Il 5 dicembre al teatro Verdile dell’Istituto comprensivo Fidenae, a Roma Via don Giustino Maria Russolillo n.50, verrà presentato il testo: “Il mormorio di un vento leggero“.
Il tema dell’incontro verterà sull’animazione della vocazione oggi nella prospettiva della visione del beato don Giustino Maria Russolillo.
Interverranno alla tavola rotonda:
Mons. Domenico Sigalini Vescovo di Palestrina,
Don Antonio Coluccia, Opera don Giustino,
Suor Debora Aglietti, Animatrice vocazionale,
Prof. Roberto Romio, Docente di Progettazione didattica.
Modera:
Suor Alberta Onofri, docente di religione Fma
 
 
Cogliamo l’occasione per presentare questa interessante riflessione sulla crisi delle vocazioni in Francia che può aiutare il nostro dibattito.
 
Una Chiesa costretta a una dieta “povera di preti”
di René Poujol
E se la penuria di vocazioni sacerdotali obbligasse la Chiesa a porsi nuovamente alcune vere domande…
All’ordine del giorno della loro Assemblea plenaria di Lourdes, i vescovi francesi affrontano, in questo inizio di novembre, la spinosa questione delle vocazioni sacerdotali diocesane. Sappiamo che i preti stanno invecchiando, che i seminari sono quasi deserti e che di conseguenza il numero delle ordinazioni è in costante diminuzione: erano 140 nel 2014, 120 nel 2015, solo un centinaio nel 2016. Meno di un secolo fa, quello era il numero della sola diocesi di Rodez (Aveyron). Molte diocesi francesi, in particolare nel mondo rurale, si trovano di fronte alla prospettiva di restare, nel giro di dieci anni, con solo una ventina di preti con meno di 65 anni. La questione è tanto più spinosa in quanto ai legittimi interrogativi sul futuro delle comunità cristiane si aggiunge un problema insieme ideologico e teologico, due aspetti intimamente legati.
Le vocazioni sacerdotali come solo criterio di fecondità evangelica
Basta navigare sui siti internet integralisti, o semplicemente tradizionalisti, per leggere continuamente che la prova migliore del fallimento del Concilio Vaticano II sarebbe, insieme alla diminuzione della pratica religiosa, il crollo delle vocazioni nella vecchia Europa. In confronto, l’afflusso delle vocazioni sacerdotali in comunità come la Fraternità sacerdotale San Pio X (lefebvriani) sarebbe proprio la prova che lì si trova il futuro del cattolicesimo in Francia. Conseguentemente, non sarebbero né il dialogo con il mondo, caro al Concilio, né le aperture pastorali auspicate da papa Francesco a rappresentare “la strada giusta”, ma la sola fedeltà all’immutabile Tradizione.
Questo discorso è diventato talmente forte che paralizza la maggior parte dei vescovi, che siano o meno convinti della dimostrazione. Il 31 ottobre scorso, gli Scout d’Europa riunivano a Vézelay la loro branca di età più elevata: i rover. I responsabili del movimento avevano scelto, quest’anno, come invitato d’onore, il fervente cardinal Sarah. Della sua omelia, che bisogna leggere attentamente per il suo appello ai giovani a “ricostruire la cristianità” in una nuova crociata, nel contesto di un’Europa minacciata “di suicidarsi e di scomparire, eliminata da popoli più virili, più credenti e più fieri della loro identità…”, ripropongo solo questo passaggio: “So che il vostro movimento ha dato alla Chiesa molti preti diocesani, missionari, religiosi appartenenti a diverse congregazioni, e anche monaci. Quanti seminaristi e preti possono testimoniare che la loro vocazione è maturata in questa bella scuola di scoutismo, che allontana dall’egoismo e dalla pigrizia!”.
