sempre secondo Recalcati “il modello allucinatorio della ‘via breve’ esclude il passaggio attraverso l’altro, mentre il modello sublimatorio della ‘via lunga’impone che la pulsione rinunci al soddisfacimento immediato, al culto della presenza, per raggiungere un soddisfacimento che non dissipa la vita ma la potenzia rendendola generativa”.
Nella società consumistica e ipertecnologica manca proprio questo senso di sublimazione, c’è una sorta di svuotamento del desiderio perché tutto sembra raggiungibile. E’ la società liquida prospettata da Zygmunt Bauman, dove tutto è fluido, relativo, destinato a passare in breve tempo, perché nel futuro immediato si avrà la possibilità di avere qualcosa di più nuovo, di migliore.
In questo senso i giovani non avranno uno sviluppo formativo ben bilanciato perché tenderanno ad acquisire una cosa solo per goderne, senza chiedersi il motivo per cui quella cosa è stata ottenuta. La verità su ciò che crederanno di conoscere però non è contemplata solo nella possibilità di poterne disporre, ma nel contenuto e nell’essenza di ciò che hanno conosciuto. In questo modo l’insegnante finirebbe per diventare solo un controllore di quanto appreso dall’alunno in materia di  competenze e non più colui che dovrebbe far crescere nei discenti il desiderio e la passione per il sapere.
L’insegnamento del mito della caverna
Per risolvere tale mancanza bisognerebbe fare un passo indietro di parecchi secoli: già Platone infatti nel Mito della Caverna aveva trovato delle soluzioni che potremmo prendere come esempio anche oggi. Gli insegnanti e, quindi, la scuola dovrebbero rappresentare quel sole la cui luce permetterebbe agli studenti di conoscere l’essenza delle cose e quindi la verità, abbandonando così  quelle “caverne” in cui è possibile conoscere la realtà  solo apparentemente e non per quello che è.
Il filosofo greco all’epoca si scagliò contro le degenerazioni della scrittura: “veleno per la memoria”. Non era una critica volta a favorire l’analfabetismo, anzi, tutt’altro, ma aveva capito che senza l’ascolto delle parole di un maestro, una guida che sapesse indirizzare i giovani sulla giusta strada, quest’ultimi avrebbero potuto acquisire un sapere da autodidatti con conseguenti rischi per la società, che avrebbe potuto degenerare nell’anarchismo più totale. Sarebbe folle pensare che ci si possa curare dalle malattie solo leggendo libri di medicina. Applicato al nostro tempo, pensiamo a tutti coloro che pretendono di conoscere la realtà delle cose leggendole solo su internet. “Questa è una storia di straordinaria attualità proprio in un momento in cui il nostro mondo è stato potentemente invaso da un nuovo tipo di scrittura e dalle registrazioni: diciamo quindi che abbiamo un Platone filosofo dell’Ipad, del computer, del telefono e di Internet”.
 
Il modello capitalista della scuola come esamificio
Altro punto su cui dibattere è caratterizzato dal fatto che il sistema scolastico attuale per molti equivale ad un “esamificio”. Anche qui Recalcati ha, in modo appropriato, fatto una considerazione: “il problema della scuola del nostro tempo è che del suo compito educativo resta solo una carcassa svuotata di ogni linfa vitale, poiché la fabbricazione della vita avviene nel regime più esteso di un totalitarismo che si esprime attraverso il potere ipnotico-seduttivo dell’oggetto di godimento offerto illimitatamente dal mercato, a portata immediata di corpo[…]. Si tratta semplicemente di caricare files possibili secondo il principio utilitaristico del massimo beneficio ottenuto con il minimo sforzo[…].
Il nostro tempo sembra esser passato dalle esigenze di trasformazione tipiche  del ’68 a una sorta di neo liberismo pedagogico, nel quale il leit motiv sembra essere “tutto è possibile”: ‘la scuola è legata al mito del consumo illimitato. Questo mito moderno si fonda sulla convinzione che il processo debba inevitabilmente produrre cose di valore e che questo valore possa essere misurato e documentato da voti e da diplomi”. E’ la scuola di tipo capitalista, nella quale l’individuo risulta formato solo in base alle competenze acquisite: “le nazioni vedono gli studenti come un fattore chiave del loro sviluppo: essi sono diventati merci”.
 
