In questo articolo vorrei presentare l’ICF, un importante modello diagnostico elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che in molti paesi è da tempo alla base degli interventi a favore dei soggetti in condizione di disabilità e che negli ultimi anni è stato progressivamente recepito anche in Italia, soprattutto in ambito scolastico.

La recente normativa italiana in materia di integrazione e inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali (BES) indica, infatti, l’ICF come modello diagnostico cui far riferimento nella progettazione di azioni educative che rispondano ai bisogni di valorizzazione e inclusione sociale delle persone con disabilità1.

Per capire di cosa si tratta e la svolta che questo strumento rappresenta nella considerazione della disabilità e delle possibilità di intervento, inizierò con una breve esposizione degli strumenti di classificazione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo a punto a partire dalla seconda metà del secolo scorso per operare in questo ambito.

ICD e ICIDH: dall’analisi della causa delle malattie, allo studio delle conseguenze della malattia nella vita quotidiana delle persone

Il primo strumento di classificazione elaborato dall’OMS prende il nome di “Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD) e risale al 1970. Questo strumento viene impiegato per l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.

In concreto, questo strumento risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche e una traduzione in codici numerici che ne rende possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.

Questo strumento, molto utile in fase di diagnosi, durante la sperimentazione ha evidenziato un grande limite: quello di non prevedere le conseguenze delle malattie o dei fenomeni ad esse connessi, tanto che già nel 1976 si avverte la necessità di provvedere all’integrazione di questo strumento con un’altra forma di classificazione da usare in maniera complementare2.

Nel 1980 viene elaborata la “Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980), con lo scopo di focalizzare l’attenzione sulle conseguenze delle patologie oltre che sulle cause che le determinano. L’ICIDH non parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente, la cui influenza assume quindi un ruolo di primaria importanza nel determinare lo stato di salute /malattia di una persona.

Immagine 1: ICD e ICIDH a confronto

ICD: eziologia   –   patologia  –  manifestazione clinica

ICIDH: malattia o disturbo —  menomazioni  –  disabilità  –  handicap

 

Nella logica dell’ICIDH le conseguenze delle malattie non sono riconducibili a una sola dimensione di valutazione, ma vanno collocate all’interno di uno scenario più complesso.
Le conseguenze della malattia sono il risultato di una sequenza di eventi legati da una logica causale lineare e progressiva nella quale troviamo tre componenti fondamentali:

  • la menomazione, come danno organico e/o funzionale;

  • la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;

  • lo svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione.

Il termine handicap è di origine anglosassone e indica la condizione di svantaggio sociale, ovvero una difficoltà nello svolgere i ruoli e acquisire beni e risorse necessari, che può derivare alla persona dal fatto di trovarsi in condizione di disabilità. Questo termine con il tempo ha assunto una valenza negativa, ma nell’accezione originaria serviva a mettere in evidenza in modo forte la rilevanza sociale della disabilità, il suo impatto sulle opportunità di vita della persona e l’importanza di legare la condizione individuale di salute alla tutela dei diritti di cittadinanza, divenendo parte fondante della legislazione di molti paesi, tra cui l’Italia3.

Dall’ICIDH all’ICF: dalla diagnosi di malattia alla valutazione del funzionamento

L’ICIDH costituisce una tappa importante nel processo di progressivo affinamento degli strumenti di valutazione di salute e disabilità. Nel corso del tempo questo strumento è stato sottoposto a un processo di revisione, anche a causa di numerose critiche sollevate da parte di studiosi e associazioni delle persone con disabilità. Tali critiche puntano il dito soprattutto contro l’unidirezionalità delle relazioni di causa ed effetto che emergono dal modello e che legano malattia, menomazione, disabilità e handicap in modo tale da far pensare che sia comunque la malattia l’elemento chiave per la comprensione dello stato di salute. In realtà le conseguenze delle malattie possono essere molto diverse a parità di diagnosi e soprattutto possono, in relazione a interventi sanitari e sociali orientati alla riabilitazione e recupero funzionale della persona, avere un impatto meno pesante sulla vita della persona.

Da questo processo di revisione dell’ICIDH l’OMS ha elaborato un ulteriore strumento di classificazione: La Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità (ICIDH-2, 1999) che rappresenta l’embrione del modello concettuale che sarà sviluppato nell’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: La Classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute (ICF, 2001).

