Alla crisi economica e politica che attraversa l’Occidente (e non solo), la quale ha carattere strutturale (e non puramente congiunturale), si è risposto in questi ultimi anni con interventi palliativi, volti a riaggiustare il sistema senza metterne in discussione la sostenibilità, e soprattutto senza riflettere criticamente sui presupposti antropologici che sono alla base della sua costruzione. Ma è proprio l’assenza di una riflessione che risalga alle radici la ragione dell’incapacità di affrontare seriamente la situazione, con il rischio che la deriva tuttora persistente si riproponga, in termini ancor più accentuati, nel prossimo futuro. L’elemento attorno al quale ruota infatti a tutt’oggi la vita sociale e che rappresenta il criterio di valutazione dell’attività economica e politica è il paradigma individualistico. A motivare le scelte non sono dunque valori come la giustizia, l’equità e la solidarietà sociale; è piuttosto l’interesse soggettivo o, in termini più radicali, l’egoismo individuale.
le derive di ieri e di oggi
Per comprendere le ragioni che hanno determinato l’affermarsi di questa visione è necessario andare indietro nel tempo. Le basi di essa vanno fatte risalire alla nascita del Nominalismo che, mettendo sotto processo la capacità del concetto di definire la realtà per quello che è – i concetti sono semplici etichette apposte dall’esterno ad essa, meri flatus vocis – , giunge alla conclusione che non vi sono al mondo che entità singolari; che il reale è, in altre parole, costituito da sostanze monadiche impossibilitate a comunicare in profondità tra loro. Ma la vera e propria elaborazione dell’idea di individuo come soggetto unico e irripetibile risale alle origini dell’epoca moderna, e più precisamente alla comparsa e agli sviluppi dell’ideologia illuminista, che ha ispirato le grandi rivoluzioni americana e francese e dato vita alla dottrina del liberalismo.
L’importanza di questa ideologia è fuori discussione. È sufficiente riandare con il pensiero alla promulgazione delle prime carte dei diritti umani, destinate a tutelare e a promuovere la dignità di ogni soggetto umano; o alla nascita della democrazia, che si svilupperà in seguito gradualmente attraverso un processo di inclusione di strati sempre più ampi della popolazione. Al di là di questi aspetti positivi, non si possono tuttavia dimenticare le ricadute negative, e non del tutto marginali, che hanno contrassegnato gli sviluppi di questa visione: dalla fondazione dell’economia sull’interesse individuale, con la tendenza ad andare verso forme di liberismo caratterizzato da un mercato senza regole, che ha prodotto di fatto gravi diseguaglianze sociali, a una concezione dello Stato come Stato di diritto, la cui funzione si riduce a far rispettare la libertà dei singoli, intervenendo soltanto nei casi di prevaricazione, senza alcuna attenzione alle condizioni necessarie perché i diritti fondamentali legati alle libertà individuali divengano appannaggio reale di ogni cittadino.
una nuova prospettiva antropologica
La crisi economico-finanziaria e politica che oggi attraversiamo ha reso più evidenti i limiti di questa concezione, le cui radici sono – come già si è ricordato – di natura antropologica. Ciò che, in altri termini, risulta oggi chiaro a molti è l’insufficienza del paradigma individualistico ad interpretare una realtà che si presenta connotata da legami originari, da una rete strutturale di relazioni dalle quali il singolo non può essere scorporato. La svolta in questa direzione è avvenuta negli ultimi decenni attraverso la riscoperta e la riproposizione dell’idea di «persona»; idea che non comporta certo rinuncia a tenere in conto l’individualità da cui non è possibile prescindere, ma introduce accanto ad essa, come dimensione costitutiva, la relazionalità. La persona è così soggetto individuale e insieme relazionale; la sua identità non può perciò costituirsi e la sua crescita non può avvenire senza riferimento all’altro.
