Il Patriarca Atenagora è stato un uomo e un cristiano dai grandissimi meriti, innamorato dell’unità, al punto che giunse a chiedere a papa Paolo VI di concelebrare l’Eucaristia. In tal modo sarebbe stato riconosciuto il superamento della divisione fra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, già sancito in qualche misura con la cancellazione delle scomuniche reciproche dalla memoria delle chiese che era stata fatta con una dichiarazione solenne alla conclusione del concilio, il 7 dicembre 1965. Di fronte a questa richiesta, Roma tergiversò, rendendosi conto della complessità del problema e temendo nuove divisioni nell’Ortodossia, fino a che la morte del Patriarca Atenagora pose fine a questa opportunità.
Non è un problema di teologi
La visione entusiasta ma forse ingenua del patriarca Atenagora è ben sintetizzata dalla frase che gli viene spesso attribuita: “io prenderei tutti i teologi delle diverse chiese, li porterei in una delle nostre isole e li costringerei a stare lì fino a che non si saranno messi d’accordo e non avranno superato tutti i problemi che ancora ci tengono divisi”.
Il fatto è che non è un problema di teologi. Innumerevoli dialoghi ecumenici, a livello locale e a livello internazionale, frutto del lavoro di centinaia di commissioni di dialogo ufficialmente incaricate dalle chiese, hanno affrontato i problemi dottrinali che le dividono, e a parere di teologi fra i maggiori non ci sono più problemi dottrinali che obblighino le chiese a restare divise per ragioni di fede. Eppure le conclusioni di tutti questi documenti non hanno avuto quasi eco nelle nostre comunità e non hanno portato effetti sensibili a livello di responsabili di chiese (1).
Dall’ortodossia all’ortoprassia
La vita della chiesa infatti non si riduce alla dottrina, ma è una realtà infinitamente più complessa. Per questo non è sufficiente superare i motivi di divisione che sembravano giustificare la separazione sul piano dottrinale, è necessario avanzare verso l’unità su tutti i fronti contemporaneamente, come sembra volerci indicare papa Francesco. Sulla via dell’ecumenismo spirituale, imparando a pregare per l’unità, a pregare insieme, a domandarci e offrirci vicendevolmente perdono. Sulla via dell’ecumenismo secolare, rendendo insieme testimonianza all’evangelo, unendo le forze nel servizio ai fratelli e sorelle in difficoltà, collaborando per realizzare un mondo di pace, di giustizia, di maggiore attenzione alla salvaguardia del creato. Sulla via dell’ecumenismo pastorale, impegnandosi insieme per una vita di fede più fervente nelle nostre comunità, lavorando insieme per la diffusione e lo studio della Sacra Scrittura, promuovendo la fede e l’incontro spirituale all’interno delle coppie e delle famiglie interconfessionali che nella loro chiesa domestica anticipano già una chiesa riconciliata. Impegnandosi infine e seriamente nella riforma e nel rinnovamento delle nostre chiese, a partire da un serio rinnovamento all’interno della comunità cattolica e proprio a partire dal suo cuore, la chiesa di Roma e la Santa Sede, ma anche provvedendo ai problemi più urgenti per la vita della comunità, quale quello dell’apertura all’ordinazione di uomini sposati e al più presto, in futuro, anche delle donne. In una parola, non è sufficiente assicurare l’ortodossia nella fede, attraverso i dialoghi dottrinali e i documenti di consenso fra le chiese. Occorre essere attenti all’ortoprassi, a un impegno concreto e corretto per un cammino di riavvicinamento fra le chiese cristiane condotto a tutti i livelli e in ogni settore.
La crescita nella comunione ecclesiale
La convergenza delle grandi famiglie ecclesiali nel concepire la Chiesa di Cristo come una comunione di chiese ha costituito un passo fondamentale in questo cammino di riavvicinamento. Analizzando i diversi aspetti della comunione ecclesiale, essa viene descritta innanzitutto come una comunione nella fede. Questa comunione è già in larga misura realizzata, tanto nella fides qua creditur, quanto nella fides quae creditur. Quest’ultima è contenuta nel messaggio delle Scritture, che oggi leggiamo e interpretiamo insieme. Essa è espressa nei simboli della chiesa antica, e innanzitutto nel simbolo niceno-costantinopolitano e nel simbolo apostolico, che costituiscono punti di riferimento per la fede in tutte le nostre chiese storiche.
Lo stesso problema del Filioque, che tanto a lungo è stato considerato motivo di divisione fra la chiesa d’Oriente e la chiesa d’Occidente, oggi può essere considerato superato, dopo che la chiesa cattolica nella Dominus Jesus ha ricordato che la sua fede è espressa nel Credo approvato a Efeso senza il Filioque, il quale resta nell’uso liturgico senza che ciò debba essere considerato come divisivo. La comunione nella fede non esclude espressioni diverse della stessa fede, a causa delle diverse culture in cui il vangelo si è incarnato, nell’ambito di una visione dell’unità nel rispetto di ogni legittima diversità.
Vita sacramentale e ministero
