Leggendo tra le righe si possono trovare nell’esortazione del papa delle ragioni di speranza. Ma tutta quella misericordia dispiegata è segno di un rimpianto nostalgico di un passato idealizzato.
La lettura dell’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris laetitia, che completa il processo sinodale dedicato alla famiglia e all’amore, lascia una sensazione di disagio. Duecentosessanta pagine sono molte per ricordare ciò che testi anteriori già dicevano. Le citazioni sono lunghe, perfino impressionanti e talvolta spettacolari, ma bisogna cercare lì dentro per scoprire la posizione papale, essa stessa frutto di un compromesso che si immagina molto lungo, complicato e, diciamolo chiaramente, insoddisfacente, con i padri sinodali.
Non veniamo a sapere nulla più di quanto già non sapessimo. Percepiamo una timida apertura a favore dei divorziati risposati, che, dopo un esame caso per caso, sottoposto ad un discernimento sottile affidato ad un prete, potranno forse pretendere di tornare come tali all’altare. Molti lo fanno senza dirlo, si tratta quindi di una rivendicazione accettata. È sicuramente un piccolissimo progresso e certo il papa ha influito con tutto il suo peso a favore di questa giurisprudenza del caso per caso, di fattispecie e non di principio, per riprendere il linguaggio giuridico. Ma quanto tutto questo appare tiepido e impacciato.
Christine Pedotti ha ragione: “In un mondo che va in fretta, sempre più in fretta, la Chiesa cattolica ha il tempo delle prudenze e delle lentezze di un’istituzione che crede di poter ancora vivere al ritmo dell’eternità?” (Témoignage chrétien, Lettre hébdo n° 3677).
Porre una domanda, è già rispondere…
Quindi, è con una sapiente parsimonia che le seconde nozze dei divorziati saranno redente. Non parliamo delle coppie omosessuali, quelli e quelle sono banditi e la sola via loro offerta è di comprendere il disegno di Dio nei loro riguardi. In altri termini, di smettere di essere ciò che sono. Nessuno si è apparentemente chiesto cosa comporterebbe per un mancino cominciare d’ora in avanti a firmare con la mano destra. Pazienza, è così, tutti e tutte condannati/e all’onanismo a vita, peraltro considerato un disordine in testi anteriori? O a vivere nella convivenza e nel peccato, poiché di peccato si tratterebbe? Cupo tutto questo… e per nulla misericordioso!
Ma un punto merita di essere approfondito. Si tratta dello sguardo infinitamente pessimista sulle nostre società. Segnate dalle “tensioni indotte da una cultura individualista esacerbata, cultura del possesso e del godimento” (33). Già la parola godimento (jouissance), che alle orecchie francesi risuona come triste memoria poiché era la causa del castigo riservato alla Francia del Front Populaire da parte dell’occupazione nazista. O almeno era quella la spiegazione di Philippe Pétain…
E poi, “l’affettività narcisistica” (41) spiegherebbe “il declino demografico” (42). Davvero? Poco importa che si preveda che saremo dieci-dodici miliardi tra alcuni decenni, polverizzando tutti i record.
Ma, soprattutto, il nostro tempo sarebbe caratterizzato dal “degrado morale e umano” (35). A questo punto, mi cascano le braccia. Non che io valorizzi la nostra epoca, perché la lista delle carenze, delle colpe e dei crimini sarebbe lunga, ma questo ripiegamento nostalgico sul passato è preoccupante e, diciamolo chiaramente, pericoloso.
Il matrimonio non è mai stato il talismano che protegge le società dal male. Neppure ne è stato la causa, certamente no, ma non è neppure un baluardo. Anche nella Russia stalinista ci si sposava, e non era visto di buon occhio vivere da concubini, anche nell’Italia mussoliniana. E guai ai devianti!
Abbiamo visto tutti la “giornata particolare” di Scola. E poi, nella Germania di Hitler, “Kinder, Küche, Kirche” (figli, cucina, chiesa) era uno slogan di base per un regime peraltro profondamente ateo.
Certo, il matrimonio ci ha evitato il ratto delle Sabine, ma il matrimonio è innanzitutto la sudditanza della donna. Fin dai patriarchi biblici, passando per Roma e continuando con il matrimonio cristiano, è sempre storia di donne che vengono sposate e di mandrie, di campi o di denaro in dote.
Bisogna leggere le pagine definitive di Georges Duby sul matrimonio cristiano o semplicemente vedere il magnifico quadro di Greuze nel quale il padre parlando con il notaio consegna una dote in denaro al genero – la figlia è un non-soggetto. O la serie di tele che mostrano il matrimonio “à-lamode” di William Hogarth, nel quale la futura sposa si intrattiene con un dotto pastore mentre il padre e il suocero, assistiti da notai, rivaleggiano in genio commerciale. I figli di re, fatti sposare a sette o otto anni, non erano in posizione migliore, eppure venivano tutti benedetti. I matrimoni nelle classi agiate erano faccende di mercanti e commercianti le cui figlie arrotondavano i patrimoni… e i preti officiavano. Le altre, ribelli o streghe, non potevano che essere la feccia del mondo.
Ben rare le passioni d’amore, salvo quella di Romeo e Giulietta, con la fine che conosciamo e questa volta il buon monaco, frate Lorenzo, che aveva letto Francesco prima di averlo conosciuto…
Alla fine, forse le ragazze povere avevano una chance di sposarsi per amore, se non erano già state violentate nell’incesto o altrove, e di sposare un bel ragazzo che avrebbe permesso loro di sfuggire all’influenza di un ricco rospo. E poi, tante vedove di guerra… Le grandi vedove ricche e colte, talvolta potevano avere un futuro, la Vedova Scarron, Madame di Maintenon, ad esempio.
Tutto questo era così morale? Quale sarebbe il “degrado” di cui si parla e che caratterizzerebbe il nostro tempo? E le centotrenta mogli uccise dai loro mariti ogni anno solo in Francia, non è forse un degrado morale? Quanti divorzi hanno la funzione di salvare una vita?
Non solo non aderisco. Contesto. E spero che anche il mondo cattolico progressista, fiero della sua libertà di coscienza, non aderisca, ricordando che le due grandi date dell’emancipazione della donna e della fine del matrimonio concepito come una cavezza attorno al collo sono il 1792 con la prima legge sul divorzio e il 1965, con la legge sulla capacità giuridica delle donne.
Decisamente, occorrerà al papa molta “creatività coraggiosa”, a cui lui stesso invitava nel luglio 2015, per mettere in movimento il pesante piroscafo insabbiato della Chiesa cattolica.
Ancora una parola per concludere: milioni di persone vivono la gioia del matrimonio, per fortuna! Tocca a loro dire a tutti i sinodi del mondo che non è per loro un privilegio, e che tutti hanno il diritto di essere felici. Chiunque siano, comunque siano.
Amoris laetitia ovvero il ripudio del mondo di Jean-Pierre Mignard, in “temoignagechretien.fr” del 21 aprile 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)