L’analisi dei dati 2015 del WMO (Organizzazione meteorologica mondiale), la più antica istituzione del mondo sul clima (fondata nel 1873), ora agenzia delle Nazioni Unite, segnala non solo che il 2015 è stato un anno record per il riscaldamento dell’atmosfera, ma, afferma, che il livello di CO 2 nell’atmosfera ha per la prima volta superato la soglia delle 400 parti per milione.
Stiamo scontando gli effetti  dell’impatto di «El Niño». Questo fenomeno meteorologico ora è scomparso, ma i suoi effetti, in termini di CO 2, continueranno ancora per molte generazioni (parliamo di secoli) perché, a differenza dei gas Hfc (idrofluorocarburi) che, una volta non più emessi, svaniscono, «l’anidride carbonica prodotta rimane nell’atmosfera per migliaia di anni e inquina gli oceani ancora più a lungo».
Riportiamo alcune grida di allarme risuonate in questi giorni nei principali quotidiani perché docenti e studenti ne prendano consapevolezza.
 
 
Mai così alti i livelli di CO2 Il clima è stato stravolto
di Massimo Gaggi

Lo stillicidio delle brutte notizie sul deterioramento del clima era stato interrotto dall’accordo di Parigi per la tutela ambientale negoziato a dicembre, siglato in primavera e pronto a entrare in vigore nei prossimi giorni, a novembre, grazie all’avvenuta ratifica da parte di un numero sufficiente di Paesi. Poi, dieci giorni fa, l’accordo di Kigali: l’impegno di 197 Paesi per eliminare l’Hfc, il gas usato per sostituire in frigoriferi e condizionatori il micidiale Cfc che distrugge la fascia dell’ozono. L’Hfc non attacca l’ozono, ma contribuisce comunque all’effetto serra.
Un costruttivo rimboccarsi le maniche, uno stato d’animo positivo sul quale piomba ora una nuova ombra: l’analisi dei dati 2015 del WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale. La più antica istituzione del mondo sul clima (fondata nel 1873), ora agenzia delle Nazioni Unite, dice cose sconfortanti. Non solo, come già sapevamo, il 2015 è stato un anno record per il riscaldamento dell’atmosfera, ma, afferma ora il suo segretario generale, il finlandese Petteri Taalas, il livello di CO 2 nell’atmosfera ha per la prima volta superato la soglia delle 400 parti per milione.
Numeri che dicono poco a noi non addetti ai lavori che percepiamo i mutamenti climatici in termini di caldo insopportabile, «bombe d’acqua», inondazioni, siccità che svuota i laghi, innalzamento dei mari. Ma Taalas dice anche qualcosa di più comprensibile: la crescita progressiva degli scorsi anni è diventata impennata nel 2015 per l’impatto di «El Niño». Questo fenomeno meteorologico ora è scomparso, ma i suoi effetti, in termini di CO 2 , sono sempre lì: continuano nel 2016 e continueranno ancora per molte generazioni (quindi parliamo di secoli) perché, a differenza dei gas Hfc (idrofluorocarburi) che, una volta non più emessi, svaniscono, «l’anidride carbonica prodotta rimane nell’atmosfera per migliaia di anni e inquina gli oceani ancora più a lungo».
Insomma, ben venga l’accordo di Kigali, «ma qui l’elefante nella stanza è il CO 2 : bisogna accelerare di molto l’attuazione dell’accordo di Parigi» perché quello che è stato deciso non basta a contenere la crescita delle temperature entro i 2 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale. Sconfortante sentirselo dire dal Wmo con toni così definitivi, ma che l’accordo di Parigi fosse insufficiente, politici e scienziati l’hanno sempre saputo. Si è, però, preferito concentrare l’attenzione sulla parte mezza piena del bicchiere e siglare l’unico accordo che si era rivelato politicamente praticabile: il rischio, in caso contrario era quello di scivolare in una sorta di fatalismo nihilista. Anche oggi, a fronte di una situazione grave, non mancano i segnali positivi: dall’aumento record degli investimenti in energie alternative nel mondo industrializzato, ai primi veri sforzi delle nazioni emergenti di ridurre la loro dipendenza dai combustibili più inquinanti, a partire dal carbone.
Il crollo dei prezzi degli idrocarburi non facilita certo la transizione verso le fonti rinnovabili e il nucleare resta tabù, ma la spinta verso veicoli a basso consumo, edifici ad alta efficienza energetica e produzioni industriali con meno emissioni è forte negli Usa e nel resto del mondo.
Ma se gli obiettivi del protocollo di Parigi sono troppo limitati, ci sono anche molti dubbi sulla loro implementazione. Per riuscire a ridurre i gas-serra del 26-28% entro il 2025 come promesso, ad esempio, gli Stati Uniti dovrebbero attuare il piano di riconversione delle centrali elettriche varato da Obama e già bloccato, ridurre la dipendenza dagli idrocarburi e usare energie alternative nella produzione industriale in una misura al momento impensabile.
Cambierà: fin qui ha dominato il timore che le misure per salvare l’ambiente siano un freno per l’economia. Ma ora le agenzie di rating come Moody’s cominciano ad avvertire che a rischiare di provocare un altro crollo economico e finanziario non sono le bolle speculative ma la bolla del CO2.
in “Corriere della Sera” del 25 ottobre 2016
 
