Le radici cristiane dell’Europa 
Negli ultimi decenni il processo di secolarizzazione in Europa è diventato sempre più marcato e si è tradotto anche in leggi che hanno cambiato il volto di molti Paesi europei. La riflessione su un’Europa secolarizzata, in realtà, ha radici profonde: già alla fine del Settecento il poeta tedesco Novalis rimpiangeva i “bei tempi” in cui l’Europa era stata terra cristiana. Più recentemente, l’Unione europea si è interrogata sull’opportunità di inserire in una ipotetica Costituzione europea un riferimento alle proprie radici giudaico-cristiane, mentre, in diverse occasioni, Benedetto XVI ha sottolineato durante il suo pontificato la comune radice religiosa dell’Europa.
 
Verso un’Europa post cristiana
A fronte di tutto ciò, nel marzo del 2018 il quotidiano britannico The Guardian è arrivato a parlare della nascita di un’Europa “non cristiana”, un’Europa secolarizzata, che si muove, cioè, verso una dimensione “post-cristiana”. Se per secolarizzazione si intende il processo attraverso cui la religione perde la sua influenza nelle  sfere della vita sociale, possiamo dire che le società europee stiano tendenzialmente orientandosi verso quella direzione, almeno prendendo in considerazione tre parametri fondamentali: 1) il sempre minor numero dei membri che partecipano attivamente alle funzioni e alle cerimonie; 2) la ridotta influenza sociale delle organizzazioni religiose sulle istituzioni politiche e sulla comunità; 3) il progressivo affievolirsi della religiosità in riferimento alla fede e ai valori che vengono affermati.
 
La caduta dei riferimenti religiosi e l’accentuata privatizzazione
Oggi, soprattutto a causa della “rottura antropologica” avvenuta negli anni Sessanta del secolo scorso, i riferimenti sociali che rimandano a principi cristiani sono in preoccupante diminuzione,  all’interno di sistemi sempre più complessi in cui la stessa cultura politica si è assottigliata così tanto da non contenere più quegli elementi valoriali che, per almeno un millennio, hanno caratterizzato le società europee. Questo processo di secolarizzazione porta con sé una sempre più accentuata privatizzazione del discorso religioso insieme ad una crescente condizione di iposocializzazione delle nuove generazioni, dovuta a una serie di difficoltà che attraversano i processi educativi di molti paesi occidentali: la disaffezione di nuove famiglie verso il compito della socializzazione religiosa dei bambini; le incertezze che accompagnano la socializzazione religiosa impartita attraverso l’insegnamento religioso nella scuola primaria (programmi, opzionalità, insegnanti); le ambivalenze che accompagnano l’iniziazione sacramentale nel contesto della catechesi parrocchiale (metamessaggi familiari controproducenti, indottrinamento, impreparazione dei catechisti); il  livello sempre più elevato di formazione che viene richiesto alle istituzioni religiose a cui, per molteplici fattori, non sempre vengono corrisposte soluzioni adeguate.
 
La crisi di credibilità e legittimazione dei valori cristiani in Europa
In definitiva, la categoria della complessità lascia intendere che il problema della “secolarizzazione” ha le sue radici profonde in una crisi di credibilità e legittimazione dei valori cristiani di cui l’Europa del futuro potrà conservare almeno gli elementi principali soltanto se riuscirà a farli convivere con quelli delle nuove religioni che stanno diffondendosi in modo sempre più pervasivo e capillare. Le concezioni religiose contemporanee non occupano più il luogo della cultura tradizionale e questo cambiamento rispetto al passato costituisce per esse la “sfida” decisiva del nostro tempo: tutti i sistemi dottrinali hanno, infatti, l’occasione di riscoprire e valorizzare nuovamente la propria autentica vocazione universalista, senza essere vincolati e riferiti solo ad una cultura in particolare. La ricerca di spiritualità può così permanere ed ampliare il proprio  spazio di inerenza, implementando un tipo di fede religiosa che si professa sempre più per scelta piuttosto che per eredità.
 
Ripensare il rapporto tra l’Europa e le religioni
Lasciarsi interpellare dal carattere a un tempo universale – in quanto dimensione costitutiva dell’umano – e distintiva – perché propria di percorsi storico-culturali specifici – di ogni esperienza religiosa, è il primo passo per ripensare il rapporto tra l’Europa e le religioni, obiettivo fondamentale per superare la crisi d’identità che ingessa le capacità progettuali di molte società europee. Occorre essere consapevoli di come una società realmente coesa e autenticamente democratica non possa essere mai un esito scontato, bensì un traguardo da costruire attraverso provvedimenti concreti che riguardano, ad esempio, l’educazione dei neo-arrivati al principio di laicità dello Stato, la responsabilizzazione dei leader religiosi e il loro coinvolgimento nel governo delle pratiche migratorie, la capacità di trasformare il pluralismo religioso dei contesti scolastici e di vita quotidiana in “palestra di cittadinanza”, la cura dell’anafalbetismo religioso per instaurare un confronto davvero “aperto” con chi proviene da altre tradizioni culturali. In questo modo, sarà possibile affrontare la sfida forse più impegnativa per la Chiesa del nostro tempo ovvero rivitalizzare le radici cristiane dell’Europa, riconoscendo la valenza pubblica della religione e il suo fondamentale contributo alla costruzione del bene comune di quanti credono e sperano nel futuro dell’umanità.
 
BIBLIOGRAFIA
Benedetto XVI (Ratzinger J.), L’Europa di Benedetto. Nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005.
Novalis, La cristianità ossia l’Europa, trad. it. di Ervino Pocar, Milano, 1991.
Roy O., L’Europa è ancora cristiana? Cosa resta delle nostre radici religiose, trad. it di Michele Zurlo, Feltrinelli, Milano 2019.
SITOGRAFIA
https://www.theguardian.com/world/2018/mar/21/christianity-non-christian-europe-young-people-survey-religion
https://www.lastampa.it/politica/2020/11/03/news/la-necessita-di-ripensare-il-rapporto-tra-europa-e-religione-1.39495817