L’attuale emergenza della pandemia sollecita spontaneamente la riflessione con i titolari delle prime pagine dei giornali, nelle nostre conversazioni abituali oramai da diverse settimane e dietro le esigenze del nuovo ritmo di vita che si sta imponendo.
Viviamo una contingenza che porta tanta sofferenza e fatica alle persone che sono colpite direttamente dall’infezione virale, agli operatori sanitari e le strutture ospedalieri che si trovano al limite delle proprie forze e risorse, e alla popolazione che vede traballare le fonti del proprio sostentamento. L’intera società si vede così pesantemente colpita nelle abitudini, nelle prospettive e nell’animo.
Ma si presentano anche ora alcune possibilità per fare dei passi importanti di umanizzazione che riguardano non soltanto la nostra coscienza ma pure il nostro stile di vita. Sono sviluppi che hanno valore per affrontare la crisi, ma altrettanto validi come risoluzione di situazioni pure difficili ma ordinarie.
In primo luogo il diffondersi della malattia ad un ritmo incalzante che rende la situazione in costante cambio, fa comprendere che la salute dell’altro è una questione personale per ciascuno. La malattia in altri è anche questione propria, innanzitutto perché è impossibile praticare un isolamento assoluto in condizioni perfettamente asettiche. La salute altrui è decisiva per me. Tuttavia questa certezza che nasce dal meccanismo del contagio si deve ancora espandere in una visione umana e fraterna, e non puramente interessata in termini individualistici. Il fatto che siamo così strettamente legati, deve portare a vedere la grande responsabilità di ognuno di preservare la propria salute per il bene degli altri, come di procurare il loro bene. Si sono osservati in questi tempi di epidemia comportamenti inaccettabili che hanno favorito la diffusione del virus. Poi la sollecitudine per il bene delle persone non deve rimanere circoscritta alla cerchia delle proprie frequentazioni, poiché nel nostro mondo le distanze si sono ridotte enormemente e una persona che si trova dall’altra parte della terra al mattino, alla sera può stare alla mia porta. La pandemia che ora ci affligge ci spinge a promuovere un senso di fratellanza universale e concreta.
La situazione sanitaria ha fatto risvegliare, in secondo luogo, la necessità di intervenire di comune accordo, con criteri uniformi e condivisi a livello mondiale. Abbiamo sentito dire sovente in questi giorni che il virus non conosce le frontiere e dunque non serve imporre una restrizione molto severa da un lato, che scompare dall’altro lato del confine nazionale, oppure garantire una grande assistenza in un posto, mentre un altro ne rimane sprovvisto. Risuonano le voci che invocano le strategie condivise, che si dimostrano infatti quelle più efficaci. Sorprende però che tali voci, così insistenti, si moltiplicano oggi quando fino ad ieri prevalevano le rivendicazioni di autonomia, di provincialismo, di sovranità particolare, di promozione del distacco. Allora la pandemia potrebbe giovare a correggere la rotta imposta dalle tendenze politiche, economiche e sociali più recenti che hanno cercato la segregazione e la dispersione. In questi tempi gli avvertimenti dell’OMS sono rimasti ampiamente inascoltati. I processi di collaborazione richiedono una prassi che non si improvvisa: servono patroni di attuazione, istituzioni, canali aperti di dialogo, che esprimono la convinzione di avere a cuore la situazione altrui.
Infine il percorso della pandemia ha mostrato il bisogno di praticare una comunicazione tempestiva, chiara e leale. Non sono mancate in questo ambito comunicativo informazioni parziali e confuse, che hanno provocato sospetti e confusioni nella popolazione, e ritardi nelle decisioni istituzionali. L’esperienza attuale di questa epidemia virale è radicalmente segnata dalle forme odierne della comunicazione, per configurarsi come un evento vissuto dall’umanità con la contemporaneità, la velocità e la profusione di messaggi delle reti sociali, e di tutti i collegamenti telematici. L’immediatezza con cui si aggiornano i dati e si aggiungono costantemente nuove indicazioni, apre tuttavia la situazione ad ogni genere di interventi, che aumentano la vulnerabilità delle persone con avvisi a volte contraddittori. La preoccupazione reale per la salute dell’altro si mostra nella forma di comunicare, in un sistema come il nostro talmente aperto dove in pratica ognuno si può inserire. Serve allora la volontà di sostenere le persone e la saggezza per intervenire con buon senso.
Antonio Escudero