Ti svegli, allunghi una mano, prendi il telefono. Pigramente, tra uno sbadiglio e l’altro e con gli occhi ancora cisposi controlli le notizie: Fico (chi sia l’hai scoperto la settimana scorsa) non ha trovato una soluzione da proporre a Mattarella, Renzi sembra aver fatto fallire le trattative di nuovo e di proposito, Draghi è stato convocato dal Presidente della Repubblica per cercare di formare un “governo di alto profilo” (cosa vorrà dire?), Salvini chiede di andare a elezioni, ma Mattarella dice che sarebbe una follia. Non lo dice, ma insomma ci va vicino. Ah, e poi c’è la pandemia. Le vaccinazioni a rilento, la paura per le nuove varianti. Quella inglese ha inglobato quella sudafricana, così hai letto da qualche parte. Non sai bene che cosa significhi, ma tanto nessuno lo sa e comunque sia spaventa.
In ogni caso non tocchi nessuno ormai da mesi, vivi, lavori (se sei fortunato), mangi, e svolgi ogni tua funzione in uno stesso spazio. Anche lo spazio ti sembra diverso. Si dilata e si restringe, il digitale si sovrappone al fisico. Ma quello fisico esiste ancora? Non sai, ma tanto sta tutto nella tua testa, cominci ad esserne sicuro.
Constanze Reucher, famosa corrispondente tedesca dall’Italia, ieri ha twittato: “mi sta passando la voglia di scrivere della politica italiana. Non è più politica”. Tralasciando l’arroganza di chi crede, così su due piedi, come per ispirazione divina, di poter distinguere nettamente cosa sia politica e cosa no, si fatica a darle torto. Anche se non per i motivi che crede lei. È certamente vero che i politici italiani nelle ultime settimane, negli ultimi mesi per la verità, sembrano essersi appassionati all’arte del caos, del contraddirsi, del fare e disfare, del confondere e del confondersi. È certamente vero che aprire una crisi di governo sembra contro ogni logica durante una pandemia. È altrettanto vero che pare di assistere a una scena di bambocci che si accapigliano davanti a un genitore sconsolato. (Ieri sera il babbo, incredulo lui stesso di doverlo fare, ha borbottato un “smettetela, una buona volta, ci penso io a farvi un governo, però votatelo”. Saranno capaci di fare almeno questo? Lo vedremo, ma c’è quantomeno da dubitarne.) Il punto però non è quello che accade sulla scena politica, ma quello che scorre al di sotto. Se, se, questa non è più politica, non è perché è caduto il governo, ma perché la popolazione non partecipa più attivamente alla vita pubblica, in nessun senso.
Il Democracy Index dell’Economist, pubblicato due giorni fa, riporta una situazione di crisi dei sistemi democratici a fine 2020 a livello globale. A causa dei lockdown imposti dai governi e dalle misure anti-covid, si legge, abbiamo rinunciato a una gran parte dei nostri diritti civili. “Messa a confronto con una nuova, mortale malattia contro cui l’uomo non ha una naturale immunità, la maggioranza delle persone ha concluso che prevenire una catastrofica perdita di vite, giustificasse la temporanea perdita di qualche libertà”. Forse però siamo andati troppo oltre. Non è sempre semplice identificare il confine tra il buonsenso nel rispetto delle norme di sicurezza e l’indolenza politica, ma è necessario porsi almeno la questione. Un coprifuoco della durata di mesi, impensabile fino a un anno fa, è stato assorbito come un dato di fatto senza possibili alternative, bollato ed etichettato come nuova normalità. Ci siamo abituati. Domande non se ne fa quasi più nessuno, rinunciare e adattarsi è tutto sommato più semplice. Automi, eseguiamo gli ordini, e se per caso avvertiamo il prurito, la pulce di qualcosa che non torna, la scacciamo in un riflesso e torniamo a occuparci del nostro nulla personale. Chi ha voluto, chi ha potuto, se n’è approfittato. E non c’è da stupirsene.  Se da un lato esiste indubbiamente una dimensione di necessità di protezione contro il virus, dall’altro è chiara anche una forma di sperimentazione: di cosa e fino a che punto possono i cittadini farsi persuadere? Quanto profondamente modificare le loro esistenze nella totale passività a fronte della crisi sanitaria?
Marcuse criticava tutti: il problema, secondo lui, era generalizzato. Dal sistema capitalista a quello socialista, il fatto, l’unico forse di cui valga la pena occuparsi, è che non pensiamo più. Il problema è l’uomo, a prescindere dal sistema in cui vive. Scriveva nel 1964 che la capacità critica stava scomparendo. Oggi, dopo più di cinquant’anni, possiamo dargli definitivamente ragione. Alcuni sostengono che la crisi di governo a cui stiamo assistendo sia parte della vita e del processo naturale di un sistema democratico. Se siamo d’accordo però che la democrazia non possa prescindere dal demos – attraverso cui vive e di cui si dovrebbe nutrire – come si può valutare il sistema democratico in un paese il cui popolo vive di sostanziale inerzia? A meno di non recuperare una dimensione di pensiero critico, c’è poco da discutere.
A proposito di mancanza di criticità, il 2020 è stato un anno da record per le incarcerazioni dei giornalisti. Si è molto parlato del potere dei social media nell’ambito della comunicazione. Sfugge generalmente un punto: che a mancare, in contesti come quello di Twitter e Facebook, sia proprio il ruolo mediatore dei media. Dal comfort del proprio divano, si ha la sensazione di poter raggiungere direttamente l’opinione di chiunque. Tra un gattino e una foto in costume, si leggono i commenti di Salvini, Trump, Soros e i vari politici di riferimento. Viene allora da pensare che sia questo un modo più semplice e senza filtri di informarsi. Accedere direttamente alla fonte. Quello che manca tuttavia è l’analisi critica nel veicolare l’informazione. Un’analisi che, anche se apparentemente fuori moda, è necessaria, essenziale nel dipingere un contesto, nel valutare criticamente i commenti e chi li fa. Nel fornire proprio i desueti strumenti critici. Si genere invece un senso di sfiducia nei media tradizionali, ma anche nella politica, come riportato dall’Edelman Trust Barometer 2021, secondo cui le uniche istituzioni ad aver guadagnato fiducia tra la popolazione sarebbero quelle private. Il quarto potere, il ruolo di watchdog del giornalismo, sono a rischio. Così come il sistema democratico che sostengono e dovrebbero puntare a difendere.
La politica è un castello di carte, se una sola scivola crolla tutto. Ci vuole delicatezza per fare un castello di carte, ma ci vogliono anche esperienza, attenzione e determinazione. Qualità, queste, che si sviluppano con fatica. Anche la voglia di fare fatica però, tristemente, sembra essere passata di moda. D’altra parte sembra ci sia una via facile, una via pigra e conveniente per fare qualsiasi cosa e per raggiungere qualsiasi obiettivo, al sicuro dietro schermi e tastiere, senza sporcarsi le mani e dar retta a nessuno. Ma per oggi hai pensato anche troppo. Blocchi il cellulare, rimandi la sveglia. Ti giri dall’altro lato e ti riassopisci. Forse, francamente, è la cosa migliore. Alla Marcuse, restare unidimensionale.
Matilde Moro, Il castello di carte e la fine della democrazia, Pangea, 4 febbraio 2021