IlC’è un grande assente nel dibattito pubblico sull’immigrazione, una assenza che non consente di andare alla radice dei problemi che connotano l’immigrazione in questo nostro tempo. È il tema della convivenza tra europei, italiani e immigrati. Come stiamo insieme noi e loro? Quale idea di società? Come tradurre il motto costitutivo dell’Unione Europea dell’unità nella diversità? Porre questo tema significa incedere in una divagazione intellettualistica? Riproporre in modo stucchevole il dibattito sulla crisi o meno del multiculturalismo? Niente affatto. Si tratta di un tema molto concreto e urgente che va affrontato per rispondere alle emergenze che stiamo vivendo.
Il “modello diffuso di accoglienza”
Il Governo e i Comuni italiani stanno affrontando l’emergenza rifugiati con quello che viene definito “modello diffuso di accoglienza”.
Si tratta di un’idea e una pratica molto importante che va molto sostenuta, valorizzata e discussa perché potenzialmente contiene un progetto di convivenza. Il modello diffuso accoglie in una comunità pochi nuovi venuti, li inserisce nei luoghi della vita quotidiana, costruisce con loro una relazione umana di conoscenza, di coinvolgimento nella cultura e regole del nostro Paese, di valorizzazione dei loro talenti in lavori utili alla comunità.
Nel modello diffuso di accoglienza c’è l’ingrediente fondamentale della convivenza: conoscersi e riconoscersi, lavorare insieme, scoprire di avere obiettivi comuni. Contiene l’idea di una società della mescolanza sostenibile.
Raccontare la convivenza diffusa
Il problema è che solo 2000 Comuni hanno accettato di misurarsi con tale progetto. Mancano all’appello seimila comuni. Come convincerli? Contano certamente gli incentivi economici ma conta soprattutto dimostrare che, con quei nuovi venuti, gli italiani non perdono la loro identità culturale, la comunità non viene deturpata, non si corre nessuna minaccia per la propria vita. Anzi, quelle persone nuove e diverse possono arricchire la vita della comunità ospitante. Come raccontano molte cronache di giornali locali che riferiscono dei successi ottenuti da tanti comuni anche piccoli. C’è un Italia della convivenza diffusa e sedimentata da tempo nei territori, nelle periferie delle città, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. Essa è rimasta nascosta e inascoltata. Bisogna raccontarla, farla conoscere, discuterla per capire cosa imparare da questi successi per definire una via italiana alla convivenza, un’idea di società plurale. Solo con la pedagogia dell’esperienza, solo con la forza dell’esempio, fatto conoscere, discusso in modo collettivo si potranno convincere i seimila comuni e mettere così le basi per un’Italia più sicura e serena. Non si può rimanere fermi al ritornello “sicurezza e solidarietà” che ripetiamo da vent ’anni. L’Italia è già interetnica e multiculturale.
Un’idea nuova di società
Bisogna tradurre questo dato di fatto in consapevolezza culturale, civica, politica, in un’idea nuova di società.
La scelta che dobbiamo compiere attraverso un dibattito pubblico è molto netta: ci accontentiamo di stare gli uni accanto agli altri, tribù separate che si ignorano, il cui problema è solo quello di non pestarsi i piedi? Oppure vogliamo fare la fatica del conoscersi e riconoscersi, definire un orizzonte comune di valori, imparare a risolvere insieme i problemi, a condividere i momenti di difficoltà e quelli di festa? Vogliamo coinvolgere in questo processo gli immigrati stessi, a partire da quelli che da molti anni sono qui con noi, e sarebbero ben contenti di non essere considerati solo forza lavoro ma cittadini che agiscono nella polis dotati di diritti e doveri verso la comunità? Vogliamo finalmente guardare in faccia “gli italiani senza cittadinanza” i figli dei migranti nati in Italia che non accetteranno l’integrazione subalterna che è stata riservata ai loro genitori e da loro accettata. Non vorranno sentirsi cittadini di serie B? Vogliamo approvare prima dello scadere della legislatura quella benedetta riforma della cittadinanza per cui questi giovani siano non solo italiani di fatto ama anche per legge? Vogliamo proporre l’educazione interculturale per tutti nelle scuole quale asse educativo fondamentale? Vogliamo imparare a praticare la mescolanza nei luoghi della vita quotidiana? Costruire la società della convivenza in modo consapevole e attraverso un dibattito condiviso valorizza le scelte importanti compiute dai Governi Letta, Renzi e ora confermate da Gentiloni, della stipula di accordi bilaterali con i paesi da cui provengono i flussi migratori perché l’Italia potrà esibire la sua capacità di integrazione, valorizza le politiche di cooperazione con i paesi del Mediterraneo e con l’Africa.
Una conferenza nazionale sull’immigrazione
Non si costruisce l’Italia della convivenza con il reato di immigrazione clandestina, con i Cie, con le norme repressive e inefficaci sulle espulsioni, con le norme sull’ingresso di lavoro che hanno fomentato la clandestinità contenute nella legislazione vigente, le norme della Bossi-Fini e della Berlusconi-Maroni. Per costruire una vera svolta nel governo dell’immigrazione, per costruire la società della convivenza è necessario costruire una nuova “legge quadro sull’immigrazione” e una legge organica sul diritto d’asilo. È una priorità non rinviabile. C’è un precedente da cui si può imparare qualcosa ed è la legge quadro dei governi dell’Ulivo che nel 1998 con coraggio e spirito innovatore aprì una nuova pagina. Durò poco perché prevalse lo spirito ideologico e la cultura repressiva del centrodestra che ci ha lasciato in eredità tanti problemi non risolti. Potrebbe essere utile da parte del Governo promuovere una Conferenza nazionale sull’immigrazione che veda la partecipazione dei tanti attori economici, sociali, culturali del volontariato, cittadini migranti. Potrebbe essere utile che Anci, Regioni, Governo promuovessero ogni anno un Forum sull’Italia della Convivenza, un luogo in cui si raccolgono, si illustrano e si discutono le buone pratiche della convivenza realizzate nei territori del nostro paese e anche in Europa. Per praticare la pedagogia dell’esperienza.
Un’idea di società, di Livia Turco, in “l’Unità” del 6 gennaio 2017