«Il nuovo povero sta sulle scale di casa quando esci, lo trovi con il bicchiere di carta in mano fuori dal ristorante […] o sta gettato sul marciapiede […] lungo la strada che percorri per raggiungere il teatro». Gli Stati Uniti attuano quotidianamente politiche di criminalizzazione della povertà, al fine di cancellare dalla vista delle persone perbene queste immagini. Il delirante sistema americano, coadiuvato dalla globalizzazione e da una società basata sui consumi, rende i ricchi sempre più ricchi sulle spalle dei poveri. Nel momento in cui la povertà diventa estrema, lo stesso sistema rende l’homeless, «il più povero fra i poveri», un nemico pubblico passibile d’arresto, riducendo per legge i suoi tentativi di sopravvivere in altrettanti «reati contro la qualità della vita».
Sinossi
Chi sono i poveri? Come sono diventati tali? Nella prima parte il saggio mette in luce come la povertà, oggi, sia il «frutto delle scelte politiche e dell’intreccio fra mercato e diritto». L’autrice evidenzia il clamoroso fallimento della trickle down economy, in cui la ricchezza anziché allargarsi a tutti, sgocciolando dai più ricchi ai più poveri, crea ancora più divario di classe. Elisabetta Grande si scaglia contro un sistema di gestione della povertà che produce effetti devastanti al limite della disumanizzazione. Per capire come la situazione sia degenerata fino a questo punto, il saggio ripercorre la storia del sentire comune nei confronti dei senza casa. Secondo l’autrice, ad una prima fase di empatia e solidarietà ne seguì una di «stanchezza nel provare compassione», nel momento in cui fu evidente che non si trattava di una situazione temporanea. Al giorno d’oggi si ha invece un approccio disfruttamento del povero: «Trattato come la spazzatura il cui smaltimento è redditizio per chi lo realizza, chi non ha, diventa, ancora una volta, una risorsa per chi ha […] in modo che la sofferenza del più debole possa essere fonte di guadagno per il più forte».
L’autrice
Elisabetta Grande, insegna Sistemi giuridici comparati all’Università del Piemonte Orientale. Da oltre vent’anni studia il sistema giuridico nordamericano e la sua diffusione in Europa. Fra le sue pubblicazioni: Il terzo strike. La prigione in America (Sellerio, 2007); Imitazione e diritto. Ipotesi sulla circolazione dei modelli (Giappichelli, 2000, trad. portoghese 2009) e la curatela di Le forze vive del diritto: un’introduzione all’antropologia giuridica di L. Nader (Esi, 2003).
 
Descrizione
Titolo: Guai ai poveri. La faccia triste dell’America
Autore: Elisabetta Grande
Edizioni: Gruppo Abele
Pagine: 173
Costo: 14 euro
Anno: 2017
 
 
Usa, da 40 anni la povertà estrema continua a crescere
di Andrea Tornielli
La povertà estrema negli Stati Uniti cresce ininterrottamente da più di quarant’anni e secondo le prudenti stime dell’U.S. Census Bureau al dicembre 2014 comprendeva quasi 21 milioni di persone. Uomini e – soprattutto – donne definiti «poverissimi» perché hanno un reddito al di sotto della metà della soglia di povertà federale. Un saggio denso di cifre e di statistiche, scritto da una docente universitaria torinese, Elisabetta Grande, professore ordinario di Sistemi giuridici comparati all’Università degli studi del Piemonte Orientale, aiuta a comprendere le ragioni della vittoria di Donald Trump alle recenti elezioni presidenziali americane. Nel volume «Guai ai poveri. La faccia triste dell’America» (edizioni Gruppo Abele, pag. 173, 14 euro, in uscita in libreria il primo febbraio, i diritti d’autore devoluti al Gruppo Abele), Trump, la sfidante Hillary Clinton e le elezioni non vengono mai menzionate, ma il contesto offerto dai dati messi in pagina dalla docente sono significativi.
Vantaggi solo per i più ricchi
L’autrice sostiene che questo aumento della povertà, in ascesa nonostante l’economia statunitense sia in ripresa dopo la crisi, non abbia nulla, per così dire, di «naturale» e non sia nemmeno dovuto all’incapacità dei poveri a reagire e a costruirsi un futuro nella terra che non nega occasioni ad alcuno. Si tratta invece, secondo Elisabetta Grande, della conseguenza di scelte politiche e soprattutto di diritto. «Quanto più è aumentata la ricchezza del Paese – scrive l’autrice – tanto più è cresciuta la povertà, in particolare quella estrema, che dal 3,3 per cento della popolazione americana (corrispondente a 7.016.000 persone) nel 1976 è raddoppiata, passando al 6,6 per cento (per un totale di 20.803.000 anime). Della crescita del Pil si è avvantaggiata solo una parte della popolazione, quella più ricca, che si è arricchita a dismisura a spese di quella più povera». Insomma, l’esatto contrario di quanto sostenuto dalla teoria del trickle down, cioè dello «sgocciolamento della ricchezza» verso il basso nella fase inoltrata dello sviluppo.
Le politiche del diritto
La povertà negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi, sostiene la docente, è il prodotto di scelte di politica del diritto. «Si tratta di scelte che forniscono alla globalizzazione e alla liberalizzazione dei mercati gli strumenti giuridici e i fori di risoluzione delle dispute, consentendo che la corsa al ribasso nello sfruttamento della mano d’opera avvantaggi le grandi imprese e metta in concorrenza tutti i poveri del mondo, senza porre limiti etici». Tra queste le politiche fiscali che, a partire dai tempi di Ronald Reagan hanno eliminato qualsiasi progressività impositiva, «fino a rendere la tassazione quasi regressiva, generando una fiscalità che agisce come un Robin Hood all’inverso, tramite le deduzioni ai ricchi, la sostanziale assenza di un’imposta ereditaria o la pressione fiscale ridotta sui capital gain». Come pure di «politiche del diritto che non ridistribuiscono più la ricchezza e non offrono serie reti sociali ai soggetti più deboli, indeboliti, a monte, dal diritto stesso».
La perdita di potere contrattuale
Se i poverissimi negli Stati Uniti sono oltre venti milioni, i poveri nel 2014 erano circa 46 milioni e mezzo, corrispondenti al 14,8 per cento dell’intera popolazione, anche se «in molti ritengono – scrive la professoressa Grande – che un calcolo realistico della povertà debba attestarsi su un valore doppio rispetto alla soglia di povertà individuata dalla stima federale. Si assiste così al paradosso che nel Paese più ricco del mondo, in cui vive il 41 per cento di tutti i super milionari del pianeta e dove la ricchezza media per adulto corrisponde nel 2014 a 350.000 dollari (era 209.000 nel 2000), il numero dei poveri, ossia di coloro che fanno fatica a far fronte ai bisogni più elementari, raggiunge nello stesso anno le 105.303.000 anime. L’autrice spiega che «le nuove regole del mercato globalizzato hanno causato la progressiva perdita di potere contrattuale da parte dei consociati più deboli, una diminuzione dei loro salari, dei loro benefici e più in generale delle loro condizioni lavorative», senza che il diritto sia intervenuto «per riequilibrare».