 
Cosa succede al nostro pianeta?
di Massimo Caprara

1 Quali sono le cause del riscaldamento globale?
Ci sono due fattori che lo provocano. Uno è naturale e dipendente da aspetti astronomici. Nella storia della Terra le tracce trovate nei ghiacci hanno rivelato altri periodi di riscaldamento atmosferico. Ma quello che stiamo subendo è diverso perché manifesta una velocissima accelerazione, incomparabile con i dati storici. Dalla rivoluzione industriale la temperatura media è aumentata di un grado e un altro grado è previsto entro la fine del secolo. Ciò è conseguenza delle attività umane (produzioni, trasporti e altre fonti anche domestiche) con l’immissione nell’atmosfera di una dose di gas serra, dalla CO 2 a vari gas, superiore a quella che può essere assorbita dai normali cicli del pianeta, ad esempio dagli oceani.
2 Che cosa si è fatto politicamente per affrontarlo?
Dopo la scoperta del problema a partire dal 1992 i capi di Stato si sono riuniti nei summit per l’ambiente. E dopo il primo a Rio de Janeiro ne sono stati organizzati altri venti arrivando al XXI di Parigi alla fine dell’anno scorso. A Kyoto nel 1997 è stato raggiunto uno storico accordo, «arrivando ad abolire i Cfc (clorofluorocarburi) che danneggia l’ozono ed ora al summit in Ruanda un altro passo importante mettendo al bando gli Hfc (gas contenenti idrofluorocarburi) che ritroviamo anche nei condizionatori», dice Carlo Carraro vicepresidente dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu sui cambiamenti climatici.
3 Cosa bisogna fare per evitare il peggio?
A Parigi si è stabilito un taglio dei gas serra per il 2030 del 40% rispetto al 1990 per l’Europa e 28% per gli Stati Uniti. «Ma questo provvedimento non basta — continua Carraro — perché le misure adottate ci porteranno a un aumento di temperatura tra 2,7 e 3 gradi invece dei 2 stabiliti a Parigi. Per arrivare a questo occorre un taglio dell’80% entro il 2050». L’obiettivo sarebbe raggiungibile tagliando le emissioni e con una elettrificazione della produzione industriale, dei trasporti e delle case. Questa via è percorribile o con il ricorso all’energia nucleare o impiegando le rinnovabili.
4 Il clima diffonde nuove malattie?
Sì. Il riscaldamento climatico altera le condizioni di salute. Secondo l’Atlante della salute e del clima dell’Organizzazione mondiale della sanità si registra un aumento delle malattie respiratorie e una crescita di focolai infettivi e delle allergie. Le alte temperature sono un clima favorevole alla propagazione di batteri e virus e delle specie invasive che sono dei veicoli. I rischi aumentano con la repentinità del cambiamento climatico. La mortalità precoce cresce a seguito degli eventi meteorologici estremi come cicloni, inondazioni e siccità. Le alluvioni generano terreno fertile per la diffusione di malaria, meningite, dengue, diarrea.
5 Cosa cambia in Italia?
Anche da noi le conseguenze del cambiamento climatico sono evidenti. «Oltre ai fenomeni meteorologici estremi — precisa Carraro — si registra una maggiore siccità nelle regioni centrali e del Sud. La produttività agricola è in media diminuita, la coltivazione della vite si sposta sempre più a Nord. I ghiacciai alpini sono pesantemente ridotti, il turismo invernale ne risente soprattutto nella stagione sciistica: sono tutti segni che dimostrano un processo in corso da affrontare».
6 Che cosa può fare il singolo cittadino?
Nei trasporti dobbiamo impiegare veicoli elettrici. In casa e in fabbrica si possono introdurre dei criteri di maggiore efficienza energetica, eliminando gli sprechi. Gli edifici — ad esempio
possono essere meno avidi di energia isolati opportunamente. C’è una fase di passaggio nella quale usare il gas quando non ci sono energie rinnovabili come sole e vento in attesa della loro completa disponibilità grazie a batterie per accumulare l’energia prodotta. Già ora la Tesla produce batterie efficaci per uso domestico e le auto.
7 Ci si può adattare al cambiamento climatico?
«Il cambiamento climatico è una preziosa opportunità — sottolinea Carlo Carraro —. Si devono ripensare il modo di concepire le nostre infrastrutture come strade, aeroporti e case. E questo si traduce in una grande occasione per l’economia. In Olanda in previsione dell’aumento del livello del mare stanno già intervenendo realizzando ad esempio colline sotto le quali insediano linee ferroviarie e altri impianti necessari alla vita civile».
in “Corriere della Sera” del 25 ottobre 2016
 
