Due modi di essere cattoliche e femministe
di Julien Auriach
“Sono gli uomini che detengono il potere nella Chiesa. Potere di celebrare, di governare…” Sulla base di questa constatazione, Christine Pedotti e Anne Soupa hanno creato nel 2008 il Comité de la jupe, che intende promuovere una presenza più attiva della donna nell’istituzione cattolica. Per Anne Soupa, le posizioni di Roma sulla maggior parte dei temi riguardanti le donne (aborto, contraccezione, uguaglianza con gli uomini…) sono battaglie di retroguardia”. E, pur accogliendo con favore la linea di papa Francesco a favore di un migliore riconoscimento delle donne, Christine Pedotti non è d’accordo con la “sua fraseologia che propende per la complementarietà”. Dato che donne e uomini sono uguali e non “complementari”, perché le donne non potrebbero accedere al presbiterato? La questione, dichiarata chiusa da Giovanni Paolo II, non ha alcuna chance di essere riaperta dal papa attuale e non provoca grande agitazione nella Chiesa…
Altre cattoliche non si oppongono al magistero. Al contrario, vi fanno riferimento, ma in nome dell’ecologia, per inserirsi meglio in una linea eco-femminista. “La maggior parte delle tecniche contraccettive sono nocive all’ambiente, costano care, negano la natura carnale della donna”, afferma Marianne Durano. Questa giovane insegnante di filosofia, che scrive sulla rivista Limite, denuncia la “vittoria del mercato sulla famiglia”. Un po’ provocatoriamente, esprime anche riserve in materia di gestione della fecondità e di controllo della natalità. I problemi sarebbero collegati, in quanto queste tecniche permettono anche l’allungamento dei tempi di lavoro delle donne, attraverso la criogenizzazione degli ovociti, ad esempio, già messa in atto oltre Atlantico.
Meno polemica, Nathalie Loiseau, direttrice dell’ENA, preferisce affermare che il femminismo cattolico è prima di tutto “nato dall’umanesimo cristiano, che non può tollerare che si lasci da parte la propria vita personale per essere più produttivi. Bisogna permettere alle donne di scegliere, anche di essere madre e lavoratrice”.
in “La Vie” n° 3679 del 4 marzo 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)
 
 
La teologia non sfugge alla controversia
intervista a Mathilde Dubesset*

Femminismo e religione non sembrano andare molto d’accordo. Perché?
L’idea di una responsabilità delle religioni nella “sventura delle donne” è molto diffusa negli ambienti femministi. Gerarchia tra i sessi, diffidenza verso le donne, molteplici divieti, assenza di luoghi di potere nelle istituzioni religiose, sono elementi che sembrano confermare questa visione critica. Gli anni 60-70, segnati dalla seconda ondata del femminismo, hanno visto svilupparsi attacchi molto severi all’eredità giudeo-cristiana. Con gli anni 1990-2000 è tornato vivo il problema delle costrizioni imposte alle donne da un’ingiunzione religiosa, questa volta per il velo islamico. Il femminismo della terza ondata, all’inizio del XXI secolo è caratterizzato dalla riflessione sulla laicità, in un periodo in cui le donne dei paesi del Sud del mondo si trovano a confrontarsi con questo problema, a volte in maniera violenta.
L’opposizione delle femministe alle religioni sembra particolarmente forte in Francia. Perché?
Il femminismo francese è storicamente segnato dalla presenza attiva di donne “laiciste” repubblicane e anticlericali. Come Hubertine Auclert (1848-1914), pioniera delle rivendicazioni per il diritto di voto alle donne. Questa posizione si spiega con il peso della tradizione cattolica nel nostro paese e con il fatto che la Chiesa cattolica è rimasta maschile nel corso dei secoli, chiusa all’idea di emancipazione delle donne, ma anche, fino alla fine del XIX secolo, ostile alla Repubblica.