Descolarizzare la scocieta?:Il modello della scuola conviviale di Ivan Illic
Questo è anche il pensiero di Ivan Illich, che già quarant’anni fa aveva messo in guardia da questo tipo di deviazioni in ambito sociale nel suo testo Descolarizzare la società. Ora non tutto quello che il pedagogista e filosofo austriaco ha proposto in questo saggio deve essere condiviso, si pensi alle perplessità e ai dubbi davanti alla paventata ipotesi di abolire l’obbligo di frequenza a scuola e di creare un sistema di autoeducazione, in cui ciascuno decidesse autonomamente  quale modello educativo seguire. Ma gli va invece riconosciuto il fatto di essere stato tra i primi che hanno criticato la concezione secondo cui un individuo non deve essere valutato o giudicato sulla base del numero di corsi seguiti o di competenze acquisite.
In questo modo la scuola finisce per diventare uno strumento al servizio del mercato, che mira a formare individui idonei alla produzione industriale. La scuola a questo punto finirebbe per perdere la sua funzione educativa “producendo una serie di mali quali la competizione e l’indottrinamento”. L’uomo diventa schiavo della macchina e la società iper-industriale non rispetta più i limiti naturali: “la società, una volta raggiunto lo stadio avanzato della produzione di massa, produce la propria distruzione. La natura viene snaturata e l’uomo è sradicato, castrato nella sua creatività”.
Convivialità e produttività
Ciò che Illich propose è l’immagine di una società e di una scuola conviviale, dove per convivialità si intende “il contrario della produttività industriale e il passaggio dalla produttività alla convivialità è il passaggio dalla ripetizione alla libertà del dono”. In questo tipo di scuola tutti verrebbero ascoltati  senza che venga limitata la creatività di ognuno, dando così la possibilità a chiunque di modellare l’immagine del proprio avvenire.
Per Illich “gli uomini non hanno bisogno di una maggiore quantità di insegnamento. Hanno bisogno di imparare certe cose. Bisogna che imparino a rinunciare, che imparino a vivere entro certi limiti. La sopravvivenza umana dipende dalla capacità degli interessati di imparare, presto, da loro stessi, quello che non possono fare”. Il vero ruolo del maestro allora non è quello di indottrinare, riempiendo la testa degli alunni di informazioni secondo il proprio punto di vista, né di indirizzarli verso lo smodato raggiungimento di obiettivi misurabili e quantificabili, ma di fornire quegli strumenti con cui ciascuno potrà realizzare se stesso e esprimere la propria creatività.
“Un esempio di questo tipo di apprendimento è quello della lingua: il bambino impara a parlare attraverso l’interazione spontanea con gli adulti e poi lo usa per soddisfare i suoi bisogni espressivi”.
 
Il Modello del seminario di M.Certeau
Non troppo distanti dalle tesi di Illich appaiono le considerazioni che fece un altro importante studioso e insegnante: Michel de Certeau. Nel saggio Che cos’è un seminario?, Certeau, forte della sua conoscenza degli esercizi spirituali ignaziani e prendendo spunto dal transfert analitico, ha rilevato una serie di suggerimenti interessanti da cui si potrebbe anche oggi prendere spunto. Rispetto al significato classico di seminario, Certeau apporta una novità da tenere in grande considerazione.
Secondo il parere di Paola Di Cori, una delle maggiori studiose dell’intellettuale francese: “il seminario certiano non si colloca a un livello superiore ed esclusivo rispetto a quelli tradizionali esistenti nella maggioranza di scuole e università; viene al contrario concepito come uno spazio transitorio nella vita di ciascuno/a, si pone, cioè, come luogo non proprio. Questa ‘a-topicità’ è basata sulla convinzione che il seminario ha caratteristiche  affini a quelle della vita ordinaria, non è estranea né esterna a chi vi prende parte, e cerca di rendere visibile ‘ciò che accade realmente’ quando ci si riunisce in un gruppo di studio: ‘le procedure della ricerca, egli scrive, non sono fondamentalmente distinte dalle procedure o ‘dalle maniere di fare’ comuni”.
Ciò che colpisce, dunque, è che non si dibatte su argomenti o questioni imposte dall’esterno, cioè “dalla forza di un testo o dall’autorità di una voce; ma nemmeno attraverso “il puro scambio di sentimenti e convinzioni, e infine tramite la ricerca di una trasparenza di espressioni comuni”. Entrambi i metodi risulterebbero deleteri, perché sopprimerebbero il rispetto delle soggettività presente in ogni gruppo di lavoro: “il primo schiacciandole sotto la legge di un padre, il secondo cancellandole illusoriamente nel lirismo indefinito di una comunione quasi materna”.
Secondo Certeau, chi educa, dovrà essere un referente valido per coloro ai quali si rivolge, stabilendo con essi un nesso efficace tra il presente che vivono e il passato in cui radicano le proprie radici.
Un insegnante testimone che apre mondi
Prendendo dunque le distanze dai modelli di scuola che Recalcati ha definito come  Scuola-Edipo, “che si regge sull’ossequioso rispetto delle auctoritates e sulla loro contestazione critica” e quello della Scuola- Narciso, fondata “sullo  sfaldamento della marcatura simbolica della differenza generazionale e, di conseguenza, l’assenza di conflitto tra le generazioni e la prevalenza di un ideale di prestazione che le accomuna indifferentemente”, l’unica speranza è quella di riscoprire in chi educa colui che sappia stimolare e indirizzare gli alunni verso il desiderio di sapere e di conoscere. I discenti dovrebbero tornare a vedere nella figura dell’insegnante una guida che gli fornisce, attraverso un lavoro di sintesi, quegli strumenti necessari per la loro crescita formativa: “un insegnante testimone che sa aprire mondi attraverso la potenza erotica della parola e del sapere che essa sa vivificare”.
Marco Mancini