 
Madre Terra soffoca, allarme dei meteorologi
di Rachele Gonnelli

L’asticella è varcata, tanto che c’è chi fa del 2016, l’anno più caldo e inquinato della Terra, il punto zero di una nuova era, quella iper-antropizzata. I dati pubblicati ieri dalll’organizzazione mondiale dei meteorologi con il suo «Greenhouse gas bulletin» corredato da grafici e tabelle sulle concentrazioni record di anidride carbonica non fanno che confermarlo e sottolinearlo: siamo a un punto di non ritorno per il clima e la vita sul Pianeta.
Dalla sua stazione di monitoraggio dei gas serra di Mauna Loa, nella Hawaii, la World Meteorological Organization (Wmo) segnala che le concentrazioni di CO2 resteranno sopra le 400 parti per milione per l’intero 2016 e non subiranno significative discese per molte generazioni (pdf qui). Si tratta di una predizione catastrofica ma non messianica, si basa infatti sui riflessi del fenomeno del Niño nel 2015, destinati a proseguire nell’arco di almeno sette anni con una progressione studiata scientificamente.
El Niño, semplificando può essere definito un’onda di riscaldamento degli oceani, in particolare del Pacifico meridionale, che crea condizioni proibitive per la vita in intere aree dell’America latina – siccità intense, desertificazioni, uragani – non è un fenomeno nuovo, è stato riconosciuto e studiato a partire dagli anni Sessanta, ma è diventato più frequente e potente, mentre nel frattempo i meccanismi naturali che ne mitigavano gli effetti – ad esempio i cosiddetti «pozzi» di ossigeno prodotto dalle grandi foreste – si sono andati indebolendo.
Risultato: se finora l’anidride carbonica aveva superato la barriera delle 400 parti per milione solo per alcuni mesi dell’anno e in determinate località, non era mai successo da quando l’atmosfera viene monitorata che questa soglia-limite fosse oltrepassata su una base globale e per un intero anno. E questo è ciò che succederà nell’anno in corso.
Tra il 1990 e il 2015 c’è stato – segnala il Greenhouse Bulletin – un 37% di incremento nell’effetto di riscaldamento climatico a causa di gas serra rimasti troppo a lungo in atmosfera come, appunto, anidride carbonica, metano e biossido d’azoto, prodotti da attività industriali, agricole e domestiche. È l’uomo, dunque, concordano i meteorologi ad aver prodotto questo disastro.
Petteri Taalas, segretario generale del Wmo non vuole essere catastrofista e ricorda quindi come «con l’Accordo di Parigi il 2015 ci ha introdotto in una nuova era di ottimismo e di azione per il clima ma questo anno rappresenta anche un punto chiave nella Storia, portandoci in una nuova realtà dei mutamenti climatici con concentrazioni record di gas serra». Ricorda anche i passi in avanti del recente accordo di Kigali, che modifica il cosiddetto Protocollo di Montreal eliminando gradualmente gli idrofluorocarburi, che sono forti gas serra.
Ma, aggiunge, c’è «l’elefante nella stanza» ed è la CO2, che rimane nell’atmosfera per migliaia di anni e negli oceani ancora più a lungo. «Senza affrontare le emissioni di anidride carbonica non possiamo affrontare il mutamento climatico per riuscire a contenere l’aumento delle temperature sotto i 2 gradi rispetto all’era preindustriale», sottolinea Taalas. Pertanto «è di assoluta importanza che l’Accordo di Parigi entri senz’altro in vigore al più presto e che se ne acceleri l’implementazione».
I disastrosi roghi delle foreste indonesiane dell’estate 2015 e il boom della liberazione nell’atmosfera di esafluoruro di zolfo, gas che si sprigiona nella lavorazione di isolanti per impianti elettrici, sono state due nuove emergenze che si sono sommate a tutte le altre.
in “il manifesto” del 25 ottobre 2016
 
