La divisione tra sunniti e sciiti risale alla morte del profeta Maometto nel 632 d.C. Per il «partito di Alì», in arabo shi‘at ‘Ali , da cui deriva il nome «sciiti», il legittimo successore di Maometto doveva essere ‘Ali, suo genero. E dopo di lui dovevano regnare i suoi discendenti con il titolo di imam. Ma la questione della successione non fu solo politica: per gli sciiti gli imam erano e sono una guida anche religiosa.
Per i sunniti, invece, i primi sovrani, chiamati «califfi», furono scelti tra i compagni di Maometto, senza alcun ruolo religioso ma solo con il dovere di garantire l’ideale unità della comunità. Nel corso dei secoli il sunnismo è stato la via seguita dalla stragrande maggioranza dei musulmani, mentre lo sciismo si è a sua volta frantumato in svariate sette circoscritte ad alcune regioni. I motivi di tali divisioni hanno sempre avuto origine intorno all’autorità religiosa, più o meno accentuata, attribuita agli imam. Gli alauiti di Siria o i Drusi, oppure gli ismailiti guidati dall’Agha Khan ne sono gli esempi più estremi e noti. Oppure, all’opposto, vi sono correnti come quella degli zayditi dello Yemen, moderati, assai vicini ai sunniti. Quasi il novanta per cento degli sciiti segue lo sciismo imamita. Tale corrente unisce la maggioranza della popolazione irachena, ha una sua roccaforte storica nel Libano di Hezbollah ed è soprattutto religione ufficiale in Iran dal XVI secolo.
La Rivoluzione iraniana del 1979 ha rappresentato il momento più alto di una comunità religiosa che ha invece spesso conosciuto marginalità, persecuzioni o dissimulazioni per sopravvivere. La storia degli sciiti è infatti costellata da sofferenze ben rappresentate dalla morte dell’imam Hussein, il figlio di ‘Alì, fatto trucidare dal califfo omayyade sunnita nel 680 d.C. a Kerbela, nell’odierno Iraq. I sunniti hanno sempre guardato con sospetto ai sostenitori di concezioni sciite. Oggi le posizioni più marcatamente anti-sciite sono sostenute dall’Arabia Saudita. Il wahhabismo è segnato da un odio feroce contro gli sciiti, trattati alla stregua di miscredenti e avversati nel loro credo e nelle forme di culto verso i venerati imam. La Rivoluzione iraniana che ha consegnato il Paese al di là del Golfo Persico al clero sciita ha acuito tensioni e rivalità.
La minoranza sciita che vive ancor oggi in Arabia Saudita soffre tali difficoltà e una rivalità crescente. Si tratta di una presenza antica, come la presenza sciita in Bahrein, ma marginalizzata dalla realtà politica saudita, in altalenanti fasi di riavvicinamento e confronti sanguinosi. I moti di protesta nel clima delle cosiddette primavere arabe dopo il 2011 hanno ulteriormente acuito incomprensioni irrigidendo le autorità saudite.
Allo stesso tempo, la crescita dell’influenza di correnti salafite sempre più avverse allo sciismo presso la corte saudita spinge per colpire la minoranza sciita con divieti e azioni coercitive. In tali condizioni e con le crisi regionali in atto, le possibilità di dialogo sembrano sempre più difficili. E le esecuzioni di ieri accrescono gli storici e insanabili contrasti rischiando di infiammare ancor di più tutta la regione.
La disputa sugli imam e la catena di persecuzioni Storia dell’odio tra islamici, di Roberto Tottoli
in “Corriere della Sera” del 3 gennaio 2016
 
 
Guerra arabo-persiana dietro i conflitti religiosi
di Alberto Zanconato
Siria, Iraq, Yemen. Sono almeno tre i conflitti in corso nella regione mediorientale che vedono contrapposti l’Iran e l’Arabia Saudita: il primo bastione dell’Islam sciita, il secondo di quello sunnita. Ma le tensioni confessionali esplose alla luce del sole con l’esecuzione a Riad dello Sheikh sciita Nimr al Nimr nascondono un’antica guerra tra arabi e persiani per la supremazia nella regione.
“Il nostro popolo non deve trasformare la lotta in una questione settaria”, ha detto oggi Seyed Hassan Nasrallah, capo del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran. Da parte sua, ieri, il portavoce del ministero della Giustizia saudita, Mansur al Qufari, ha negato ogni discriminazione confessionale nel processo che ha portato alla condanna di Al Nimr.

Tuttavia anche le divisioni religiose fanno parte di un’ostilità che affonda le radici in tempi lontani. L’ambivalenza è il sentimento dominante per ogni iraniano, anche il musulmano più convinto, nei confronti delle circostanze che portarono alla diffusione della religione di Maometto in Persia. La fede si contrappone al risentimento verso gli arabi invasori che nel VII secolo dopo Cristo diffusero il nuovo credo con le armi. La fede portata dagli invasori e l’orgoglio nazionale ispirato agli antichi fasti imperiali trovano una sintesi ideale nello Sciismo, la corrente minoritaria dell’Islam diventata religione ufficiale in Iran dal XVI secolo con l’impero dei Safavidi, in contrapposizione al Sunnismo dei Paesi arabi e degli Ottomani turchi. Proprio Arabia Saudita e Turchia sono oggi i primi nemici dell’Iran in Siria, dove Teheran sostiene le forze lealiste con un nutrito schieramento di consiglieri militari appartenenti ai Guardiani della rivoluzione e spende miliardi di dollari all’anno per sostenere il governo del presidente Bashar al Assad. Mentre Riad e Ankara appoggiano gruppi ribelli fondamentalisti.
Dopo l’ascesa al trono del re Salman in sostituzione di Abdullah, nel gennaio scorso, Riad ha inaugurato una politica più aggressiva, dando il via a partire da marzo anche ad una campagna militare in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell’Iran. Il ‘nuovo corso’ saudita sembra una risposta alla politica dell’amministrazione americana del presidente Barack Obama, che dopo un accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel luglio scorso, sta lavorando ad un riavvicinamento a Teheran contro il jihadismo sunnita, in particolare quello dell’Isis.
Ma lo scontro parte dall’Iraq, il Paese che nel 1980, ai tempi del regime di Saddam Hussein, attaccò l’Iran dell’ayatollah Khomeini in quella che molti a Teheran videro come una seconda invasione araba dopo quella del VII secolo.
Proprio il ricompattarsi del Paese contro questa minaccia consentì al nuovo regime, insediatosi solo da un anno e mezzo, di consolidare la sua presa sul potere. E a partire dal 2003, grazie all’attacco anglo-americano che abbatté il regime di Saddam, l’Iran ha guadagnato una forte influenza nel Paese vicino, grazie alla vicinanza con i nuovi governi sciiti a Baghdad e l’istituzione di forze paramilitari sciite coordinate da Teheran. In questo modo, grazie a George W. Bush, la Repubblica islamica è stata in grado di realizzare un sogno secolare, quello di stabilire una continuità geografica tra forze sciite sue alleate dal proprio territorio fino al Libano, attraverso l’Iraq e la Siria. Uno scenario che non può che inquietare lo schieramento a guida saudita e nel quale sono nate le guerre che stanno sconvolgendo la regione.
 
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