Un’esperienza emblematica
Due anni fa ho accompagnato una classe di giovani di un liceo svizzero nella loro gita a Roma. Era un gruppo veramente amabile: tra di essi avvertivo rapporti di amicizia e nella loro relazione con i tre insegnanti osservavo anche uno stile cordiale e rispettoso. Nei due giorni che ho potuto condividere con quella classe, girando un po’ alcuni luoghi e monumenti romani, per lo più della tradizione cristiana, non ci fu benché il minimo episodio spiacevole. Il gruppo si muoveva unito, attento a ricevere informazioni, poneva domande pertinenti e sensate, e anche si scherzava. Pure abbiamo giocato insieme con il pallone dopo aver mangiato un po’ di pizza o qualche panino per pranzo.
Per la maggior parte di quei ragazzi e ragazze era la prima volta che si trovavano a Roma, e vedevano dal vivo ciò che conoscevano soltanto in immagini, video o testi di storia e di arte. La loro insegnante, Karin, che mi aveva cercato, mi confidò una sua percezione dell’esperienza romana dei suoi allievi. Karin, donna con chiara sensibilità educativa e cattolica convinta, aveva notato che i giovani passarono per la Basilica di San Pietro con una condotta corretta e consona al posto, ma senza alcun cenno di sentimento religioso. Nessuna traccia di emozione cristiana tra quei liceali gentili e simpatici, anche se in buona parte provenissero da famiglie cattoliche della Svizzera francese.
Karin non era la loro insegnante di religione, ma nella sua condizione di credente si era sentita messa in questione dallo stile dell’approccio dei giovani alle realtà che testimoniano la presenza del cristianesimo. Per un verso era evidente l’ignoranza dei ragazzi in materia religiosa, senza particolare conoscenza del cristianesimo, né come realtà storica, né come messaggio di salvezza, né come prassi da attuare. Per un altro verso non si poteva negare nel comportamento dei giovani una buona componente di indifferenza diffusa per il mondo della fede, che nella loro considerazione tutt’al più rimaneva riservato all’ambito individuale e più intimo della persona. E bisogna dire che in quel gruppo il distacco dalla religione non assumeva la forma del rifiuto diretto, duro ed esplicito che si presenta pure in altre occasioni.
 
Assistiamo al congedo dei giovani dalla fede cristiana?
La percezione di Karin corrispondeva alla domanda se oggi assistiamo al congedo definitivo dei giovani – possiamo anche dire della società o del mondo – dalla fede cristiana. Serpeggia nella comprensione del momento attuale l’idea abbastanza estesa che andiamo verso la dissoluzione della religione e in particolare del cristianesimo. Certamente il fenomeno è complesso, nelle sue espressioni come nei suoi programmi, che vanno dall’autoaffermazione del soggetto che vuole svincolarsi da qualunque legame con Dio, alla consapevolezza della propria responsabilità con quella autonomia che Dio ha stabilito per la sua creatura, e apre dunque un percorso di libertà, di creatività e di missione. E nel mezzo c’è un ampio ventaglio di posizioni, nella comune coscienza di attraversare una trasformazione epocale dall’esito ancora incerto.
 
La vecchia Sirena di J.L.Sampedro
Viviamo dunque oggi da credenti nel continuo confronto con la diffidenza religiosa, con la rivendicazione del soggetto o con funzionalità nel mondo, in un tempo che ci tiene ad affermare la sua distinzione e pure la separazione dal sacro. Abitiamo in quella regione di frontiera dove si adoperano più linguaggi, convivono diverse mentalità, e si registra grande mobilità. Ma tali regioni si dimostrano luoghi privilegiati per percepire, sperimentare e anticipare la novità. José Luis Sampedro (1917-2013) nel suo romanzo La vecchia Sirena (Milano, 2001, orig. spagnolo 1990), raccontando della vita ad Alessandria nel IIIº secolo, scrive che la forza e la vitalità degli imperi si avvertono meglio alle frontiere che non alle capitali, alle periferie e non al centro.
 
Nuove opportunità per processi liberatori
L’uomo religioso non dovrebbe avere grandi motivi per lamentarsi di questa epoca, che lo portano alla condizione della testimonianza, dell’ascolto, e del rinnovamento. Se la marginalità del discorso religioso dovesse provocare un po’ di sconforto, non è meno vero che esso suonerà più insolito, potente e fecondo, per smuovere l’animo umano contemporaneo in processi liberatori, poiché l’autonomia non è tanto uno stato ma uno stimolo e un progetto. E se il cristiano sentisse qualche rimpianto, sarebbe opportuno richiamare il senso del messaggio del vangelo che costantemente richiama al servizio del prossimo, alla gratitudine per l’esperienza della benevolenza e allo slancio dell’incontro con Dio, che ha voluto dare vita al soggetto libero e responsabile.
Antonio Escudero