Il fatto è incontestabile. Tuttavia, è sufficiente per farci ritenere che il solo criterio di fecondità evangelica dei movimenti cattolici giovanili sia ormai quello delle statistiche vocazionali? Nell’ultimo numero della giovane rivista Limite (1), il sociologo Yann Raison du Cleuziou (2) fa notare come i cattolici – compresi i giovani – si dividano oggi in diverse categorie tra le quali quelle da lui definite degli osservanti e degli emancipati. In parole povere, e a rischio di farne una caricatura, gli Scout d’Europa si situerebbero ad esempio nella prima categoria. Du Cleuziou scrive a questo riguardo: “Oggi, benché minoritari, gli osservanti costituiscono il principale vivaio di reclutamento sacerdotale. Il seminario della Comunità Saint-Martin è quello che ha il maggior numero di entrate all’anno” (3). Gli Scout di Francia, invece, si situerebbero in maggioranza tra gli emancipati (nel senso di emancipati rispetto all’istituzione ecclesiale) e la loro generosità di cristiani si investirebbe di preferenza “nel mondo” piuttosto che nella struttura ecclesiastica. E il sociologo commenta, riferendosi a loro: “Se questi cattolici hanno così scarsa visibilità, è anche perché nessuno cerca di strumentalizzare il loro impegno nel rapporto di forze interno alla Chiesa, contrariamente a quanto accade per gli osservanti” (4).
Insomma: i giovani oggi non sono meno generosi di ieri, né in quella parte del cattolicesimo francese che continua a “dare preti alla Chiesa”, né in quella che sembra situare altrove il suo impegno. Ma chi riflette davvero su questo?
“Non è forse Dio che ha scelto di mandarci meno preti?”, Mons. Eychenne
È in questo contesto che bisogna situare, a Lourdes, l’intervento vigoroso del vescovo di Pamier, Mons. Eychenne: “Non è forse Dio che ha scelto di mandarci meno preti?”. La crisi delle vocazioni non sarebbe quindi da interpretare innanzitutto in termini di indebolimento della fede. Il problema sarebbe piuttosto da cercare dal lato della missione specifica del prete riguardo all’animazione delle comunità, e come le comunità percepiscono se stesse in questo inizio di millennio.
Osiamo esprimere questa provocazione: quando dei giovani “osservanti” si propongono per il sacerdozio, è solo per rispondere liberamente e generosamente ad un appello di Cristo o anche per perennizzare il tipo di Chiesa in cui sono cresciuti e a cui restano culturalmente legati? Quando dei giovani “emancipati” non scelgono, per sé, l’ipotesi del sacerdozio, è per mancanza di fede e di generosità o per manifestare – coscientemente o meno – che ai loro occhi le comunità cristiane devono organizzarsi in maniera diversa da quella della loro infanzia, attorno all’immagine tradizionale del prete?
È il prete o è la comunità che fa la Chiesa?
Dietro alla frase di Mons. Eychenne, si nasconde quindi un dibattito ecclesiologico essenziale, che viene generalmente occultato, tanto è esplosivo. Lo si potrebbe riassumere con una semplice domanda: dov’è la Chiesa? Per alcuni, la Chiesa è lì dov’è il prete, ed è per questo che bisognerebbe continuamente estendere il perimetro delle parrocchie, in funzione dei preti disponibili. Per altri, la Chiesa si situa, proprio secondo le parole di Cristo, là dove “più persone sono riunite in mio nome” (5). Di conseguenza, il tema dei raggruppamenti parrocchiali è secondario. L’importante è mandare i fedeli a messa nella città più vicina… o rendere visibile l’esistenza della comunità cristiana, nel suo piccolo paese (o quartiere, o sobborgo…), nel suo riunirsi alla domenica attorno alla Parola di Dio, anche senza celebrare la messa, per mancanza di preti? (6)