Il femminismo è nato negli ambienti protestanti anglosassoni…
L’accento posto dalla Riforma sull’accesso dei fedeli alla Bibbia ha comportato un vero investimento protestante nell’istruzione anche delle ragazze. In Francia, in Gran Bretagna e in Germania, all’inizio del XX secolo, la loro istruzione era più avanzata di quella delle giovani cattoliche. Le troviamo nelle prime organizzazioni femministe degli anni 1900-1910, legate a reti anglosassoni, anch’esse di cultura protestante. Vi sono donne di confessione luterana che svolgono la funzione di pastore fin dagli anni ’30. Gli studi di teologia erano già aperti per loro. Nel 1966, il sinodo della Chiesa riformata di Francia convalida ufficialmente l’accesso delle donne al pastorato, E negli anni ’50-’60, i protestanti (uomini e donne) sono numerosi tra i promotori della pianificazione familiare. E il Consiglio nazionale delle donne francesi è stato a lungo diretto da donne protestanti.
Succede più o meno la stessa cosa negli ambienti ebraici…
Sì. All’inizio del XX secolo, si constata un livello elevato di istruzione delle ragazze delle famiglie ebree, che frequentano i licei ed entrano all’università. Una realtà legata ad una cultura attenta all’acquisizione del sapere e all’esercizio dello spirito critico. Vi sono avvocatesse ebree che sostengono le organizzazioni femministe negli anni 1910-1930. Oggi, mentre l’ordinazione presbiterale delle donne resta impossibile nella Chiesa cattolica, in Francia vi sono alcune donne rabbine. E molte di più in Gran Bretagna e negli Stati uniti, dove il movimento ebraico progressista è molto più forte che in Francia, dove predomina la corrente ortodossa.
Le femministe di oggi sono meno inclini a liberarsi delle eredità religiose?
Per quanto riguarda le donne ebree, molte cercano di tenere insieme il loro ebraismo – il legame con Israele, la Torah come fonte ispiratrice… – e la rivendicazione della loro emancipazione. Invece le loro madri erano fortemente laicizzate. Assistiamo però ad un vero emergere delle femministe musulmane. Loro non esitano ad invocare le sure del Corano per opporsi alle dichiarazioni degli imam e dei mullah che giustificano la sottomissione delle donne. A dedicarsi a lavori di rilettura degli hadith (le parole del Profeta) per contestualizzarli, per porre interrogativi sulle loro interpretazioni. Il riferimento a Fatima, la figlia di Muhammad, permette di valorizzare la donna coraggiosa, di mettere in discussione ciò che viene dato per scontato. Minoritarie, ma organizzate in reti strutturate, queste femministe si ritrovano in occasione di convegni e incontri internazionali.
E da parte cattolica?
Molte donne hanno lasciato la Chiesa in punta di piedi dopo l’Humanae Vitae (1968), l’enciclica di Paolo VI che ribadiva la proibizione della contraccezione. Ma nel 1970, il movimento franco-belga Femmes et hommes en Eglise proponeva, sulla scia del Concilio Vaticano II, un partenariato più ugualitario tra i due sessi. Quel desiderio di cambiamento è presente in un libro pubblicato nel 1982, Et si on ordonnait des femmes? (E se si ordinassero delle donne?), redatto da una filosofa, Renée Dufourt, e da due teologhe, insegnanti all’università cattolica di Lione, Marie-Jeanne Bérère, laica che si interroga sul legame tra mascolinità e sacerdozio, e Donna Singles, religiosa che si esprime con molta libertà. Il loro libro sarà accolto molto male dagli organismi ufficiali della Chiesa. L’atteggiamento critico è cresciuto negli anni 1980-2000 con gli studi delle teologhe femministe di tutte le confessioni che ripensano l’eredità cristiana, discutono le interpretazioni dominanti, valorizzano le figure femminili della tradizione biblica e sostengono un rinnovamento del lessico liturgico. Fino a porre la domanda: bisogna ancora parlare di un “Dio-padre”? Oggi, nelle parrocchie, molte giovani donne non stanno più zitte e continuano comunque a rimanere all’interno. Come nel caso delle fondatrici del Comité de la jupe, Anne Soupa e Christine Pedotti, molto critiche sul funzionamento della Chiesa, con un linguaggio molto vicino a quello delle femministe, e che non vogliono “né andarsene né tacere”.
