Quella forza creativa, una strada efficace per costruire la pace
di Stefania Falasca
«La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi ‘signori della guerra’?».
Alla fine di un anno lacerato e frantumato dalla violenza, il quarto messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace, mette al centro una questione cruciale che non ha alternative: la ‘nonviolenza’. E nel documento papale diviene per la prima volta parola unica, sintesi di una pratica «attiva e creativa», stile di vita e di un «programma politico» efficace per la pace. Nonviolenza quindi come urgenza e nuova mentalità riguardo l’uomo, i suoi doveri e i suoi destini. Nonviolenza praticata «come strategia di costruzione della pace», nella quale si giocano i rapporti interpersonali, sociali e internazionali. Impegno possibile e via praticabile che non è patrimonio esclusivo della Chiesa cattolica ma è proprio di molte tradizioni religiose. Quello che ha prodotto già risultati e avuto già i suoi esempi storici con i successi ottenuti dal Mahatma Gandhi nella liberazione dell’India, da Martin Luther King contro la discriminazione razziale fino a Madre Teresa di Calcutta, a Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che – come è ripreso nel messaggio – hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia. Una strategia pragmatica infine che certamente per i cristiani – ricorda papa Francesco – ha un modello evangelico esplicito, in Cristo stesso che «ci offre un ‘manuale’» di questa strategia della pace nelle Beatitudini e dal quale i cristiani non possono esimersi. E che costituisce il perno della tradizione diplomatica esercitata dalla Santa Sede. È questo in estrema sintesi il nocciolo del messaggio papale che, come ha rilevato il cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e Pace, parlando ai giornalisti: «Costituisce un passaggio necessario, atto a scuotere, anche perché il messaggio viene distribuito nelle cancellerie di tutto il mondo, e spesso funziona anche da linea guida per il primo discorso papale dell’anno, quello con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede».
Le ragioni razionali della nonviolenza del resto sono di per sé evidenti, non solo per il Papa: «In ogni caso, questa violenza che si esercita ‘a pezzi’, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli». Quindi – afferma papa Francesco nel messaggio – rispondere alla violenza con la violenza non è la cura. Perché «rispondere alla violenza con la violenza conduce nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti». La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva «è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali», ha rilevato il Papa invitando a «diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza». E ha assicurato «che la Chiesa cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace attraverso la nonviolenza ». Questo è il tracciato che affonda le radici nella Gaudium et spes, nel quale la pace è frutto insieme della giustizia e dell’amore e dunque «edificio da costruire continuamente ». Da qui l’insistenza sull’educazione alla pace inculcata dal Concilio come «dovere gravissimo», «come estrema, urgente necessità » e condotta da Paolo VI con costanza intrepida, il quale, cinquant’anni fa, proprio indicendo la giornata mondiale per la pace, era stato chiarissimo nel fugare facili e false retoriche ed elencava i motivi per cui egli era chiamato a ripetere esortazioni, che sono ancora oggi di pressante attualità. E con queste papa Francesco ha aperto il suo messaggio: «È finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». Montini metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Il cardinale Turkson ha fatto notare che all’incontro Nato di Varsavia dello scorso luglio il segretario della Nato aveva allora detto che il dialogo non è una strategia. «Per noi è l’esatto contrario – ha affermato – è la vera strategia ed è possibile». In questo senso anche per l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato di Giustizia e Pace, che ha collocato il messaggio del Papa nel contesto internazionale, si tratta piuttosto di creare uno scarto con la teoria della «’guerra giusta’. Oggi puntando sulla nonviolenza focalizziamo l’impegno internazionale nel prevenire possibili scoppi di violenza, provvedendo a lavorare per una società più rispettosa dei diritti umani, aperta al dialogo e alle culture diverse».
in “Avvenire” del 13 dicembre 2016
 
 
La non violenza: stile di una politica per la pace
 Messaggio del Papa per la 50a Giornata mondiale della pace
1° gennaio 2017
All’inizio di questo nuovo anno porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile. Auguro pace ad ogni uomo, donna, bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa «dignità più profonda » (Evangelii gaudium, 228) e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita.