Mons. Albert Rouet aveva cercato di mettere in atto questa seconda ipotesi nella sua diocesi di Poitiers. Scriveva nel 2009, nello stesso spirito delle parole di Mons. Eychenne oggi: “Abbiamo pregato a non finire per le vocazioni e Dio sembra indicarci altre piste, aprire altre porte” (7). Questa intuizione non è mai stata ripresa in nessun’altra diocesi di Francia e non è sopravvissuta al ritiro in pensione di Mons. Rouet. La decisione recente di Mons. Bestion, vescovo di Tulle, di riorganizzare la sua diocesi che, tra sette anni, rimarrà ormai con solo dieci preti di meno di 75 anni, potrebbe rilanciare la riflessione. Parlando dei suoi preti, riuniti in quattro comunità sparse sul territorio diocesano, dichiara: “Si tratterà di un ministero itinerante, come quello dei missionari nelle giovani Chiesa d’Africa, d’Asia o d’America Latina. Ogni parroco potrà passare diversi giorni in una comunità locale”. Altre diocesi rurali stanno facendo un sinodo, come quello di Rodez, dove Mons. François Fonlupt confida di aver seppellito un terzo dei suoi preti dal suo arrivo, cinque anni fa. Quali orientamenti saranno presi riguardo al problema del prete e della sua vocazione specifica? Il problema centrale: dare al prete il suo giusto posto
Siamo chiari: non intendo invitare ad una forma qualsiasi di rassegnazione di fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali, né evidentemente di rimettere in discussione la specificità del sacerdozio ministeriale né la sua necessità. Intendo formulare, pubblicamente, una domanda divenuta imprescindibile e finora occultata. Il posto centrale del prete che segna ancora l’organizzazione della Chiesa, dalla base ai vertici, è la risposta pertinente – e legittima – alle sfide del millennio nei nostri paesi di vecchia cristianità?
Nello stesso libro, Mons. Rouet scriveva ancora: “L’eucaristia è stata utilizzata per promuovere il clero…” (8). Conosciamo bene oggi la propensione di ogni persona, di ogni corpo, a situarsi spontaneamente al centro di una organizzazione, dal momento in cui gli si domanda di pensarla. Quello che è vero per i laureati dell’ENA (Ecole Nationale d’Administration) nella funzione pubblica ai più alti livelli, lo è anche per il clero nella Chiesa. Il fatto che la teologia sia stata per molto tempo “una faccenda di preti” non poteva che portare ad una ecclesiologia che magnificava il ruolo del prete. “Noi avremo presto molti laici con una preparazione di livello superiore a quello dei preti, che quindi non accetteranno che si dicano loro sciocchezze…” (9), scriveva ancora l’arcivescovo di Poitiers. Ecco il punto. E i laici non chiedono tanto il “potere” nella Chiesa – anche se la tentazione del clericalismo non sempre li risparmia – quanto una giusta attuazione del sacerdozio comune dei battezzati rimesso in auge dal Vaticano II. E da questo deriverebbe una percezione più giusta del ministero del prete e senza dubbio una più giusta valutazione di quella che si continua a definire la “penuria di vocazioni”. In una delle sue opere, frate André Gouzes, che ha riportato in vita l’abbazia di Sylvanès, scrive: “Non sono i preti che mancano alla Chiesa di oggi, ma uomini e donne capaci di assumere questo risveglio, di aprire il mondo a Dio, prima di cercare di rivelare Dio al mondo”.(10)
Quando l’ossessione del clero paralizza la Chiesa
Si tratta di una rivoluzione copernicana. Non vorrei ossessionare il lettore, ma illustrare quanto questa sensazione di “mancanza” (di preti) irrigidisca oggi la Chiesa nei suoi comportamenti. È per “dare preti alla Chiesa” che ci si fissa su una certa visione della famiglia cristiana, persuasi che solo le famiglie numerose sappiano far maturare vocazioni (11); con lo stesso obiettivo si “riserva” in certe parrocchie il ruolo di chierichetto ai soli maschi; la stessa visione porta a guardare con particolare benevolenza le comunità nuove e i movimenti “ricchi di vocazioni” (12) e a chiudere gli occhi sui criteri di discernimento di certi candidati al sacerdozio, col rischio di vedersi moltiplicare gli scandali di pedofilia e le derive settarie… È solo perché conta alcune centinaia di preti (e tre o quattro vescovi) che lo scisma lefebvriano monopolizza l’attenzione di Roma, mentre lo scisma sommerso di milioni di fedeli è interpretato semplicemente in termini di apostasia. Come se la Chiesa fosse “un corpo di chierici circondato da laici” (13). E potremmo continuare a lungo.
