Il V Convegno ecclesiale nazionale celebrato a Firenze ha rappresentato un appuntamento importante nel cammino della Chiesa italiana. Emergono dai principali interventi che abbiamo scelto di riportare qui a modo di documenti, prospettive (nell’intervento di papa Francesco) e analisi (le relazioni di Lorizio e Magatti) piuttosto innovative e di cucitura tra l’impianto teologico di papa Francesco e alcune dimensioni della pastorale della Chiesa in Italia.
Rimangono aperte alcune questioni di fondo che attengono a una piena recezione del pontificato di Francesco, sin qui ancora non avvenuta sotto forma di linea propositiva dell’intera Conferenza episcopale, e alla definizione del ruolo del cattolicesimo italiano nell’attuale situazione storica del nostro paese. Si sono fatti passi avanti nello stile ecclesiale, nella forma conviviale, nell’apertura di maggiori spazi di discussione, con una libertà che appare nuova.
Sul convegno si erano concentrate molte attese, alcune delle quali sono andate deluse, come la possibilità d’aprire un cammino sinodale per tutta la Chiesa italiana. Ma non è detto che a un certo punto, complice anche l’Anno giubilare, non maturi una consapevolezza diversa.
Il V Convegno ecclesiale nazionale («In Gesù Cristo il nuovo umanesimo», Firenze, 9-13 novembre 2015) ha vissuto due momenti centrali: la condivisione di un clima sereno e propositivo da parte dei convegnisti (2.200 delegati); e l’atteso intervento di papa Francesco. Il primo punto è oramai il portato di una sperimentazione che ha già dato frutti in passato. Il secondo segna la novità vera. Papa Francesco, intervenendo all’indomani dell’apertura dei lavori ha chiesto ai vescovi di riscrivere l’agenda della Chiesa nel nostro paese.
I convegni nazionali hanno segnato, anche in virtù della loro scansione decennale, una periodizzazione della vita della comunità cattolica italiana e del suo rapporto con la realtà del paese. Essi coprono un quarantennio di storia e quattro papi su cinque hanno conferito a questi appuntamenti un ruolo d’indirizzo.
Quella che oggi ci appare, ed è, come una storia fu all’inizio un’intuizione che la leadership della CEI (l’allora segretario mons. Enrico Bartoletti) ebbe e manifestò a Paolo VI per cercare di reagire alla contrapposizione frontale tra la Chiesa e la società italiana e alle divisioni interne alla comunità ecclesiale (oltre al «dissenso», una parte importante dell’intellettualità cattolica) manifestatesi in occasione del referendum sul divorzio, nel maggio del 1974.
Il primo convegno si svolse a Roma nel 1976. Seguirono i due appuntamenti «wojtyliani» (Loreto, 1985 e Palermo, 1995). Poi Verona nel 2006, sul finire della ventennale leadership del card. Ruini, alla presenza di Benedetto XVI.
 
Tornare ai fondamenti del Vangelo
Se a Loreto, nel 1985, a metà svolgimento, Wojtyla correggeva la linea del Convegno e della maggioranza dei vescovi italiani, ritenuta troppo dialogante con le forme del pluralismo politico e culturale della società italiana, e con una mozione d’ordine che non ammetteva distinguo chiedeva alla Chiesa una nuova presenza affinché le strutture sociali tornassero a essere «sempre più rispettose di quei valori etici in cui si rispecchia la piena verità sull’uomo», papa Francesco verifica che sia l’interventismo wojtyliano, sia la dottrina ratzingeriana non hanno impedito i mutamenti epocali e la secolarizzazione in corso e cambia registro.
Viviamo un cambio d’epoca che facciamo persino fatica a comprendere – ha detto –. Per Francesco non è più tempo di illusorie riconquiste cristiane della società, né di astratte affermazioni dottrinali: si può essere significativi se si torna ai fondamentali del Vangelo. Con tutta la forza, la determinazione e il coraggio che questo comporta. «Non c’è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori», ha aggiunto.
Papa Francesco ha introdotto un ri-orientamento simbolico nel linguaggio pastorale del magistero. Nello stile e nel linguaggio del vescovo di Roma emergono due priorità: la centralità dell’annuncio del Vangelo e la sinodalità come interiorità metodologica della vita della Chiesa, cioè il coinvolgimento profondo, reale e spirituale di tutto il popolo di Dio nella vita della Chiesa e nella sua missione.
 
il discorso fiorentino di papa Fancesco
Nel suo discorso fiorentino, Francesco ha messo in guardia la Chiesa dalla tentazione «pelagiana», che guarda al primato delle strutture e dell’organizzazione, e dalla tentazione «gnostica», chiusa nell’immanenza della propria forma razionale. Ha proclamato la necessità di una riforma spirituale (e strutturale) profonda. Non a caso ha chiuso il suo intervento chiedendo, accanto allo stile evangelico, uno stile sinodale anche per la Chiesa italiana, che a partire da ogni realtà parrocchiale e diocesana chiami a raccolta tutti i battezzati per ridefinire assieme la propria identità pastorale.
La nuova trama tra Vangelo e cultura può essere tessuta nuovamente coniugando assieme, nel contesto reale attuale, non nella semplice memoria del passato, mettendo assieme kenosis e dignitas: tutta la forza della condivisione di Dio e tutta l’ispirazione della persona a vivere trascendendo la propria condizione di precarietà.
Il papa ha dunque collegato il tema della kenosis, assunta sia sul versante della condizione umana sia su quella della condivisione divina, al tema umanistico della dignitas, della dignità dell’uomo. Da questa radice si può giungere ad affermare che la dignità umana rimane intangibile, comunque. In ogni persona e in ogni situazione o contesto storico.
Di qui, attraverso le figure dell’umiltà, del disinteresse e della beatitudine è tornato sui temi delle povertà, da condividere e da sanare; del dialogo, da perseguire per «l’amicizia sociale» del paese; della presa di distanza «dall’ossessione del potere», anche quando è utile, per essere coscienza critica della società.
Viene archiviata definitivamente la stagione precedente. Dopo la fine del cattolicesimo politico è inutile attardarsi sulle nostalgie e sulle forme del passato. Quello di Francesco è un cattolicesimo post-politico, ma non meno esigente su un piano sociale e civile.
Il Convegno fiorentino aveva di fronte a sé due domande: quale sarà il rapporto tra i vescovi italiani e il pontificato dopo l’intervento del papa? E quale sarà il rapporto tra la Chiesa e l’Italia, dopo i grandi cambiamenti intervenuti negli ultimi anni?
I vescovi italiani guardano al papa con affetto, ammirazione, desiderio di sequela, sentendosi talora messi troppo in questione dalle sue parole. L’assemblea di Firenze è risultata nel suo insieme consonante col papa. Altra cosa è dire come concretamente le sue indicazioni diventeranno azione pastorale nelle Chiese locali e da parte della CEI.
Certo avere bloccato l’idea del sinodo lascia aperte la differenza tra condivisione affettiva e condivisione effettiva. Più difficile e complessa risulta la questione del rapporto tra Chiesa e Italia. Da Firenze arrivano sollecitazioni, desiderata, qualche riflessione. Ma questo davvero non basta. Al di fuori di un grande coinvolgimento di tutta la Chiesa, l’esito è quello di una reciproca, ulteriore distanza, per non dire indifferenza.
 

di Gianfranco Brunelli, in “Il Regno Attualità” del 15 novembre 2015