Questo è il Messaggio per la 50a Giornata mondiale della pace. Nel primo, il beato papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «È finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citando la Pacem in terris del suo predecessore san Giovanni XXIII, esaltava «il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore». (Messaggio per la celebrazione della prima Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 1968). Colpisce l’attualità di queste parole, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cinquant’anni fa.
In questa occasione desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.
UN MONDO FRANTUMATO
Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa.
In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti.
LA BUONA NOTIZIA
Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» ( Mc 7,21). Ma il messaggio di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positiva: Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1- 11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione, secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori». («Leggenda dei tre compagni»: Fonti Francescane, n. 1469) Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI – «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio» ( Angelus, 18 febbraio 2007). Ed egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”» (Ibid.). Giustamente il Vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male (…) ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm12,17- 21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia ».( Ibid.)
PIÙ POTENTE DELLA VIOLENZA
La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così. Quando Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri (…) E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo» (Madre Teresa, Discorso per il Premio Nobel, 11 dicembre 1979). Perché la forza delle armi è ingannevole. «Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita»; per questi operatori di pace, Madre Teresa è «un simbolo, un’icona dei nostri tempi » (Meditazione “La strada della pace”, Cappella della Domus Sanctae Marthae, 19 novembre 2015). Nello scorso mese di settembre ho avuto la grande gioia di proclamarla Santa. Ho elogiato la sua disponibilità verso tutti attraverso «l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. (…) Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi» (Omelia per la canonizzazione della Beata Madre Teresa di Calcutta, 4 settembre 2016). In risposta, la sua missione – e in questo rappresenta migliaia, anzi milioni di persone – è andare incontro alle vittime con generosità e dedizione, toccando e fasciando ogni corpo ferito, guarendo ogni vita spezzata. La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia. Né possiamo dimenticare il decennio epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa. Le comunità cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di san Giovanni Paolo II. Riflettendo sugli avvenimenti del 1989 nell’Enciclica Centesimus annus (1991), il mio predecessore evidenziava che un cambiamento epocale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati si realizza «mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia » (n. 23). Questo percorso di transizione politica verso la pace è stato reso possibile in parte «dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità». E concludeva: «Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne ed alla guerra in quelle internazionali» ( Ibid.).
La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura. Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita» (Discorso nell’Udienza interreligiosa, 3 novembre 2016). Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista» (Discorso al 3° Incontro mondiale dei movimenti popolari, 5 novembre 2016). La violenza è una profanazione del nome di Dio (cfr Discorso nell’Incontro con lo sceicco dei musulmani del Caucaso e con rappresentanti delle altre comunità religiose, Baku, 2 ottobre 2016). Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!» (Discorso, Assisi, 20 settembre 2016).
LA RADICE DOMESTICA DI UNA POLITICA NONVIOLENTA
Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. È una componente di quella gioia dell’amore che ho presentato nello scorso marzo nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, a conclusione di due anni di riflessione da parte della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono (cfr Amoris laetitia, 90-130). Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società (cfr ibid., 133.194.234). D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero. In questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica (cfr Messaggio in occasione della Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, 7 dicembre 2014). Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.
Il Giubileo della Misericordia, conclusosi nel novembre scorso, è stato un invito a guardare nelle profondità del nostro cuore e a lasciarvi entrare la misericordia di Dio. L’anno giubilare ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di ingiustizia e subiscono violenza. Essi fanno parte della nostra “famiglia”, sono nostri fratelli e sorelle. Per questo le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana. «L’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo » ( Laudato si’, 230).
IL MIO INVITO
La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali e grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli. Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.
Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il con-flitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227). Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso (cfr Laudato si’, 16; 117; 138). Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (Evangelii gaudium, 228). Assicuro che la Chiesa cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura» (Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” con la quale si istituisce il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, 17 agosto 2016). Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace.
IN CONCLUSIONE
Come da tradizione, firmo questo Messaggio l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Maria è la Regina della Pace. Alla nascita di suo Figlio, gli angeli glorificavano Dio e auguravano pace in terra agli uomini e donne di buona volontà (cfr Lc 2,14). Chiediamo alla Vergine di farci da guida.
«Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla» (Regina Caeli, Betlemme, 25 maggio 2014). Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonvio-lente, che si prendono cura della casa comune. «Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace» (Appello, Assisi, 20 settembre 2016).
Francesco