E, per quanto riguarda la Francia, è la stessa angoscia di “mancanza” che paralizza i nostri vescovi. con un di più di sfida che bisogna definire ideologico nel senso nobile del termine. Per molti di loro, ricreare una dinamica di vocazioni sacerdotali nella loro diocesi, sarebbe il solo modo di sfuggire alla “colonizzazione” di un giovane clero neo-classico proveniente da nuovi movimenti (14). Giovani preti che, come i laureati delle scuole di commercio, si sentono lusingati da ciò che dicono loro alcuni preti sostenitori di questa “linea”: che costituiscono l’élite e il futuro della nostra Chiesa, così come, in ambito economico, altri giovani ritengono di essere il futuro dell’azienda. Questo rapporto di forze, reale, sembra nascondere una realtà che potrebbe, domani, rivelarsi un boomerang. Infatti, questo neoclericalismo trionfa solo in quelle comunità parrocchiali che condividono questa visione di Chiesa. Nel 1977, lo storico Jean Delumeau scriveva: “Il cristianesimo ora non può più essere che un cristianesimo popolare, da cui il clericalismo, sotto tutte le sue forme, sarà escluso” (15). La tentazione di “presa del potere” di quel clero molto particolare, convinto di aver ricevuto dal Cielo la missione di “ricostruire la Chiesa”, una Chiesa che ritengono devastata da coloro che li hanno preceduti, potrebbe scontrarsi con un laicato deciso a non lasciarsi prendere per il naso… e teologicamente attrezzato per farlo!
Senza essere totalmente paranoico, non minimizzo il fatto che, a questo punto del mio discorso, molti lettori possano sentirsi scandalizzati, molti preti feriti, mentre io ho per loro la più fraterna ammirazione. Ma è possibile dire qui, da semplice laico, che il loro sacerdozio non appartiene loro e che è il bene più prezioso della Chiesa?
Note

  1. Parlerò (in un prossimo articolo sul blog) di questa rivista, venduta in libreria e per abbonamento.
  2. Si deve a lui uno studio appassionante: Yann Raison du Cleuziou, Qui sont les catholiques aujourd’hui?, Ed. DDB 2015
  3. Rivista Limite, n° 4, p. 46
  4. ibid p. 49
  5. D’altronde il paradosso è trovare la più forte reticenza a questo approccio proprio tra coloro che sostengono una visione della famiglia cristiana come “Chiesa domestica”.
  6. Oggi, nel mondo del commercio, sembra di notare un ritorno, dai grandi ipermercati di
    periferia verso i piccoli negozi e i circuiti di distribuzione brevi. La Chiesa potrebbe
    prendere ispirazione da questo.
  7. ibid p. 262
  8. Albert Rouet, J’aimerais vous dire, Bayard 2009, p. 109
  9. ibid p. 217
  10. André Gouze, Une église condamnée à renaître, Ed. Saint-Augustin, p. 119
  11. Potrei citare qui i prelati romani che mi hanno fatto questo discorso durante tutta la mia carriera di direttore di giornale cattolico
  12. Una delle ragioni della benevolenza di Giovanni Paolo II per i Legionari di Cristo si basava,oltre che sula loro influenza sui giovani e sui mezzi fianziari che potevano mettere a disposizione del papa (e che sono serviti a sostenere Solidarnosc), sul numero di giovani preti dati alla Chiesa… tra i quali si nota oggi il più forte tasso di riduzione allo stato laicale.
  13. Mons. Albert Rouet, ibid p. 250
  14. Per essere ancor più completi, bisognerebbe inserire qui un paragrafo sul numero di
    presbiteri diocesani occupati da “preti venuti da fuori” (preti africani, o anche polacchi o
    portoghesi…), la cui inculturazione non è scontata. Ma non volevo allungare troppo…
  15. Jeam Delumeau, Le christianisme va-t-il mourir? Hachette 1977, Livre di Poche, Collection Pluriel, p. 121

in “www.renepoujol.fr” del 6 novembre 2016