Da Reagan a Clinton
Non c’è quindi da stupirsi se, a partire dagli anni Settanta, «il salario mediano (corrispondente a quello percepito da chi sta esattamente a metà della scala salariale) è stagnante, o se i più poveri fra i lavoratori (quelli del decimo percentile) hanno nel 2011 un compenso orario inferiore rispetto al 1979 di ben 4,3 punti percentuali. Secondo Oxfam America e l’Economic Policy Institute, nel 2015 «la metà di tutti lavoratori americani ha una paga oraria al limite della sopravvivenza». E le scelte politiche al riguardo sono state assolutamente bipartisan, perché si deve a Bill Clinton, nel 1996, la scelta di eliminare il sostegno economico alle mamme con bimbi poveri, garantito dal Governo americano fin dal 1935, sostituendolo con iniziative di natura diversa. I numeri, anche in questo caso, parlano chiaro: se nel 1994 quell’aiuto di Stato sollevava dalla povertà estrema 14.200.000 mamme e bambini, nel 2014 quel numero si è ridotto a 3.800.000. Il numero di famiglie con bambini che vive con soli 2dollari al giorno è raddoppiato: con questa somma sopravvivono oggi circa 3 milioni di bambini con le loro mamme, pari a circa 4 milioni e mezzo di persone.
Homeless, sempre più famiglie con bambini
In costante crescita il fenomeno degli homeless, esploso con la depressione dell’inizio degli anni Ottanta, ma poi non diminuito con la ripresa economica. Cambia rispetto al passato la composizione sociale dei senzatetto che negli ultimi trentacinque anni hanno stabilmente accompagnato lo sviluppo dell’economia americana. «A differenza del tipico clochard ubriacone, maschio, bianco e vecchio, che rispecchiava lo stereotipo non solo letterario dell’homeless – scrive la docente – la popolazione dei senzatetto è oggi formata in grande misura da famiglie e la categoria di homeless in maggior crescita è quella dei bambini». Secondo le stime del National Center of Family Homelessness, nel 2013 i minori senza fissa dimora raggiungono la cifra di 2 milioni e mezzo, corrispondente a uno ogni 30 bambini americani, segnando un aumento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente e un incremento del 64 per cento rispetto al 2007. «Le famiglie senzatetto, che nel 1981 erano praticamente inesistenti, nel 1989 erano già 20.000, e se già nel 2005 rappresentavano un terzo dei poveri senza fissa dimora, nel 2014 costituiscono più del 36 per cento della popolazione dei senzacasa». Inoltre dagli anni Novanta si registra un’inversione di tendenza rispetto alla tradizionale «compassione» per i senzatetto. Le politiche di lotta alla micro-criminalità hanno portato alla «tolleranza zero» che ha avuto tra i bersagli proprio gli homeless.
Un libro da meditare
E rappresenta una lettura utile anche al di qua dell’Atlantico, in Europa, dove ci sono Paesi che sembrano incamminarsi su strade simili.
in “La Stampa-Vatican Insider” del 30 gennaio 2017