 
È record di gas serra l’allarme dell’Onu “Nuova era del clima”
di Valerio Gualerzi

Il moltiplicarsi degli eventi meteo estremi come alluvioni, tornado sempre più devastanti e siccità prolungate, ci ha dato un primo assaggio. Ora lo dicono anche i numeri ufficiali: il riscaldamento globale non è un problema del futuro, ma del presente. «Siamo entrati in una nuova era climatica», sentenzia l’ultimo bollettino dell’Omm (Wmo nella dizione inglese), l’organizzazione mondiale Onu per la meteorologia. Gli strumenti, in particolare la stazione di monitoraggio di Mauna Loa, nelle Hawaii, hanno registrato infatti per la prima volta nel 2015 una quantità di anidride carbonica nell’atmosfera stabilmente superiore (nel 2014 lo sforamento era stato sporadico) alla soglia psicologica delle 400 parti per milione.
Un dato allarmante, ma non del tutto inatteso. La mole di CO 2 prodotta dalle nostre società negli ultimi anni ha iniziato a rallentare, ma non a sufficienza perché possa essere assorbita dai cosiddetti carbon sink, i serbatoi naturali come oceani e foreste capaci di rimuoverla dall’atmosfera. A complicare le cose nel 2015 ci si è messo poi El Niño, il ciclico fenomeno di surriscaldamento delle acque superficiali del Pacifico. La siccità provocata da El Niño in diverse zone tropicali rallenta la crescita della vegetazione e favorisce gli incendi. Mentre il primo fattore riduce la capacità naturale di assorbire CO 2 , il secondo contribuisce ad una sua ulteriore produzione “naturale”. Il problema, sottolinea il segretario dell’Omm Petteri Taalas, è che «l’evento di El Niño è scomparso, ma i cambiamenti climatici restano » e l’anidride carbonica che abbiamo pompato in atmosfera, una quantità mai raggiunta nella storia dell’umanità, «resterà lì per migliaia di anni».
Stando al IV Rapporto dell’Ipcc, il panel internazionale che monitora le conclusioni della scienza climatica per conto dell’Onu, con una quantità di CO 2 in atmosfera pari a 450 parti per milione è lecito aspettarsi un aumento della temperatura pari a 2,1 gradi (3,1 nell’ipotesi peggiore), mentre per fermarci a un solo grado di riscaldamento ci saremmo dovuti fermare a quota 350 ppm. L’avvertimento dell’Ipcc è chiaro: per evitare di sconvolgere il clima oltre il gestibile la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera deve stabilizzarsi entro il 2030. «I dati Wmo sul record concentrazione CO 2 spiegano l’urgenza di accordo Cop21. In quella scelta globale la miglior risposta possibile», ha commentato il ministro dell’Ambiente Galletti.
In realtà la macchina per cercare di ridurre la quantità di gas serra si è finalmente messa in moto in maniera più decisa. Nel 2015, per il secondo anno consecutivo, un importantissimo indicatore nell’efficacia della lotta ai cambiamenti climatici ha segnato un risultato positivo. La Iea ha certificato infatti che l’economia mondiale è cresciuta senza far registrare al contempo un aumento nelle emissioni globali di CO 2 . Senz’altro una svolta incoraggiante, ma aspettarsi risultati diversi da quelli certificati dall’Omm sarebbe stato illusorio. Per vedere gli effetti benefici dei passi da gigante compiuti dalle tecnologie green, dalla corsa agli investimenti nell’energia rinnovabili e degli accordi internazionali quali quello di Parigi bisognerà raddoppiarli e aspettare ancora anni.
in “la Repubblica” del 25 ottobre 2016