Baci (& abbracci): Il gesto più comune è accertato, ora, dall’impossibile. Il bacio torna a essere oscuro, come la sua origine etimologica: il latino basium è tratto dal greco ‘mormorare’, pare; alcuni dicono di un verbo sanscrito che vale ‘masticare’. Tra il mormorio e il morso, il bacio. Senza baciare, piuttosto, non si conosce. Il bacio inizia dove le parole muoiono – la parola definitiva posso dirla soltanto baciando. Senza il bacio – le labbra sono il terzo occhio, sono la terza mano, assumono in sé tutti i sensi – non posso sapere nulla. Baciare se stessi, d’altronde, ci fa fare la fine di Narciso: precipizio nel lago/specchio del proprio io. Senza baciare gli altri, il corpo si atrofizza in un pensiero, nell’ectoplasma di un’immagine: si vagheggia più che assaporare la carne (che ci porta negli altri mondi dell’esperire), si delira senza destino.
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Il testo più inafferrabile della Bibbia – anzi, “il più santo dei santi”, tanto che “tutto il mondo non vale quanto il giorno nel quale fu dato a Israele”, come diceva rabbi Aqiba –, il Cantico dei Cantici, ha il suo Nord nel bacio. “Mi abbeveri di baci la tua bocca/ Perché il tuo amore inebria più del vino”: così Guido Ceronetti traduce i primi versi del Cantico, “nudità innominata, rasoio silenzioso della carne… orrore supremo, punto estremo della sacralità, il niente”. Secondo Ceronetti, il Cantico è il bacio che annienta di Dio, il preludio alla sua bocca, all’oscurità della gola, specie di Sheol sgrammaticata. Secondo Andrea Temporelli – che così traduce: “Baci me coi baci della sua bocca!/… La tua fragranza inebria,/ persino il nome tuo esala profumo” – “c’è un movimento erotico nel disegno della salvezza e la traduzione, questo lasciarsi sedurre da un incanto che perennemente ci sfugge e che a tratti ci lascia costernati di fronte all’imperscrutabile, è un innamoramento, una vertigine sensuale che infrange qualche tabù”.
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Il bacio è un attraversamento, il punto che disfa l’alfabeto, sigillo, lettera di fuoco, segno che li riassume tutti. La conoscenza desunta dal bacio è sinistra: l’affinità di Giuda comporta tortura e Croce (“Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?”, Lc 22, 48). Eppure quel bacio, che per il traditore si tramuta in cappio e pare preludio d’abbandono, è speculare al sepolcro/bocca vuoto, al mormorio del Risorto, alla pietra sbrindellata, alla zanna della vittoria. Nel vangelo gnostico di Filippo, Gesù consegna la conoscenza a Maria Maddalena tramite i baci: “Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca”. Il segreto indicibile – perciò ‘versato’ tramite i baci – che Gesù condivide con Maria è l’orrido che il sapiente esprime così: “Questo mondo è un divoratore di cadaveri, tutto ciò che vi si mangia muore di nuovo. La verità è una divoratrice di vita: quanti si nutrono di essa non moriranno”.
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Senza il bacio siamo incerti della nostra identità. Il bacio comporta uno stile, tra gratitudine e bramosia. Di un uomo conosci il carattere attraverso il bacio: la parola, al contrario, è sempre un groviglio di frantumi e di fraintendimenti.
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Sweet Helen, make me immortal with a kiss, gorgheggia Faust – nella versione di Christopher Marlowe – ammirando lo spettro di Elena. “Mi succhia l’anima quel bacio…”. “Quando io, la bocca sulla bocca, divoravo Agatone con i baci, avevo l’anima sulle labbra”, scrive Platone nel Simposio. Un bacio sottrae l’anima, un bacio dona l’immortalità. Un bacio, nella fiaba dei Grimm, risveglia Rosaspina dal sonno infinito, succhiati tutti i sogni, una immortalità che perde.
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Il nodo di braccia è avvio all’unione, il corpo come tavola degli elementi per far tabula rasa del sé. “Quando gli uomini fanno domande/ su tutti i modi di abbracciare,/…vogliono fare l’amore”, è scritto nel Kamasutra. Alla norma dell’abbraccio, quel testo che tiene sacro il piacere, abbecedario di delizie, fa seguire il capitolo sulla “varietà dei baci”. I baci possono essere “frementi”, “carezzevoli”, “casuali”; pari al morso o al tinnio di un fiore. L’etica di Vatsyayana, il sapiente del kama, è semplice e fatale: “L’uomo che coltiva il potere, il piacere/ e la religione in questo modo/ ottiene felicità senza fine e senza spine/ in questo mondo e nell’aldilà”. Il bacio è l’incipit alla conquista di questo e di altri regni. Il bacio più bello, però, è quello inatteso, senza riposta, tortuoso alle ombre. Il bacio della “donna che fissa la bocca dell’amante addormentato, e lo bacia spinta dal desiderio”; il bacio dato al “riflesso o l’ombra della donna desiderata in uno specchio, su un muro o nell’acqua, per confermare i propri sentimenti”.
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Il bacio&abbraccio più bello l’ho letto in Cortázar, comunque. Il gioco del mondo, capitolo 7. “Tocco la tua bocca, con un dito tocco l’orlo della tua bocca, la sto disegnando come se uscisse dalle mie mani… Mi guardi, mi guardi da vicino, ogni volta più vicino e allora giochiamo al ciclope… gli occhi ingrandiscono, si avvicinano fra loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano tepidamente, mordendosi con le labbra, appoggiando appena la lingua sui denti… e c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua”. Impedendoci il bacio, siamo come ciclopi, privi del terzo occhio. Impediti al bacio siamo dei nessuno: qual è il verso del ritorno? Il bacio più bello è quello dato allo sconosciuto: lo baci e credi che si tramuti in colui che attendi da sempre. (d.b.)
 
Pandea, 29 marzo 2020