“Una speranza ostinata”: un libro sull’esperienza della deportazione – di Max Mannheimer
La sveltezza e la grazia del testo, scritto negli anni Sessanta ma tradotto solo adesso in italiano (e pubblicato da Add Editore), sono probabilmente una conseguenza della sua genesi particolare. Nel dicembre 1964 Mannheimer viene ricoverato in un ospedale per un intervento alla mascella. Il referto istologico gli viene consegnato in ritardo e lui si convince di essere prossimo alla fine. Freneticamente butta giù il diario della propria giovinezza e della prigionia per consegnarlo in tempo alla figlia Eva, alla quale non ha mai avuto la forza di raccontare. In questo senso, Una speranza ostinata è il doppio speculare di un altro ricordo della Shoah apparso di recente: E tu non sei tornato (Bollati Boringhieri), la lettera commovente che Marceline Loridan-Ivens ha indirizzato al padre perso nello stesso campo di concentramento. Sono gli ultimi dispacci da un mondo, quello dei sopravvissuti, che è in procinto di scomparire. Un nuovo passaggio cruciale della Shoah: l’inizio del tempo infinito senza testimoni diretti, un tempo insidioso nel quale l’atto di tramandare diverrà sempre più faticoso.