Dopo mesi di stallo la scuola sta ricominciando, quindi come in tutte le ripartenze è necessaria una riflessione sull’attuale mondo della scuola. Qual è il compito della scuola? La scuola deve istruire o educare? Possono sembrare due termini equipollenti, ma il principio su cui si fondano è totalmente opposto.
 
Educazione e istruzione a scuola
Il termine educare infatti deriva dal termine latino educĕre ossia “trarre fuori”, di conseguenza si presuppone che l’allievo abbia delle capacità che l’insegnate debba far uscire e quindi sviluppare. Il termine istruzione invece, deriva dal latino instrúere che assume il significato di “costruire”. Chiaramente, l’istruzione implica una mancanza di conoscenza a priori e quindi una costruzione di una conoscenza tramite lo studio. Potremmo arrivare a dichiarare che la scuola debba in realtà incaricarsi di ambo le mansioni. Troppo spesso ci dimentichiamo, però, che essa abbia un compito fondamentale: permettere al bambino di diventare un cittadino con capacità critica, che porti quest’ultimo a poter affrontare appieno la vita. Dobbiamo aiutare il bambino ad agire da sé, a volere da sé, a pensare da sé. Questo implica un’accurata progettazione degli spazi, dei tempi e dei metodi didattici. Una grande sostenitrice di questa prospettiva didattica fu Maria Montessori, che impostò un metodo didattico innovativo per l’epoca. Secondo un articolo, pubblicato dall’Università Bicocca il 25 marzo 2019:
 
I modelli d’insegnamento
«I modelli di insegnamento sono ancora prevalentemente trasmissivi e di stampo gentiliano, la formazione che i docenti ricevono prima di entrare in classe e durante il servizio è ancora insufficiente: solo vent’anni fa in Italia è stata introdotta la formazione iniziale universitaria dei docenti e in questa legislatura è stata addirittura abolita la formazione iniziale per gli insegnanti della secondaria (decreto dicembre 2018); la formazione in servizio non è obbligatoria e per molti anni non sono stati stanziati fondi a questo scopo: di conseguenza, le resistenze dei docenti al cambiamento e all’innovazione sono molto forti, come rilevato dalla ricerca pedagogica, sociologica e psicologica.»[1]
 
Dobbiamo dunque presumere che non vi siano stati progressi negli ultimi anni?

A Giovanni Gentile dobbiamo l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino al quattordicesimo anno di età, ma anche l’obbligo dell’insegnamento della religione nelle scuole, in quanto convinto che ogni cittadino dovesse avere anche una coscienza religiosa. In realtà vi sono state poi varie riforme che hanno modificato la struttura della scuola dall’impostazione gentiliana e che l’ha portata al suo stato attuale. Per fare un esempio pratico, la possibilità di attuare una scuola a “tempo pieno”, ossia con un orario che copra dalle otto del mattino alle quattro del pomeriggio, è attuabile solo dal 1971 (grazie alla legge 820/1971). Bisogna altresì ricordare che dal 1998, grazie al decreto legislativo 112, non è più direttamente lo stato bensì la regione che si occupa del lato amministrativo dell’impianto scolastico, così come ben descritto dal comma 5 dell’articolo 3:
«Le regioni, nell’ambito della propria autonomia legislativa, prevedono strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l’azione coordinata fra regioni ed enti locali nell’ambito delle rispettive competenze.»[2]
 
Da chi, dunque, possiamo prendere spunto per migliorare la nostra scuola?

Sicuramente, per renderla più efficace per l’inserimento dello studente nella vita lavorativa, due modelli da prendere come esempio potrebbero essere John Dewey e Maria Montessori. Entrambi, infatti, puntavano ad una maggior pragmaticità della struttura scolastica e della didattica, grazie ad uno stile di apprendimento empirista.
Imparare dall’esperienza sensoriale e fattuale può essere una valida alternativa allo stile puramente concettuale. Non bisogna infatti dimenticare che:
«I processi specificamente mnestici sono la codifica delle informazioni, l’immagazzinamento, il consolidamento e il ricordo. Le informazioni entrano nel sistema cognitivo attraverso processi di codifica che possono avvenire sotto il controllo strategico (quindi secondo una pianificazione cosciente dell’apprendimento), oppure in modo automatico, tramite meccanismi inconsci.»[3]
La parte pratica, quindi dell’apprendimento non può essere esclusa né elusa dall’istituzione scolastica, anzi!
 
Scuola e società
La nostra società sempre più digitale ed informatizzata, dovrà riflettersi anche nell’istituzione scolastica che non potrà esimersi dall’integrare le tecniche e gli spazi didattici per poter aiutare il futuro inserimento dell’individuo nella società. Qualche passo, verso un simile percorso, è stato fatto nel 2018 con l’inserimento delle L.I.M (Lavagne interattive multimediali) e con gli attuali percorsi per il loro utilizzo e l’utilizzo dei tablet nelle scuole. Di certo è possibile migliorare ancora e rendere le nostre scuole ancor più efficienti ed efficaci, ricordandoci sempre che non devono essere un semplice luogo di memoria, ma di crescita di tutto il suo corpo: studenti ed insegnanti compresi.
 
Note
[1]  Veronica d’Uva, Autonomia e libertà. L’approccio Montessori conquista anche la scuola pubblica, BNews, 25 marzo 2019
[2] Dlgs 31 marzo 1998, n. 112, articolo 3, comma
[3] http://www.treccani.it/enciclopedia/memoria/
 
Bibliografia

  1. Veronica d’Uva, Autonomia e libertà. L’approccio Montessori conquista anche la scuola pubblica, BNews, 25 marzo 2019;
  2. Franco Manzoni, Metodo Montessori, la nuova collana Il bimbo e la gioia di stupirsi, Corriere della Sera, 5 Settembre 2019;
  3. Dlgs 31 marzo 1998, n. 112;
  4. Legge 24 settembre 1971, n. 820;
  5. https://bnews.unimib.it/blog/autonomia-e-libert%C3%A0-l%E2%80%99approccio-montessori-conquista-anche-la-scuola-pubblica;
  6. http://www.treccani.it/enciclopedia/memoria/;
  7. http://dprs.uniroma1.it/sites/default/files/292.html