La nuova classificazione riflette la necessità di superare il modello basato sulle «conseguenze della malattia» e di mettere al centro della valutazione della condizione di salute il lato positivo, attivo ovvero il funzionamento, che, per definizione, è una dimensione universale, valutabile per ogni essere umano e non solo per le persone con disabilità.

L’ICF ha dunque come scopo quello di descrivere nel modo più dettagliato possibile le funzioni, le abilità e le capacità che comunque caratterizzano qualsiasi persona. Uno strumento fondamentale per il corretto utilizzo dell’ICF è il manuale ICF – CY, pubblicato dalla Erickson e redatto dall’OMS, all’interno del quale troviamo in maniera dettagliata tutti gli aspetti relativi al funzionamento di una persona e le modalità per classificarli.

ICF come modello bio-psico-sociale

Il funzionamento può essere compreso e descritto solo a partire da tre imprescindibili «chiavi di lettura» dell’esperienza umana, ovvero:

  1. il corpo con le sue funzioni e strutture (l’essere un corpo)

  2. le attività intenzionali e le forme di partecipazione sociale (l’avere un corpo)

  3. il collocarsi di ogni persona all’interno di un contesto naturale, costruito e sociale (l’ambiente).

Il funzionamento è quindi il risultato di un’interazione tra diverse componenti, fisiche, psichiche e sociali che si influenzano reciprocamente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da tempo sostenuto che la salute non può essere concepita come semplice assenza di malattia, ma va pensata e soprattutto perseguita come globale benessere bio-psico-sociale e cioè piena realizzazione del proprio potenziale nei vari contesti di vita.

La malattia ha sicuramente un ruolo e un’influenza sul funzionamento, ma non necessariamente un’influenza determinante, dal momento che un ambiente favorevole può modificare lo scenario di funzionamento in modo radicale a parità di altre condizioni.
La vita delle persone, anche quando gravemente compromessa da un cattivo stato di salute, rimanda sempre ad un’appartenenza sociale e a una rete di relazioni. Una vita sociale attiva può così contrastare o limitare la compromissione di funzioni o strutture corporee ma anche modificare l’evoluzione di alcune malattie ed è per questo che ICF, oltre a introdurre in modo esplicito la valutazione del coinvolgimento della persona nella vita sociale, dedica sezioni specifiche alla partecipazione al mondo del lavoro e della scuola, valorizzando il ruolo di cittadini delle persone con disabilità.

A tal proposito, è di estremo interesse sottolineare che la definizione di funzionamento e disabilità così come proposto dall’ICF sono entrate a far parte del testo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. approvata nel dicembre del 2006, sottoscritta dall’Italia nella primavera del 2007 e ad oggi firmata da quasi la metà dei paesi del mondo.

All’articolo 1, la Convenzione indica che le persone con disabilità sono coloro che hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con diverse barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.

L’ICF afferma il principio secondo il quale nessuna valutazione del funzionamento è corretta se non specifica il contesto ambientale della persona, in quanto la disabilità non è una caratteristica della persona, ma il risultato di un’interazione tra una certa condizione di salute e un ambiente sfavorevole.

L’ambiente nella sua triplice dimensione, sociale, architettonica e naturale, assume quindi un ruolo di fondamentale importanza per la valutazione del funzionamento delle strutture corporee sia in quanto può fungere sia da barriera, che da risorsa facilitante nei processi di socializzazione e integrazione della persona con disabilità ( in termini molto concreti, quando per esempio si chiede se una persona è in grado di usare il bagno in modo autonomo, dobbiamo certo guardare alle funzioni del suo corpo, ma anche chiederci in relazione a quale “bagno” esprimiamo il nostro giudizio. Spesso infatti la presenza o l’assenza di semplici ausili possono aumentare o, viceversa, diminuire notevolmente la capacità di azione del soggetto nel contesto di vita).