* storica, specialista della storia delle donne, autrice di Des femmes en mouvement. Catholiques et protestantes au XXe siècle (Cahiers de Meylan).
in “La Vie” n° 3679 del 4 marzo 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)
 
 
Femminismo e religione: per Luisa Muraro una relazione possibile
di Marianna Cappi, 
Fondatrice della Libreria delle Donne di Milano e della comunità filosofica femminile Diotima, Luisa Muraro è tra le personalità che più sovente e approfonditamente si sono interrogate sulla relazione tra femminismo e religione, rompendo un silenzio reale e prolungato sull’argomento. Il suo Lingua materna, Scienza divinaScritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete, e i volumi Le amiche di Dio, Il Dio delle donne, e Dio è violento hanno dato un contributo importante allo sviluppo del “pensiero della differenza” in ambito religioso. Le abbiamo chiesto di risponderci su alcune problematiche controverse che riguardano il ruolo delle donne fuori e dentro la Chiesa di oggi.
Che cosa l’ha spinta, da non credente, allo studio delle mistiche? Che cosa può dirci ancora oggi la loro esperienza?
La distinzione così drastica tra credenti e non credenti non mi corrisponde e siamo in molte a pensarla così, forse anche tra gli uomini. Io aspetto che sia ripensata, e in generale aspetto che tutto quello che riguarda la religione possa rinnovarsi alla luce di una ritrovata competenza femminile, nuova e antica insieme. Con il femminismo questo lavoro è cominciato ed è promettente.
Alcune di quelle “esperte” di Dio che chiamiamo mistiche, hanno potuto parlare ai loro contemporanei e hanno ricevuto un posto nella tradizione religiosa. Sono le più note, che in certi casi vuol dire note ma misconosciute o subordinate a esigenze devozionali. Altre sono state silenziate o dimenticate. Il caso di Margherita Porete, morta nel 1310, è complesso: lei, condannata per eresia, era sparita dalla storia della Chiesa, mentre il suo libro, Lo specchio delle anime semplici, ritoccato e adattato, si salvò come opera di anonimo.
Oggi ci rivolgiamo alle mistiche già note per conoscerle meglio, alle altre per cominciare ad ascoltarle. In tutte loro risuona la voce di un’autorità femminile nelle cose dello spirito. La civiltà umana, io sostengo al pari di altre e altri, ha bisogno di autorità femminile, oggi più di ieri.
Quale potrebbe essere un’azione politica efficace delle donne nella Chiesa? Un confronto teorico o uno scontro con la gerarchia ecclesiastica? Insistere sugli esempi di grandezza femminile o fare azioni sovversive come le Pussy Riot in Russia?
Invece di “scontro”, che fa pensare alla guerra, io parlerei di “conflitto”. Quanto alle Pussy Riot, esse hanno agito contro il potere politico di Putin e hanno usato l’edificio sacro non per profanarlo ma per dare maggiore risalto alla loro temeraria protesta. Il clero e i fedeli sono rimasti scandalizzati, ma non è detto che la Vergine Maria, alla quale le Pussy hanno chiesto di liberare la Russia da Putin, si sia sentita offesa.
Precisato questo, chi vuole agire nella Chiesa per cambiarla (e non per distruggerla), uomo o donna che sia, ha una sola strada da seguire, che è di obbedire a ciò che Dio ispira, obbedire a Dio e non agli uomini. Le alternative che lei propone non sono veramente alternative, purché il criterio sia rispettato e non si prenda per comando divino una volontà tutta e solo propria. In effetti, che cosa vuol dire in pratica un’ispirazione divina? Non si può rispondere in generale e in astratto, ma è evidente che per le donne questo equivale a diventare indipendenti dal potere maschile.
Quando e come agire dipende da quelle che siamo e da ciò che desideriamo, che crediamo giusto e vero, dalle circostanze, dai mezzi a nostra disposizione. Tutto questo altro non è che l’agire politico, ossia un agire, nello spaziotempo che ci è dato, per guadagnare esistenza libera e convivenza pacifica rispetto al sistema dei rapporti di forza che vuole dominare il mondo intero. Con la differenza che, essendo la Chiesa una società religiosa, entra in gioco un di più, un eccesso rispetto alle misure umane.
Il suo libro Il Dio delle donne ha trovato interlocutori tra gli uomini di Chiesa? Qualcuno le ha risposto?
