Breve analisi del rapporto tra cristianesimo e social network. Il web non è un luogo “a parte” dalla vita di tutti i giorni, ma parte integrante della quotidianità di tanti. Essere presenti su internet da cristiani non significa introdurvi temi religiosi, ma avere uno “stile” di apertura e dialogo.
 
Descrizione
 
Titolo Quando la fede si fa social. Il cristianesimo ai tempi dei new media
Autore Spadaro Antonio
Prezzo € 5,00)
Dati 2015, 64 p.
Editore EMI (collana Segni dei tempi)
 
Quando la connessione diventa prossimità
di Maria Teresa Pontara Pederiva

Una volta per orientarsi c’era la bussola; poi è venuto il radar. Strumenti che ormai non parlano più all’uomo di oggi che si sente perduto se il cellulare non ha campo o il tablet non accede a qualche rete wireless. Oggi viviamo in un mondo di messaggi che, in qualche modo, rappresentano delle risposte, ma abbiamo forse dimenticato a fare domande, almeno quelle profonde e significative, quelle che possono aprirci un contatto con Dio.
Sono in molti a liquidare frettolosamente la possibilità che l’attuale tecnologia possa venirci in aiuto (forse sono gli stessi per cui uno scritto vale solo se su mezzo cartaceo), ma non è certo questo il pensiero della Chiesa, e non da oggi. A pochi mesi dall’Inter Mirifica del Vaticano II, Paolo VI all’Aloisianum di Gallarate assistendo all’analisi al computer della Summa Teologica di san Tommaso dichiarava: «Il cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale e quanto più questo si esprime nel linguaggio suo proprio, c’è il pensiero, quello sembra godere d’essere alle sue dipendenze».
E’ il legame fra tecnologia e spiritualità sottolineato anche nel Messaggio per la XLV Giornata mondiale delle comunicazioni sociali da Benedetto XVI che già nella Caritas in veritate scriveva: «Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia» (CV 69).
Quale allora il compito del credente? Lo rivela padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, in un piccolo saggio fresco di stampa. Il compito è impegnativo: non relegare la ricerca scientifica a una moda (col rischio di ridurre ogni strumento a gadget) e neppure ad una volontà di potenza (che ridurrebbe tutto ad armi), ma adoperarsi, attraverso il proprio ingegno, per dare forma e trasformazione alla realtà creata.
La Rete, forse oggi il grado più popolare della diffusione tecnologica, diventa allora una nuova possibilità di relazione e di espressione personale. Nessuno si nasconde il risvolto della medaglia, spiega il gesuita, in termini di profitti a spese degli utenti, di limitazione di privacy o di tutte le perplessità a livello educativo, ma questo non deve significare un ignorare il netto cambiamento indotto dall’avvento dei social.
Oggi la domanda religiosa è veicolata anche dalla Rete, un «vero spazio di esperienza» che fa parte integrante della nostra vita quotidiana, perché risponde al desiderio fondamentale insito nel cuore delle persone: quello di entrare in rapporto le une con le altre. Non esiste più la distinzione fra virtuale e reale che molti, ingenuamente, si ostinano a riproporre, spiega Spadaro.
Il cristiano è allora chiamato a «vivere bene sapendo che la Rete è parte del nostro ambiente vitale», un ambiente che va evangelizzato alla stregua di ogni altro ambiente, come ci direbbe la Gaudium et Spes. Sorge allora una domanda: come potrebbe la Rete, che lavora sull’immaginario oltre che sull’intelligenza, modellare l’ascolto e la lettura della Bibbia, il modo di comprendere la Chiesa, la liturgia, i sacramenti, i temi classici della teologia?
Spadaro, autore del blog di Cyberteologia, non ha dubbi: far maturare la Rete da luogo di connessione a luogo di comunione perché la condivisione è un compito specifico del cristiano. Termini come file sharing, free software, creative commons, social network hanno in sé il concetto di gratuità e dono, di esclusione dell’idea di profitto, eppure la logica cristiana è qualcosa di più: è logica di condivisione e solidarietà. Ma chi è il prossimo nella Rete? Cambia il concetto di «presenza» perché molta della nostra capacità di vedere e ascoltare è ormai «dentro», eppure, come ha spiegato papa Francesco nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali 2014, «solo chi comunica mettendo in gioco sé stesso può rappresentare un punto di riferimento». Evangelizzare al tempo della Rete non significa allora inserire contenuti religiosi sui social, bensì coinvolgersi con le altre persone, essere disponibili ad accogliere le loro domande (non fornire risposte preconfezionate a domande inesistenti). Non più una Rete come emittente di contenuti, bensì condivisione perché un annuncio del Vangelo che non passi per l’autenticità di una vita quotidiana resterebbe un messaggio, forse comprensibile con la mente, ma non certo con il cuore.
in “La Stampa-Vatican Insider” del 26 dicembre 2015