Il fenomeno della «Globalizzazione» – parola entrata con forza nel vocabolario comune dagli anni ‘80 – ha nella nostra coscienza, forse in modo implicito ma determinato, la convinzione dell’impossibilità di intervenire sul concreto andamento delle cose. Le proporzioni e la complessità del processo del globalismo ci portano a riconoscere che la sua pressione dirompente annulla qualunque illusione di capacità di modificare facilmente il suo sviluppo.
Come in tutte le realtà umane la «globalizzazione» include sia fattori positivi che negativi. Sono chiaramente attive le reali minacce e pericoli contro la vita di interi popoli, con le forme di sfruttamento, di negazione delle identità culturali e di totale esclusione di processi di partecipazione. Ma non si possono negare le enormi possibilità di condivisione delle conoscenze, di tempestività per affrontare le emergenze e di apertura a spazi di democratizzazione.
L’esperienza travolgente della pandemia del Covid ha esasperato ancora questa dualità dei significati della globalizzazione. Abbiamo costatato che la pandemia ha avuto una gravità così pesante a causa anche dello stile di vita globalizzato di rapporti mondiali, ma sappiamo pure che la soluzione all’infezione potrà avere una maggiore e più veloce applicazione grazie alle vie di comunicazione globali, e saranno più esposti alla malattia le società che non arrivano oppure non frequentano o non sono raggiunte da tali vie.
Siamo di fronte ad un bivio, con poche certezze ma con la netta sensazione che l’umanità si sta giocando la sua esistenza. La necessità di coniugare bene la cura della salute e la tutela dei posti di lavoro, la presa di decisioni mondiali e il rispetto delle singole culture e comunità, le limitazioni alla mobilità e ai trasporti e la libertà delle persone per spostarsi per validi motivi. Forse allora ci troviamo in un momento perché l’ampio fenomeno della globalizzazione compia un salto di qualità, nella direzione della qualità umana.
Sarà dunque questo il momento per scongiurare l’insidia dei piani e delle prassi politiche, economiche, educative e religiose che vanno nella direzione del segregazionismo e dell’autonomismo ad oltranza?
Anche prima del Covid proliferavano discorsi che sostenevano con grande arroganza l’isolazionismo, e poi sono stati smentiti dai fatti, colpiti con durezza dal contagio del virus. L’esperienza attuale che mostra in modo così drammatico l’interconnessione dei popoli, richiede la crescita di una coscienza umana aperta alle relazioni e attenta agli effetti internazionali del proprio stile di vita. Non si possono più pensare i rapporti tra le nazioni in termini di concorrenza, perché il male di uno è un male per tutti, e il bene di uno, lo è anche per tutti.
La globalizzazione dovrà progredire nel senso del valore della complessità. Le semplificazioni, legate a particolarismi, frettolosità e pura e semplice ignoranza, devono scomparire. Una vera globalizzazione umanizzante nascerà dall’integrazione dei diversi punti di vista e non dall’imposizione di uno esclusivo modello sociale. Naturalmente un processo che assuma la fatica di confrontare e coniugare la pluralità di situazioni richiederà pazienza e intelligenza, forse qualche insuccesso, ma sulla distanza ha maggiori garanzie di validità e di continuità. Dalla pandemia del Covid dovremmo aver imparato la lezione della necessità di trattare le questioni in modo complesso, cioè con l’umiltà di aprirci a nuove competenze, e di offrire quelle proprie con il senso della limitatezza.
Alla globalizzazione si attribuisce il marchio della dinamicità e del cambiamento. Tuttavia nasconde sovente forme rigide e posizioni intransigenti, derivate da scopi che rimangono intoccabili. Così ad esempio le preoccupazioni per assicurarsi la presenza mediatica oppure per accrescere la quota di potere consumano tante energie. La ricerca spasmodica della foto diventerebbe spesso comica, se non fosse unita a vicende veramente tragiche. Una globalizzazione umanizzante si qualifica dai suoi obiettivi reali, dalla flessibilità dei processi e dal raggiungimento effettivo dei risultati.
Nel momento che viviamo, siamo nel tempo decisivo di passare da una globalizzazione umana ad una umanizzazione globale.
Antonio Escudero, 28 giugno 2020