Sì, così come ha trovato lettrici tra le consacrate – quelle che noi chiamiamo suore – oltre che tra le comuni laiche, femministe e non. Io non mi aspetto di avere successi di massa e il libro non l’ha avuto, prova ne sia che non è stato più ristampato da Mondadori e ora lo pubblica Il Margine di Trento. Ma la risposta venuta da vere lettrici e veri lettori mi ha ampiamente gratificata.
Poi lei mi chiede se ho avuto risposte specifiche da parte di uomini di Chiesa, la cattolica e le altre, e questo mi dà lo spunto per precisare la mia posizione. Io non ho formulato domande in quella direzione, tranne quelle fatte in fase di ricerca trovando sempre un aiuto generoso.
Il mio scopo, in negativo, è stato di combattere i pregiudizi antireligiosi e anticlericali specialmente nel movimento delle donne. In positivo, come negli altri miei scritti, mi sono rivolta a donne e uomini – se ce ne sono, e mi pare di sì – che desiderano che a questo mondo ci sia libertà femminile. Per me questo è il nome riassuntivo della libertà umana. Gli uomini indifferenti alla libertà delle donne o, peggio, che si credono in diritto di comandare solo perché uomini, diventano servi di un falso primato. Qui si annida l’ambiguità del sacerdozio e della gerarchia solo maschile.
Detto in breve, c’è femminismo possibile all’interno della Chiesa?
Naturalmente sì, tant’è che è diffuso anche all’interno delle Chiese cristiane e ha dato vita a una ricca teologia femminista. Alcune Chiese ne hanno accolto qualche istanza, penso specialmente al sacerdozio femminile, che fino ad oggi è stato invece escluso da altre tra le più importanti, quella Ortodossa e quella Cattolica romana.
Indubbiamente la società religiosa di tipo gerarchico oppone al femminismo resistenze. Queste sono di natura diversa ma non maggiori di quelle che oppongono altri tipi di società, a me pare. Che ci siano resistenze, d’altra parte, è inevitabile quanto opportuno, purché non perdiamo tempo e non sprechiamo energie in polemiche impostate male, nella difesa dei privilegi e nella paura dei conflitti. Che i preti s’informino meglio sul femminismo, che le suore si facciano coraggio e alzino la voce, che le femministe leggano le teologhe e imparino un po’ di religione.
Va detto, per finire, che la società religiosa offre alle donne risorse originali di libertà e di forza. Quali, per esempio? Dio, ci rispondono le mistiche e le sante. La cultura della vita interiore e la familiarità con il linguaggio simbolico, aggiungo io.
La Chiesa, storicamente un’istituzione guidata da uomini, fa affidamento di preferenza sulle donne per la trasmissione delle pratiche religiose in famiglia. Le donne non rischiano in questo modo di perpetuare le norme patriarcali?
È ben vero, l’antico ufficio delle donne in ambito familiare per la continuità di usi, costumi e fede ha comportato anche la trasmissione di norme ingiuste o di valori falsamente assoluti. Ma è inevitabile. Immersi in una civiltà, e tale dobbiamo considerare il patriarcato, ne assimiliamo il buono e il cattivo; discriminarli è possibile ma solo in parte. La formazione morale e politica possono aiutarci in questa impresa. Porto un esempio: il pensiero femminista – Nato di donna di Adrienne Rich; Più donne che uomini del “Sottosopra”; Il cielo stellato dentro di noi di Diotima – ci ha insegnato ad aprire conflitti se necessario senza fare la guerra alle nostre madri.
Ci sono epoche di rottura in cui si comincia a vedere qualcosa di quello che non andava. Si cerca allora di operare dei cambiamenti. Ai nostri giorni, un’importante spaccatura che ha fatto vedere cose sbagliate e inique del passato ha preso il nome di femminismo e, come noto, riguarda il rapporto fra donne e uomini così come la presenza delle donne nella vita pubblica. È stato come buttar giù un muro che toglieva aria e luce. Ma non è tutto rose e fiori, intorno ci sono macerie e per tante cose bisogna ricominciare da capo, per altre inventare il nuovo, altre ancora portarle con noi, come fecero gli ebrei nella traversata del deserto.
in Donne europa, 15 novembre 2013