Sintesi dell’esortazione Gaudete et esultate di papa Francesco
 
La “classe mediaˮ della santità
Nel primo capitolo il Papa invita a non pensare solo ai santi «già beatificati o canonizzati» e ricorda che «non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato…». (6) «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere… Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, “la classe media della santità”». (7)
Possibilità per tutti
Francesco invita a non scoraggiarsi di fronte a «modelli di santità che appaiono irraggiungibili», perché dobbiamo seguire la «via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi». (11). Il Papa spiega che ci sono anche «stili femminili di santità» (12) e ribadisce che per essere santi «non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno». (14)
La santità dei piccoli gesti
Il Papa ricorda che la santità «andrà crescendo mediante piccoli gesti. Per esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare, e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: “No, non parlerò male di nessuno”. Questo è un passo verso la santità. Poi, a casa, suo figlio le chiede di parlare delle sue fantasie e, anche se è stanca, si siede accanto a lui e ascolta con pazienza e affetto. Ecco un’altra offerta che santifica…». (16) «Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita». (24)
L’impegno nel mondo non è “distrazioneˮ
Il Papa scrive che «non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro… ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio» (26). A volte «abbiamo la tentazione di relegare la dedizione pastorale e l’impegno nel mondo a un posto secondario, come se fossero “distrazioni” nel cammino della santificazione» (27). Questo però non implica «disprezzare i momenti di quiete, solitudine e silenzio davanti a Dio». Anche perché oggi «le continue novità degli strumenti tecnologici, l’attrattiva dei viaggi, le innumerevoli offerte di consumo, a volte non lasciano spazi vuoti in cui risuoni la voce di Dio» (29). L’invito è a «non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia» (32).
I due “sottili nemiciˮ della santità
Nel secondo capitolo Francesco mette in guardia da due «sottili nemici», gnosticismo e pelagianesimo: «Due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo ad un elitario narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare» (35). Attenzione: questo atteggiamento, avverte il Papa, lo possiamo trovare dentro la Chiesa. È «tipico degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. Assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti» (39).
Le troppe risposte “giusteˮ dei falsi profeti
«Quando qualcuno ha risposte per tutte le domande – scrive il Papa – dimostra di trovarsi su una strada non buona ed è possibile che sia un falso profeta… Dio ci supera infinitamente, è sempre una sorpresa e non siamo noi a determinare in quale circostanza storica trovarlo, dal momento che non dipendono da noi il tempo e il luogo e la modalità dell’incontro. Chi vuole tutto chiaro e sicuro pretende di dominare la trascendenza di Dio» (41). Francesco ricorda che «noi arriviamo a comprendere in maniera molto povera la verità che riceviamo dal Signore. E con difficoltà ancora maggiore riusciamo ad esprimerla. Perciò non possiamo pretendere che il nostro modo di intenderla ci autorizzi a esercitare un controllo stretto sulla vita degli altri» (43). La dottrina, afferma Papa Bergoglio, «o meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi» (44).
Affidarsi alle proprie forze
I pelagiani sono coloro che trasmettono l’idea che «tutto si può fare con la volontà umana, come se essa fosse qualcosa di puro, perfetto, onnipotente, a cui si aggiunge la grazia. Si pretende di ignorare che “non tutti possono tuttoˮ e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia» (49). «La grazia – ricorda Francesco – proprio perché suppone la nostra natura, non ci rende di colpo superuomini» (50).
Atteggiamenti egocentrici
«I santi evitano di porre la fiducia nelle loro azioni» (54), scrive il Papa. «La prima cosa è appartenere a Dio. Si tratta di offrirci a Lui che ci anticipa, di offrirgli le nostre capacità… affinché il suo dono gratuito cresca e si sviluppi in noi» (56). Ma ci «sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze», che «si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore» e si manifesta in molti atteggiamenti: «l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche» (57). Molte volte, «contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie» (58).
La carità al centro
«È bene ricordare spesso – conclude il Papa – che esiste una gerarchia delle virtù», e «al centro c’è la carità» (60). Detto in altre parole: «In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello» (61).