Utilizzo dell’ICF in ambito scolastico

Nell’ambito educativo il contesto più direttamente coinvolto è quello dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, sia attraverso la ridefinizione del Piano educativo individualizzato, sia attraverso la strutturazione di nuove modalità di collaborazione con gli operatori dei servizi sanitari che devono costruire la diagnosi funzionale dell’alunno con disabilità. L’ICF si rivela essere un valido strumento per la realizzazione di interventi educativi realmente inclusivi, in quanto aiuta a recuperare la valenza ontologica della persona in quanto essere umano e la consapevolezza che i bisogni educativi speciali delle persone con disabilità non sono tali perché differenti dagli altri, ma in quanto richiedono di pensare e organizzare in modo diverso le prassi educative per rispondere a queste necessità. In quest’ottica l’ICF aiuta a realizzare il processo educativo di integrazione e inclusione come momento di valorizzazione della ricchezza umana, sotto la guida di un pensare speciale che accompagna e il percorso di vita della persona.

Affinché ciò sia concretamente realizzabile, l’assetto normativo italiano scolastico4 prevede alcuni strumenti operativi ai quali è possibile applicare il modello e il linguaggio ICF:

  • la Scheda di Segnalazione del bambino in situazione di difficoltà da parte della scuola ai Servizi socio-sanitari,

  • la Diagnosi Funzionale (DF),

  • il Profilo Dinamico Funzionale (PDF),

  • il Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Scheda di segnalazione del bambino

Il primo documento, previsto dal percorso di integrazione scolastica degli alunni con disabilità delineato dalla Legge 104/92, è denominato Scheda di Segnalazione ed è possibile compilarlo «per gli alunni che evidenziano gravi difficoltà di apprendimento e/o relazione in corso di frequenza scolastica; il Dirigente Scolastico tramite la famiglia invia al competente Servizio socio-sanitario apposita segnalazione, che prevede il consenso iniziale della famiglia stessa». La segnalazione si configura come inizio delle procedure previste dal D.P.R. 24/2/94, art. 2.
Il Servizio, effettuata la valutazione diagnostica, clinica e funzionale, dà risposta mediante:

  • rilascio della certificazione per gli alunni in situazione di disabilità;

  • oppure rilascio di una relazione, che non produce effetti amministrativi ma consente alla scuola di meglio programmare ed attuare gli interventi didattico-educativi, comprendente una descrizione delle difficoltà riscontrate e delle potenzialità del soggetto esaminato, per gli alunni non riconosciuti in situazione di handicap.»

La classificazione ICF, e la versione adattata ICF-CY in modo particolare, fornisce i presupposti teorici e soprattutto il linguaggio funzionale alle finalità dei documenti per l’integrazione scolastica e si presenta come strumento valido a superare le criticità che caratterizzano tale processo. L’ICF, infatti, si presenta come uno strumento unico e globale che descrive il funzionamento umano nella sua totalità, dando la stessa importanza alle diverse componenti che influenzano la salute (funzioni corporee, strutture corporee, attività e partecipazione, fattori ambientali); permette, pertanto, di sintetizzare le informazioni raccolte dalle valutazioni e dalle osservazioni svolte nei vari contesti di vita della persona dagli operatori dei diversi servizi e dalla famiglia nella prospettiva di costruire un progetto di vita della persona con disabilità completo e reale, mediante un linguaggio condiviso e comprensibile a tutti gli «attori» del percorso di inclusione scolastica del minore con disabilità.

Diagnosi funzionale

La Diagnosi Funzionale viene introdotta in Italia dalla Legge Quadro n° 104 del 5 febbraio 1992 – Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate – che stabilisce le modalità di individuazione dell’alunno come persona handicappata: «Per diagnosi funzionale si intende la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell’alunno in situazione di handicap» (D.P.R. 24/2794).
La Diagnosi Funzionale diventa quindi il documento che delinea le modalità di funzionamento del soggetto in situazione di disabilità e che sintetizza queste informazioni all’interno di un quadro funzionale che consente di comprendere l’impatto della patologia riscontrata al momento della valutazione.
La Legge Quadro affida alle Unità Sanitarie Locali il compito di provvedere alla stesura del documento: ciò avviene solitamente mediante l’apporto di una equipe Multidisciplinare formata dal medico specialista nella patologia assegnata, dal medico specialista in neuropsichiatria infantile, dallo psicologo, dai terapisti della riabilitazione e dagli operatori sociali in servizio presso l’U.L.S.S. o in regime di convenzione con la medesima.
La Diagnosi Funzionale è uno strumento conoscitivo, richiede quindi l’intervento di più professionisti che siano in grado di descrivere ad un’Equipe pedagogica l’insieme delle disabilità determinate dalla menomazione o indotte da modelli ed atteggiamenti culturali e sociali e il quadro delle capacità del soggetto.
Lo scopo di tale strumento è favorire la valutazione funzionale della persona in ogni sua competenza a partire dalla sua disabilità, inserita nel proprio contesto di vita: solo in tal modo è possibile definire un vero progetto di intervento.