In secondo luogo, la comunione ecclesiale è comunione nella vita, e innanzitutto nella vita sacramentale. In essa siamo già uniti per l’unico battesimo, conferito in tutte le chiese storiche che praticano il battesimo dei bambini ai figli di coloro che partecipano alla vita e alla fede della chiesa. Difficoltà comunque non sostanziali ci sono con le chiese che non riconoscono il battesimo dei bambini e che quindi ribattezzano gli adulti che frequentano le loro comunità, una scelta che sembra dare troppa importanza all’opera dell’uomo e non riconoscere l’agire gratuito di Dio. La comunione nella vita si manifesta poi nell’Eucaristia: oggi la presenza di Cristo nel mistero eucaristico è riconosciuta praticamente in tutte le chiese, e i problemi che restano riguardano soprattutto il sapere chi è qualificato per presiedere l’eucaristia.
Infatti il terzo elemento della comunione nella comunità ecclesiale è la comunione nel ministero. Le chiese di tipo cattolico chiedono che l’ordinazione al ministero avvenga nella successione apostolica. Le chiese evangeliche ritengono che la successione apostolica si realizzi soprattutto nella fedeltà all’insegnamento degli apostoli. Ma questa comunione nel ministero si può riconoscere guardando a come le comunità riconoscono i loro ministri. Infatti ci si potrebbe chiedere se il principio applicato nella chiesa cattolica, per cui qualora ci si trovi di fronte a un ministro non validamente ordinato a norma dei canoni, ma considerato vero ministro dalla comunità, supplet Spiritus Sanctus in Ecclesia per cui gli atti che egli compie sono ugualmente apportatori di grazia, non si dovrebbe applicare anche nei confronti dei ministri delle altre chiese, per rispetto verso questi ministri e le loro comunità.
La comunione infine si realizza nella testimonianza comune all’evangelo così come nella vita quotidiana della chiesa impregnata da un atteggiamento di amore e di servizio agli altri.
Il principio della gerarchia delle verità
Papa Francesco nella Evangelii Gaudium ha fatto più volte riferimento proprio in tema di ecumenismo al principio della gerarchia delle verità. Nelle cose essenziali siamo uniti, nelle cose non necessarie o libere vi possono essere espressioni diverse, in ogni caso bisogna praticare la carità. Questo principio che sarebbe molto importante per consentire alle chiese di manifestare la loro unità già esistente grazie alla condivisione dei misteri principali della fede, si rivela tuttavia difficile da applicare. Per esempio per quanto riguarda i dogmi dell’Immacolata e dell’Assunta il ricorso ad esso è stato negato nell’enciclica Mortalium Animos del 1928, è stato riconosciuto utile in un documento del Segretariato per l’Unione dei cristiani del 1970, è stato rimesso in discussione nell’enciclica Ut Unum Sint. Per i dogmi mariani e per quelli del 1870 che ne fondano l’autorità è meglio seguire l’indicazione data già da Paolo VI, per la quale il concilio Vaticano I, celebrato in stato di separazione, può essere considerato un concilio generale dell’Occidente e non un concilio ecumenico. Ma questo principio della gerarchia delle verità dovrebbe poter essere utilizzato almeno a proposito dell’ordinazione della donna al ministero, che è veramente un aspetto secondario di un elemento che non appartiene al cuore delle verità della fede, come il ministero. Le chiese che ordinano le donne e quelle che non le ordinano possono vivere in comunione le une con le altre, nella prospettiva di un futuro cammino comune, come già affermava il documento anglicano – cattolico di Versailles del 1976.
Coinvolgere tutti i cristiani
In conclusione, se la grande stagione dei dialoghi è finita, perché i problemi dottrinali che dividevano le chiese appaiono risolti (se si esclude forse il tema dei ministeri), oggi è la vita del popolo cristiano che a partire dalla base deve riconoscere che “il re è nudo”, che le divisioni fra le chiese vivono più nella mentalità dei fedeli che nella realtà del mistero della chiesa, e che quindi dobbiamo imparare a ‘camminare insieme’ nella vita di ogni giorno, sentendoci ogni giorno di più fratelli e sorelle con i cristiani di tutte le chiese, come vuole mostrarci quotidianamente papa Francesco. L’impegno per perseguire l’unità dei cristiani non può più essere un fatto di élite, ma deve coinvolgere tutti i cristiani (cf. UR 5), fino a generare un movimento che, nel rispetto delle legittime diversità, travolga tutte le separazioni che si sono incrostate nella storia per farci prendere coscienza della comune appartenenza di tutti i battezzati all’unica chiesa di Cristo e all’unico Popolo di Dio.
Giovanni Cereti
Presbitero genovese, dottore in Giurisprudenza e in Teologia, ha tenuto corsi di Teologia ecumenica e di dialogo interreligioso in diverse Facoltà ecclesiastiche. E’ consulente del Segretariato per le attività ecumeniche (SAE). Membro della Fraternità degli Anawim, aderente alla Rete dei Viandanti
 
NOTE

  1.  Le edizioni dehoniane di Bologna, che con la collaborazione del Centro Pro Unione di Roma hanno pubblicato l’Enchiridion Oecumenicum, che costituisce la raccolta più completa di documenti del dialogo ecumenico fra tutte le collezioni analoghe esistenti oggi nelle diverse lingue, hanno dovuto sospendere o rinviare la pubblicazione dei volumi che propongono i documenti più recenti, perché sembra quasi che queste raccolte restino invendute perché interessano sempre meno il popolo cristiano, il quale ritiene che non sono motivi di fede quelli che continuano a dividere le chiese e che la riconciliazione vada perseguita per altre vie.

 
Ecumenismo dai dialoghi dei teologi al popolo di Dio, di Giovanni Cereti, in “www.viandanti.org” del 5 giugno 2016