Siamo diventati quasi tutti bravi a usare la DAD. Abbiamo imparato a connetterci, a organizzare gruppi, a fare lezione, ad assegnare compiti ma, ora, è anche il periodo dell’anno scolastico in cui valutare gli alunni.
Dopo aver posto domande, espresso dubbi e incertezze il Ministero ha comunicato alle scuole che in fase di conversione del D.L. 18/2020 il Senato ha introdotto l’articolo 87, comma 3-ter, che attribuisce alla valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti oggetto dell’attività didattica svolta in presenza o svolta a distanza – per l’anno scolastico 2019/2020 – gli stessi effetti di quella normalmente prevista dal d.lgs. 62/2017, per le scuole del primo ciclo, e dal D.P.R. 122/2009, per la scuola secondaria di secondo grado. Si è acceso un vivace quanto inevitabile dibattito.
 
“L’alternativa pedagogica”
Antonio Gramsci, in un suo famoso testo, “L’alternativa pedagogica”, scrive che se la scuola è luogo di educazione e di sapere, “la cultura non è il sapere enciclopedico che serve solo a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore…La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri… L’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica […]”.
Parole che fanno riflettere, ancor più al tempo della DAD, un tempo in cui la pandemia ha comportato sacrifici ma anche nuove e profonde comprensioni nei nostri ragazzi che sono cresciuti adattandosi a un altro sistema di vita e di quotidianità. Se tanti adulti hanno espresso proteste e insofferenze, loro, silenziosamente hanno accettato le regole, adattandosi.
Senza addentrarci nel merito delle teorie costruttiviste o contestualiste, lo sviluppo dell’intelligenza è anche adattamento. Così c’è da chiedersi: è pensabile misurare quantitativamente tutto ciò?
Tutto è cambiato in tempo di pandemia, in poche settimane abbiamo rivoluzionato un sistema didattico che sembrava inamovibile da almeno cinquant’anni, ma la valutazione pare debba continuare con le stesse modalità, a dimostrazione del fatto che resta una questione ancora più complessa di tutte le altre.
Non riusciamo proprio a pensare ad altre vie, non certo per mancanza di bravura ma perché resta il nodo di tutta la filiera (termine che rubo dal lessico imperante di questi giorni).
Questa pratica suscita timori e incertezze persino nel ministero e così si resta vaghi o arroccati ai vecchi sistemi della cui efficacia abbiamo finito per convincerci. Ma non è solo questo a preoccuparmi.
Temo la deriva tecnicistica e clinica della scuola che, luogo per eccellenza educativo, va trasformandosi in luogo di diagnosi e disturbi da una parte, mentre dall’altra frequentemente si somministrano test per valutare risultati che solitamente sono standardizzati (ma non si somministrano i farmaci?).
Temo più che mai una valutazione che si tramuta in giudizio sulla persona, la quale, se non risponde con efficacia ai test somministrati, viene definita non adeguata agli standard attesi, alle prestazioni.
 
Ma quali sono gli standard? Chi li decide? In quanto tempo devono essere raggiunti?
Parliamo di persone o di esseri robotizzati? Si rischia il trionfo dell’istruzionismo nella scuola, a scapito dell’Educazione e della Formazione.
Quanto sono importanti le parole! Quanto potere evocativo in ciascuna di esse! Anche per questo è sempre interessante la conoscenza delle etimologie. Per esempio in tempo di DAD siamo soliti condividere. Parola che ci fa sentire a posto con la coscienza. Che cosa condividiamo? File, appunti, ricerche, esercizi. Bene. Ma condividere significa letteralmente “dividere con qualcuno” e “quando si condivide in rete è il contrario di dividere con qualcuno. Quando condividiamo in realtà fotocopiamo, mandiamo a uno o a mille contatti qualcosa di nostro, senza privarci di niente. La condivisione del web è in realtà una moltiplicazione che non fa i conti con nessuna sottrazione […]. Dove non v’è rinuncia e dove non c’è bisogno di interpellare l’altro, il cum quanto il dividere sono falsi” (Marco Balzano, 2019).
Immagino i maestri della scholè greca a vederci oggi: arriccerebbero il naso, si chiederebbero dov’è finita la scuola, quella scuola da loro considerata luogo del gioco, del divertimento, della creatività, perché nella scholè greca l’obiettivo era la formazione globale dell’individuo attraverso la lettura, la scrittura, la memorizzazione, la musica, il movimento e tanto altro.
La DAD è molto lontana da questa concezione e oggi, a mio parere, rappresenta soltanto l’alternativa emergenziale per garantire il diritto all’istruzione ai nostri studenti.
Ma nel caso si prospettasse l’idea di dover ancora continuare per questa via, ritengo che sarebbe necessario studiare i modi per renderlo un apparato fruibile a tutti ma, soprattutto umanizzato.
Riccardo Massa, insigne pedagogista, scrive: “Le tecnologie didattiche sarebbero molto utili ed efficaci, qualora se ne sviluppassero le implicazioni pedagogiche […]. La didattica pretende di far precipitare sulla scuola una tecnologia troppo debole e velleitaria, che si illude di rendere scientifiche le pratiche educative trascurando le condizioni sociali e affettive dell’insegnamento […]”. D’altra parte, aggiunge: “La polemica antitecnologica occulta sia la fallacia didattica sia gli effetti perversi dei dispositivi pedagogici tradizionali” (R. Massa, 2017).
Non si tratta dunque di esaltare i benefici della scuola del prima, né dell’attuale DAD. La pandemia ci costringe a un necessario cambiamento e, si sa, i cambiamenti non s’improvvisano. Il progresso della nostra civiltà dovrà essere ben altro. La trasformazione verso la quale ci stiamo avviando, esige un altro modo di pensare, di vedere, di osservare, di agire, di ascoltare, di sentire, di toccare. Insomma, l’attenzione al mondo sensibile. Uno schermo non lo permette, per quanto coinvolgente possa essere la lezione.
 