Le beatitudini oggi
Nel terzo capitolo, Francesco presenta le beatitudini evangeliche come «la carta d’identità del cristiano». E le rilegge attualizzandole.
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»
«Le ricchezze non ti assicurano nulla – ricorda il Papa – Anzi, quando il cuore si sente ricco, è talmente soddisfatto di sé stesso che non ha spazio per la Parola di Dio, per amare i fratelli» (68).
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».
«È un’espressione forte, in questo mondo che fin dall’inizio è un luogo di inimicizia… dove continuamente classifichiamo gli altri per le loro idee, le loro abitudini» (71). Il Papa ricorda che «anche quando si difende la propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza, e persino gli avversari devono essere trattati con mitezza. Nella Chiesa tante volte abbiamo sbagliato per non aver accolto questo appello» (73).
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati»
«La persona che vede le cose come sono realmente – scrive Francesco – si lascia trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore è capace di raggiungere le profondità della vita e di essere veramente felice» (76).
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»
«La giustizia che propone Gesù – spiega il Pontefice – non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del “do perché mi diano”, in cui tutto è commercio» (78). «Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità».
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia»
«“Tutto quanto vorrete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loroˮ. Il Catechismo ci ricorda che questa legge si deve applicare “in ogni casoˮ,» (80). Gesù, ricorda il Papa, «non dice “Beati quelli che programmano vendetta”, ma chiama beati coloro che perdonano e lo fanno “settanta volte setteˮ».
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»
«Il mondo delle dicerie, fatto da gente che si dedica a criticare e a distruggere, non costruisce la pace», scrive Francesco (87). Mentre pacifici «costruiscono pace e amicizia sociale» (88). Anche se, riconosce, «non è facile costruire questa pace evangelica che non esclude nessuno, ma che integra anche quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate… quelli che sono diversi» (89).
«Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli»
«Se non vogliamo sprofondare in una oscura mediocrità – avverte il Papa – non pretendiamo una vita comoda» (90). «Non si può aspettare, per vivere il Vangelo, che tutto intorno a noi sia favorevole» (91). Ma Francesco spiega anche che «un santo non è una persona eccentrica, distaccata, che si rende insopportabile per la sua vanità, la sua negatività e i suoi risentimenti». Non erano così gli apostoli che «godevano della simpatia “di tutto il popoloˮ» (93). Quanto alle persecuzioni, esse «non sono una realtà del passato, perché anche oggi le soffriamo, sia in maniera cruenta, come tanti martiri contemporanei, sia in un modo più sottile, attraverso calunnie e falsità» (94).
Il protocollo su cui saremo giudicati
Francesco rievoca le parole di Gesù sul dar da mangiare agli affamati e accogliere gli stranieri, presentandole come «una regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati. «Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso… un problema che devono risolvere i politici… Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità… un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani!» (98).
Rischio ONG e la diffidenza per l’impegno sociale
Purtroppo, scrive Francesco, a volte «le ideologie ci portano a due errori nocivi». Da una parte, quello di trasformare «il cristianesimo in una sorta di ONG», privandolo della sua «luminosa spiritualità» (100). Dall’altra parte c’è l’errore di quanti «vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista».
Difendere la vita… tutta
«La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio – scrive il Papa – deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra… Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù… Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo» (101).
I migranti (e la bioetica)
Il Papa inserisce qui una messa a punto sui migranti. «Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano… Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero?» (102). Pertanto, chiarisce Francesco «non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero» (103).
Non solo culto, preghiera e norme etiche
«Potremmo pensare – sottolinea Papa Bergoglio – che diamo gloria a Dio solo con il culto e la preghiera, o unicamente osservando alcune norme etiche», e «dimentichiamo che il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri» (104). «Chi desidera veramente dare gloria a Dio con la propria vita… è chiamato a tormentarsi, spendersi e stancarsi cercando di vivere le opere di misericordia» (107).
I rischi del consumismo
«Il consumismo edonista – avverte Francesco – può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita… Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che… ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli» (108).
