In Italia è illegale, ma a pochi chilometri dai nostri confini, in Svizzera, si può fare… Ci sono sempre più persone che silenziosamente chiedono il suicidio assistito perché non desiderano più vivere, come ha documentato nei giorni scorsi il nostro giornale. «Una società, una cultura dovrebbe sentirsi condannata di fronte a questo», commenta il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, che in questa intervista con La Stampa spiega perché l’eutanasia sia una sconfitta.
 
Intervista ad Angelo Bagnasco,
a cura di Andrea Tornielli
Eminenza, perché c’è tanta gente che vuole morire?
«Non so se ci sia davvero così tanta gente, spero proprio di no. Comunque è un segnale e come società dovremmo prenderlo in seria considerazione. Il problema principale non è quello di legiferare il come e il dove. Il vero problema è di non arrivare a questo. È un segno dell’angoscia esistenziale che una certa cultura può favorire, ma che si potrebbe annullare con la vicinanza, l’accompagnamento e ideali che diano senso alla vita, compresa la fase della sofferenza e della morte. Una società, una cultura dovrebbe sentirsi condannata di fronte a questo, perché incapace di sostenere e accompagnare le persone».
L’eutanasia è un diritto?
«Assolutamente no».
Perché no?
«Perché la vita è un dono, nessuno se la può dare. È dono da custodire, non da possedere con un senso di proprietà assoluta. Non dimentichiamoci poi che la nostra Costituzione, garantendo le cure, riconosce che la salute e la vita sono un bene per tutta la comunità. Un aspetto veramente importante, che corrisponde a una visione della persona e della società come “relazionale”. La tua salute e la tua vita interessa anche me. Purtroppo ci stiamo allontanando da questo».
Che cosa direbbe a un malato incurabile che non ce la fa a sopportare la malattia e vuol farla finita?
«Due cose. La prima è che oggi, grazie alla scienza e alla tecnologia, ci sono cure palliative di altissimo livello e di grande efficacia per combattere il dolore fisico. La seconda cosa che direi riguarda invece il piano psicologico ed emotivo: non sei solo! Credo che il sentirsi soli sia la malattia più grave e mortale. Se una società non riesce a far sentire a chi è in difficoltà una compagnia, una solidarietà, una rete di affetti e attenzioni, è una società malata. Su questo sono intervenuto spesso, specialmente parlando di qualità della vita: oggi la si concepisce come autonomia, efficienza, produttività individuale. Si dovrebbe invece partire dall’essere dentro una rete di relazioni, dal sentirsi amati».
Ma nel caso uno viva ormai in stato di incoscienza?
«Innanzitutto: siamo davvero sicuri di ciò che uno percepisce, sente o non sente quando è in quello stato? E poi, quel malato, anche se in stato di incoscienza e bisognoso di tutto, resta persona. Suscita e sprigiona una rete di attenzione, presa in cura, affetto, dentro la quale continua a vivere come un dono per tutti».
Le religioni affermano che la vita è sacra. Che cosa dice a chi non crede che ci sia qualcosa dopo la morte?
«La vita è sacra e questo termine ha un duplice valore: quello squisitamente religioso, in quanto la vita viene da Dio; ma la vita è sacra anche in un senso laico, perché ci precede, perché non la decidiamo noi nel suo iniziale originarsi, e tutto ciò che precede la decisione dell’uomo, possiamo dire che, in un certo senso, sia sacro. La vita ha valore in se stessa, non in rapporto a quanto si è efficienti, ma innanzitutto in rapporto all’essere dentro una comunità».
La Chiesa è per mantenere in vita sempre e comunque il malato incurabile?
«La Chiesa non è favorevole all’accanimento terapeutico».
Che cos’è l’«accanimento terapeutico»?
«Quando medicine e farmaci sono ormai “rigettati” dal corpo, si sospendono le cure che risulterebbero un accanimento. La Chiesa è favorevole a sospendere queste cure e a dare dei palliativi che in qualche modo potrebbero anche accelerare l’inevitabile fine, con l’intento di lenire il dolore. Ma in questo caso l’obiettivo è lenire il dolore, non dare la morte, come invece purtroppo avviene nei casi che lei citava all’inizio, quando si somministrano farmaci per interrompere la vita».
Dopo il riconoscimento delle unioni civili, nel mondo politico c’è chi avanza proposte sull’eutanasia. Che cosa ne pensa?
«Se si esalta il desiderio individuale come prioritario, si instaura una concezione individualistica della vita nella quale la libertà di ciascuno è senza relazioni o con relazioni fragili con gli altri. Ci consideriamo come degli “assoluti”, senza legami. La cultura dei legami è invece da recuperare: quei legami che oggi sono spesso intesi come una negazione della libertà individuale. Mentre sono la condizione della vera libertà di ciascuno, perché noi siamo esseri sociali e relazionali».
Che cosa si augura che faccia l’Italia in proposito?
«Mi auguro che continui a far prevalere la cultura dei legami e delle relazioni».
Mi dica tre buone ragioni per dire di no a una legge sull’eutanasia.
«Prima: la vita è un dono prezioso e vale sempre. Seconda: la vita, pur essendo mia, è un bene di tutti. Terza: in qualunque fase, anche la più debole, la vita sprigiona bontà, relazione e presa a cuore e dunquevale la pena di essere vissuta».
Come giudica l’esperienza di quei Paesi europei dove il suicidio assistito è legge da anni?
«Mi sembrano società tristi, che finiscono per essere senza speranza. Perché uno Stato che si arrende fino a questo punto, è uno Stato triste, che non crede nel futuro».
Come risponde a chi sostiene che la Chiesa è un fattore che impedisce la «modernizzazione» del Paese e nega i diritti alle persone?
«La Chiesa ama radicalmente e profondamente l’uomo e tutto ciò che lo riguarda. Ed è profetica anche quando dice parole esigenti. Ogni parola d’amore è parola esigente, come quella dei genitori verso i propri figli».
Lei ritiene che sia giusto che i sacerdoti siano vicini e accompagnino anche le persone che hanno deciso di mettere fine alla loro vita?
«La missione del prete è essere vicino a chiunque, in qualunque situazione, con l’amore e la verità del Vangelo».
in “La Stampa” del 20 marzo 2016