Intanto, ci viene chieste di valutare
C’è da augurarsi che le nostre scuole possano riaprire al più presto i battenti, garantendo sicurezza bio-psico-sociale, perché loro, i nostri alunni, desiderano tornare a scuola. Ne sono stupiti essi stessi e ne indoviniamo le ragioni. Essa è dialogo, è incontro, è contatto, è comunicazione, è umanità.
Così, prima di procedere alla valutazione, suggerirei agli adulti coinvolti di procedere con una pedagogia della domanda (P. Freire, 2004) tanto utile quanto necessaria per avviarsi verso un buon cambiamento e l’utilizzo di una griglia per le risposte, sulla quale ragionare.
Ho assicurato agli studenti le condizioni necessarie per imparare? Sono consapevole che mi sono infiltrata/o nelle loro case? che qualcuno ha provato imbarazzo per i suoi 35 metri quadri di appartamento? Ho cercato di cogliere emozioni, preoccupazioni, ansie o noia o situazioni di conflitto intrafamiliari? Ho chiesto loro che cosa provano in questa emergenza? Li ho resi protagonisti di un percorso? E via dicendo.
 
Vediamo che cosa scrivono “i valutati”
si tratta di pochi flash ma garantisco che varrebbe la pena leggerne tanti.
Non pensavo, non l’avrei mai detto, ma mi manca molto la scuola, mi mancano i miei amici, i miei parenti e mi manca persino prendere il pullman.
…Stare chiusa in casa mi aiuta a rendermi conto di molte realtà…
Ho capito di aver bisogno di socializzare, di rapportarmi con le persone, chiunque siano, instaurare un rapporto e averci un confronto …
È difficile gestire i compiti perché volendo o no sono tutti accumulati, si fanno interrogazioni/verifiche e bisogna saper gestire anche lo studio senza avere una spiegazione “valida” come a scuola…. non si sta 6/8 ore a scuola a fare lezioni consecutive, ci si può alzare anche 20/15 minuti prima dell’inizio della video lezione, non bisogna vestirsi o truccarsi. Si fanno poche ore e poi si può ritornare a fare la propria routine senza problemi. Penso sia soltanto questo ciò che c’è di positivo.
Del resto, bisogna essere forti e riuscire a superare l’anno senza alcun debito così appena rientriamo a scuola recuperiamo.
Ecco, queste ultime parole sembrano offrire la soluzione per la valutazione, semplice e coerente. Proviamo a farcela, dicono, per non avere debiti e ritornare a scuola e recuperare…in presenza. Non perché non si sia fatta lezione, anzi, i docenti hanno lavorato molto di più che in presenza! Ma uno schermo non potrà mai sostituire la bellezza di volti e sguardi attraverso i quali passa la comunicazione.
Allora, ripeto, come scrisse Antonio Gramsci, se la scuola è luogo di educazione e di sapere, ricordiamoci che “la cultura non è il sapere enciclopedico che serve solo a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore…La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri… L’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica […”].
 
È pensabile, ripeto, misurare quantitativamente tutto ciò?
Se valutazione ci dovrà essere, come è stato richiesto, adottiamo altre vie ma non quella sommativa che andrebbe a misurare aridamente dei contenuti che gli alunni, pur avendo tentato di memorizzare nonostante la dis-concentrazione, internet ballerino, connessioni incerte, fratellini rumorosi e aspirapolvere di casa, non hanno assimilato.
…io inizialmente ho fatto un po’ fatica ad adattarmi, perché ho dovuto utilizzare nuovi strumenti che prima non usavo, e inoltre mi è difficile stare tante ore davanti a uno schermo.
Personalmente trovo più efficace l’insegnamento svolto fisicamente nei banchi di scuola, perché è più facile rimanere concentrati.
Riguardo allo studio invece, un aspetto per me negativo è che ho una famiglia numerosa e stando tutti a casa è più facile sconcentrarsi…
Infine, ma non ultimo, ricordiamoci che l’azione del valutare rientra in un processo dinamico di insegnamento-apprendimento, utile al docente a ritarare eventualmente il percorso stesso, vale a dire che una valutazione riguarda anche l’efficacia degli strumenti messi a disposizione degli alunni e delle metodologie didattiche utilizzate.
E la DAD non è stata semplice per nessuno se non per pochi insegnanti “tecnologici”.
Credo che la valutazione debba essere necessariamente formativa, evitando di concentrarsi sui risultati del primo quadrimestre, visto che i processi cognitivi sono soggetti a naturale evoluzione che richiedono un tempo flessibile, rispettoso dei ritmi di apprendimento di ciascun alunno. E ancora, rendiamo protagonisti gli studenti attraverso un legittimo percorso di autovalutazione.
Certo è che se si potesse abolire il voto, almeno in questa circostanza e in attesa di studi pedagogici accurati, sarebbe la scelta più adeguata, per intraprendere la strada che conduce verso un orizzonte di senso, educativo.
di Luisa PIarulli, Orizzonte scuola, 5 maggio 2020