Intervenire sulla disabilità significa agire sulle potenzialità che favoriscono l’attività e la partecipazione della persona nel suo contesto di vita, riducendo di volta in volta i fattori che le limitano
La diagnosi diventa, dunque, veramente funzionale ai processi di apprendimento, di relazione, di inclusione sociale che si sviluppano nel tempo in correlazione con le situazioni di vita familiare, comunitaria, scolastica e sociale, quando descrive il bambino in ogni suo ambito, non solo in relazione alle difficoltà personali e ambientali, ma anche ai punti di forza fondamentali per definire poi un Profilo Dinamico Funzionale e Piano Educativo Individualizzato utili all’elaborazione del progetto di vita che risponda ai reali bisogni e assegni le risorse in modo adeguato.

Profilo dinamico – funzionale

Il profilo dinamico funzionale (PDF) indica le caratteristiche fisiche, psichiche e sociali ed affettive dell’alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona portatrice di handicap.

Il PDF è atto successivo alla diagnosi funzionale e indica in via prioritaria, dopo un primo periodo di inserimento scolastico, il prevedibile livello di sviluppo che l’alunno in situazione di handicap dimostra di possedere nei tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi (due anni).

Alla elaborazione del PDF seguono, con il concorso degli operatori delle Unità sanitarie locali (unità multidisciplinare), della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l’influenza esercitata dall’ambiente scolastico.

Il PDF comprende necessariamente:

a) la descrizione funzionale dell’alunno in relazione alle difficoltà che lo stesso dimostra di incontrare in settori di attività;

b) l’analisi dello sviluppo potenziale dell’alunno a breve e medio termine, desunto dall’esame dei parametri: cognitivo, affettivo-relazionale, comunicazionale, linguistico, sensoriale, motorio-prassico, neuropsicologico, dell’autonomia e dell’apprendimento.

Il PDF è aggiornato a conclusione della scuola materna, della scuola elementare e della scuola media e durante il corso di istruzione secondaria superiore.

Piano Educativo Individualizzato (PEI)

Il Piano educativo individualizzato (indicato in seguito con il termine P.E.I.), è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione, di cui ai primi quattro commi dell’art. 12 della legge n. 104 del 1992.

Il P.E.I. è redatto, ai sensi del comma 5 del predetto art. 12, congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla ASL (UONPI) e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell’alunno. Atto di indirizzo: D.P.R. del 24/02/94, art.4.

In sintesi

Il P.E.I. è: 

  • progetto operativo interistituzionale tra operatori della scuola, dei servizi sanitari e sociali, in collaborazione con i familiari 
  • progetto educativo e didattico personalizzato riguardante la dimensione dell’apprendimento correlata agli aspetti riabilitativi e sociali 

Contiene  

  •  finalità e obiettivi didattici 
  •  itinerari di lavoro 
  •  tecnologia 
  •  metodologie, tecniche e verifiche 
  •  modalità di coinvolgimento della famiglia

Tempi 

  •  si definisce entro il secondo mese dell’anno scolastico 
  •  si verifica con frequenza, possibilmente  trimestrale 
  •  verifiche straordinarie per casi di particolare difficoltà

 

NOTE

1 v. www.didatticaermeneutica.it/articoli/, Inclusione didattica: panorama normativo – F. Frullani

2 L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD e l’ICIDH in modo complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia, in quanto i dati eziologici vengono integrati dall’analisi dell’impatto che quella patologia può avere sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito. In Italia attualmente si fa riferimento alla versione 10 ICD del 1992.
3   il concetto di handicap e di riduzione dello svantaggio sociale è entrato a far parte della legislazione la legge 104/92 che è di fatto ancora oggi uno dei cardini del nostro sistema di tutela dei diritti delle persone con disabilità si fonda proprio sul concetto di handicap e di riduzione dello svantaggio sociale

4  V. D.P.R. 24/02/1994.