Il santo, i rischi del web e dei media cattolici
Nel quarto capitolo, Francesco presenta alcune caratteristiche «indispensabili» per lo stile di vita del santo. Si inizia con sopportazione, pazienza e mitezza. «Anche i cristiani – scrive il Papa riferendosi alla sfera dei blog e siti – possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet… Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui». «È significativo che a volte, pretendendo di difendere altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo: “Non dire falsa testimonianzaˮ, e si distrugga l’immagine altrui senza pietà» (115). Il santo, ricorda Francesco, «non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, evita la violenza verbale» (116). Non ci fa bene infatti «guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza» (117).
Le umiliazioni necessarie
«L’umiltà – spiega Papa Bergoglio – può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni. Senza di esse non c’è umiltà né santità» (118). Francesco non si riferisce solo alle situazioni violente di martirio, «ma alle umiliazioni quotidiane di coloro che sopportano per salvare la propria famiglia, o evitano di parlare bene di sé stessi e preferiscono lodare gli altri invece di gloriarsi, scelgono gli incarichi meno brillanti, e a volte preferiscono addirittura sopportare qualcosa di ingiusto per offrirlo al Signore» (119).
Gioia e humor
Il Papa sottolinea che quanto detto finora «non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza» (122). Il malumore dunque «non è un segno di santità» (126). Francesco intende riferirsi a «quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa» (128).
Audacia e fervore
Bergoglio sintetizza questi elementi in una parola: «Audacia, entusiasmo, parlare con libertà, fervore apostolico, tutto questo è compreso nel vocabolo parresia» (129). «Guardiamo a Gesù: la sua compassione profonda – fa notare Francesco – lo spingeva a uscire da sé con forza per annunciare, per inviare in missione, per inviare a guarire e a liberare» (131). Dunque bisogna superare la tentazione di «fuggire in un luogo sicuro che può avere molti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi prefissati, dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme» (134).
Dio è novità
«Dio è sempre novità – scrive Francesco – che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere… là lo troveremo: Lui sarà già lì» (135). Ci mette in moto, ricorda il Papa, l’esempio di tanti preti, religiose e laici «che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la vita… La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante» (138). E Francesco ricorda anche come sia difficile «lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati» (140). È dunque importante «la vita comunitaria, in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa», che «è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani» (143): anche Gesù «invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari».
Preghiera e adorazione
«Infine, malgrado sembri ovvio – precisa Francesco – ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione» (147). Il Papa chiede: «Ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui?» (151). Ma questo silenzio orante non è «un’evasione che nega il mondo intorno a noi» (152).
In lotta contro il diavolo
Il quinto capitolo avverte che il cammino per la santità è anche «una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male» (159). Il «male» citato nel Padre Nostro è «il Maligno» e «indica un essere personale che ci tormenta» (160). «Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi» (161). E può portare alla «corruzione spirituale», che «è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito» (165).
La via del discernimento
«Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo – ricorda Francesco – è il discernimento», che «è anche un dono che bisogna chiedere» (166). «Al giorno d’oggi – continua il Papa – l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria… Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zappino costante… Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (167). Questo discernimento «è necessario non solo in momenti straordinari», di fronte a decisioni cruciali. «È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore… Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante». Pertanto il Papa chiede «a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno… un sincero esame di coscienza» (169).
Ascoltare e rinunciare ai propri schemi
Solo «chi è disposto ad ascoltare – conclude Francesco – ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi. Così è realmente disponibile ad accogliere una chiamata che rompe le sue sicurezze ma che lo porta a una vita migliore» (172). Questo atteggiamento «implica, naturalmente, obbedienza al Vangelo come ultimo criterio, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della salvezza. Non si tratta di applicare ricette o di ripetere il passato», perché «quello che era utile in un contesto può non esserlo in un altro. Il discernimento degli spiriti ci libera dalla rigidità, che non ha spazio davanti al perenne oggi del Risorto» (173).
Il Papa: “Ecco la via per una santità alla portata di tuttiˮ, di Andrea Tornielli, in “La Stampa Vatican Insider” del 9 aprile 2018
 
I testo della Lettera Apostolica “Gaudete et exultate”
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