Dall’assunzione di questa visione, per la quale la società non può più essere considerata come una realtà esterna al singolo, discende un’interpretazione altruistica dell’agire umano, che deve permeare di sé anche l’economia e la politica. Sono ormai diversi gli economisti che sconfessando il vecchio presupposto metodologico individualista, che concepiva l’interesse soggettivo come la molla dell’iniziativa economica, ricuperano alla radice l’importanza della solidarietà e della gratuità: è sufficiente richiamare qui l’importanza assunta dal concetto di «dono» che è, accanto a quelli dello scambio di equivalenti e dell’equa distribuzione di ciò che viene prodotto, un criterio fondamentale di gestione dell’attività economica.
Un’analoga tendenza caratterizza la conduzione della vita politica, dove ie sociale), che trasforma l’altro da esterno, perciò estraneo e persino nemico, in prossimo e in sodale, ha dato luogo alla nascita dello «Stato sociale»; di uno Stato cioè che si impegna a promuovere positivamente la crescita comune e nel quale ai diritti di libertà si affiancano i diritti sociali. Uno Stato che si accolla, in definitiva, il compito – come ci ricorda la nostra Costituzione – di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3b).
una conferma scientifica
La conferma della verità di questa prospettiva antropologica viene oggi anche dal campo delle scienze biologiche. È quanto mette con chiarezza in evidenza andando controcorrente un recente, importante saggio del genetista americano David Sloan Wilson che reca il titolo significativo L’altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri (Bollati Boringhieri, 2015). Riflettendo sulla selezione naturale, Wilson critica la concezione più diffusa di ordine genocentrico, la quale sostiene che tale processo si verifica a livello puramente individuale, mettendo invece l’accento sulla presenza di un multilivello che include il gruppo sociale. Il rapporto dinamico tra i due livelli – quello individuale e quello sociale – rende allora trasparente, anche sul terreno strettamente biologico (e dunque naturalistico), l’importanza fondamentale dell’altruismo come principio della vita sociale, smentendo la tesi per la quale solo gli interessi individuali sono in grado di dare ragione dello sviluppo dell’agire umano.
Non sono dunque soltanto motivazioni di natura filosofica o teologica a giustificare la struttura relazionale e sociale dell’uomo. Si danno anche motivazioni scientifiche, che risalgono alla identità corporea dell’umano e che convergono peraltro -come ci insegnano gli studi etologici – con quanto si verifica nello stesso comportamento animale. Appare allora tutt’altro che peregrina la tesi del sociologo e antropologo francese Marcel Mauss, il quale pone alla base della convivenza umana l’esperienza del dono. E risulta, di conseguenza, evidente che l’eticità, la quale, come ci ricorda Emil Durkheim, coincide con l’agire altruistico – quell’agire il cui fine non è l’individuo ma la società – non è qualcosa che si impone dall’esterno sotto la forma di una obbligazione costrittiva; è una istanza che scaturisce immediatamente dal mondo interiore della persona.
l’esigenza di una rivoluzione culturale
La possibilità di uscire dall’attuale situazione di disagio economico-sociale e politico, che sfocia – come afferma ripetutamente papa Francesco – nel degrado umano e sociale e nella devastazione dell’ambiente, non può essere lasciata alle sole competenze tecniche, per quanto importanti. Esige un ribaltamento della prospettiva di fondo con cui, a partire dagli inizi della modernità, si è fatto l’approccio all’uomo e al suo destino. Una vera rivoluzione culturale, meglio antropologica, che si traduca in una radicale conversione delle coscienze con l’acquisizione di valori che sappiano mettere sotto processo le logiche dominanti. Valori alternativi, dunque, quali la gratuità e la condivisione, la giustizia e l’equità, la solidarietà e il dono di sé, che concorrono a creare condizioni sempre più estese di umanizzazione. L’impegno a permeare di questi valori ogni forma di relazione e ogni struttura sociale e istituzionale, conferendo alla propria azione un indirizzo sempre più universalistico, è garanzia della costruzione di una convivenza umana più giusta e più solidale.

Oltre l’individualismo, di Giannino Piana, in “Rocca” n. 4 del 15 febbraio 2016